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lunedì 8 aprile 2013

Nicola II di Monforte in un'incisione ottocentesca di Carlo Biondi. Ma quali erano le sembianze del conte Cola? Un don Rodrigo dal volto poco rassicurante o un affascinante giovane in armi dai fluenti capelli corvini?

Il Quotidiano del Molise
del 08 aprile 2013

di Paolo Giordano

In Santa Maria Maggiore, “l’antica Santa Maria del Monte situata sulla vetta del colle, si conservano due tele con la “Sacra Famiglia” e la “Annunciazione” sulle quali, fra gli oranti, si crede siano raffigurati alcuni membri della famiglia feudale del tempo”. A questa descrizione di Giambattista Masciotta fa eco Vincenzo Eduardo Gasdia scrivendo che “nella chiesa di Santa Maria Maggiore si conservava una sacra conversazione con Vergine e putto tra sante. A’ piedi emerge dalla tela in atto di rivolgersi all’osservatore la testa ed il collo d’un don Rodrigo (in vesti di velluto) dal colletto di merletto bianco: dicono che sia il ritratto del conte Cola che per sua devozione fece dipingere il quadro per la cappella del castello, e dicono pure che le donne della tela riproducono le sembianze di persone della famiglia comitale: cinque almeno!”
Cartolina del Trombetta
Il Campobasso, com’egli era chiamato dalle genti oltramontane, avrebbe avuto un viso poco rassicurante. Nessun afflato mistico e, con occhio scrutatore, guardava il pubblico invece dei santi. Dimostrava poco più di 30 anni, mustacchi e pizzetto tendenti al nero, labbra carnose, espressione arcigna e volitiva, fisico asciutto ed incarnato abbronzato: un vero guerriero.
Apparentemente dissimile la figura tramandataci dal Trombetta. In una nota cartolina datata 23/04/903 appare il profilo di un giovane in armi, con lunghi capelli cadenti sulle spalle. Il suo un volto bello, fiero ed indomito ma di “maniera”, che ricorda gli stereotipi del mondo classico, rispondendo ai gusti estetici del tempo. 
Di questo disegno, stranamente,  non si trova riproduzione né nel lavoro del Gasdia, né in quello del Croce (autorevole studioso e conoscitore del Monforte-Gambatesa). E’ probabile che entrambi abbiamo ritenuto di pura fantasia tale opera e, quindi, storicamente poco attendibile.
E’ grazie ad un altro appassionato cultore della materia, che si è pervenuti ad un’interessante “scoperta”. 
Nella biblioteca personale di Giovanni Fanelli, titolare di “Scripta Manent” (ovvero il chiosco dei libri in piazza Pepe a Campobasso) è stato possibile consultare un estratto della “Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli, ornata de loro rispettivi ritratti”, compilata da diversi letterati ed edita (dal 1822) da Nicola Gervasi, “mercante di stampe”. Carmine Modestino da Paterno è autore della scheda sul conte “Niccola II di Campobasso”. Ad arricchire i volumi le incisioni raffiguranti i vari personaggi, realizzate da Carlo Biondi, artista italiano attivo nella Napoli del XIX secolo. 
Incisione ottocentesca di Carlo Biondi
(archivio Fanelli)
Cola di Monforte appare proprio così come lo ha immortalato il Trombetta. Stessa anche la didascalia: VII ed ultimo Conte di Campobasso. 
Il Biondi, però, grazie anche alla differente tecnica, riesce forse a  tramandarci meglio i tratti somatici di un autentico condottiero, rude quanto occorre, conoscitore del mondo e dell’arte della guerra. Virile nell’accezione più nobile del termine, cioè uomo valoroso e forte, portatore di principi antichi. 
Quale fu la fonte d’ispirazione? 
La risposta potrebbe fornircela il ritrovamento di quel dipinto che il Gasdia vide agli inizi del 1900 e che già all’epoca era in deperimento. Esso sarà sicuramente andato perso o distrutto. 
Pare che l’arciprete Tarantino non l’abbia portato in Cattedrale, insieme agli altri arredi, durante il trasferimento dalla chiesa dei Monti, abbandonandolo al suo infausto destino. 
Ma, poiché “spes ultima dea”, ci auguriamo che in qualche deposito o sacrestia ci sia ancora quella “sacra conversazione” di cui, come sostiene l’autore di “Storia di Campobasso”, sarebbe determinante stabilire la data di realizzazione. Traendo “conforto da quella, potremmo veramente dire di possedere il ritratto, quanto alla testa, dell’infelice capitano del Molise, conte di Campobasso e sire di Commercy.”

