Pensieri



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martedì 28 agosto 2012

Nel polittico Quaratesi un pezzo di storia molisana. Questione di dettagli che passano inosservati. Su uno spallaccio del San Giorgio lo stemma dei Monforte di Campobasso


Il Quotidiano del Molise
del 23 aprile 2012

di Paolo Giordano

Non sapremmo dire quanti abbiano notato nel polittico Quaratesi, dipinto nel 1425 da Gentile da Fabriano, un particolare che proietterebbe la nostra “piccola” storia locale in quella più “grande” dalla “S” maiuscola. Tra i santi v’è un San Giorgio con sullo spallaccio dell’armatura un’effige a noi ben familiare: quella dei Monforte. Follia? Delirio? Supponiamo di no! Del resto, pur essendo a quei tempi molto diffuso il culto verso il Santo, il glorioso cavaliere forse annoverava già Campobasso tra le “sue protette”. Infatti prima dell’aprile 1661, anno in cui si istituì la festa di precetto, non risulta che a Campobasso vi fosse un Patrono speciale. In quell’occasione si attestò che “ab immemorabili” San Giorgio era “stato sempre tenuto e stimato per padrone et protittore di detta terra”.
Lo spallaccio, oltre a contenere una croce accantonata da quattro rose, coinciderebbe anche nei colori con quanto asserito da Benedetto Croce: “rosso alla croce in campo d’oro”. Ma che legame potrebbe esserci tra i nobili molisani e l’importante famiglia Quaratesi? E’ basilare osservare che costoro abbandonarono i ghibellini diventando sostenitori della parte guelfa. Quale nostro “conterraneo” ebbe contatti con la Toscana? Nel 1326 Riccardo di Gambatesa è a Firenze dove, caduto gravemente malato in casa di Vanni Bonaccorsi (in hospicio Vanni Bonaccursi civis Florentini), detta testamento. Trasmette a suo nipote, Riccardello Monforte (Riccardo II), figlio della figlia e di Giovanni Monforte, la maggior parte dei suoi beni stabilendo che aggiunga al suo cognome quello dei Gambatesa. Riccardo (Viceré) aveva combattuto in Liguria con re Roberto d’Angiò, quindi con la parte guelfa, la stessa dei Quaratesi. Siamo però a cento anni prima dell’opera di Gentile ed il Gambatesa non ebbe mai legami diretti con Campobasso. Vi fu poi fu Guglielmo (detto Lemmo), nipote di Riccardo II, che “fu dal re Ladislao fatto consigliere di Stato, e suo Viceré in Campagna di Roma e Maremma e fu il III conte di Campobasso” (Dissertazione istorico critica della famiglia Monforte -1778). Di lui si hanno notizie in Città fino al 1422, poi gli successe il figlio Nicola I. Nella predella del Polittico sono raffigurate delle storie dalla vita di San Nicola, quella ai piedi di San Giorgio è il Miracolo dei pellegrini alla tomba del santo: chi vi si reca trova guarigione. Un riferimento al Nicola di Campobasso? Tutto il ragionamento sembrerebbe trasudare fantasia… ma forse la