lunedì 2 luglio 2012

Quando due molisani andarono ad arrestare il Papa. Nel 1303 Pietro ed Orlando di Lupara parteciparono alla "cattura" di Bonifacio VIII


Il Quotidiano del Molise
del 25 giugno 2012

di Paolo Giordano

Bonifacio VIII fatto prigioniero ad Anagni 
miniatura secolo XIV dal Codice 
Chigi della “Nuova Cronica” 
di Giovanni Villani, 
Roma, Biblioteca Vaticana.
Il 7 settembre 1303 Anagni venne presa d’assalto da Sciarra Colonna e Guglielmo di Nogaret, “emissari” del re Filippo il Bello, colui che decretò anche la fine dei Templari. Bisognava catturare Bonifacio VIII, reo d’aver ribadito al sovrano la superiorità del Papa su ogni creatura e, quindi, su ogni autorità umana. Leggenda vuole, ma non vi è riscontro, che all’atto dell’arresto il Pontefice sia stato schiaffeggiato con i guanti (di ferro?) da Giacomo Colonna, detto Sciarra. Il soprannome derivava dall’omonima parola che nel volgare dell’epoca significava “litigioso, attaccabrighe”. Ancor oggi “sciarrare”, nel sud Italia, sta per “litigare, discutere con violenza”. Nelle schiere capeggiate dal “rissoso” nobile romano, e dal giurista francese, c’erano anche due “signorotti della piccola nobiltà cadetta del contado di Molise, di quelli che se non menano le mani non si sentono in carattere” (V.E. Gasdia). Erano Pietro di Lupara, signore anche di Matrice, Limosano e Castelbottaccio, e suo figlio Orlando. Appartenenti forse ad un ramo cadetto dei Molisio che “con la signoria acquistata su Lupara ne presero il predicato”. La partecipazione ai fatti di Anagni causò loro la privazione di parte dei possedimenti, anche se, con il passare del tempo, “la grazia sovrana ridiscese piena sul capo di questi feudatari”. Ma torniamo alla notte in cui i congiurati, i molisani tra i primi, si gettarono allo sbaraglio entrando in Anagni attraverso un passaggio aperto dal traditore Adenolfo de Papa, capitano della rocca. I Lupara, tra i più esagitati, per conquistare il Palazzo ne aggirarono le difese penetrando nel Duomo. Qui si imbatterono nel clero che sperava di aver trovato rifugio nella casa di Dio. Tra i prelati v’era Gregorio di Katupani, acivescovo eletto di Grau o di Strigonia, magnate e arciancelliere del regno magiaro, protetto del re di Napoli. Gregorio aveva incontrato il padre di Pietro, il viceammiraglio Nicola di Lupara, morto proprio in Ungheria il 23/06/1301 mentre era in missione per scortare Caroberto, figlio di Carlo Martello, in quelle terre di cui era Re. A nulla valse questa precedente conoscenza, anzi proprio per chi sa quale ragione legata forse a quel viaggio, Pietro, con inumana crudeltà, istigò il figlio titubante dinanzi all’abito ecclesiastico: ammazza, ammazza! “E nel santuario l’alta persona del prelato si abbatté morta al suolo nel lago del suo proprio sangue. La sola vittima cruenta  e sacrilega di questo mostruoso atto (la presa di Anagni) fu il prelato straniero. Del suo destino si commossero gli Anagnini che fino a non molti anni addietro credevano di ravvisare sul pavimento l’indelebile macchia del suo sangue” (Gasdia). Quali altre efferatezze, o normali azioni di guerriglia in battaglia, abbiano poi compiuto i due Lupara non ci è stato tramandato. Probabilmente entrarono nel Palazzo con lo Sciarra per arrestare Pietro Caetani. Di sicuro furono, nel bene o nel male, attivi protagonisti di un’importante vicenda. Ironia della sorte un altro figlio di Pietro, Nicola, generò Angelo che divenne vescovo di Bojano dal 1345 al 1364.
La nobile famiglia si imparentò anche con i Monforte (Clemenza andò in sposa a Manfredi Monforte), ma il  Cognome scomparve, estintisi i discendenti maschi. E’ comunque innegabile che nei secoli addietro i nostri avi si siano distinti, risultando protagonisti e non comparse, in eventi storici. Altro che il maggiordomo di Benedetto XVI, che sarebbe d’origini molisane: questi si è limitato a fare lo “spione”. Vi furono tempi ben “gloriosi” in cui i molisani procedettero, addirittura, all’arresto di un Papa!

Anagni, Palazzo di Bonifacio VIII.
Sala delle oche


Anagni, Palazzo di Bonifacio VIII.
Sala dell'oltraggio

Anagni, una foto d'epoca del
Palazzo Civico, XI - XIII secolo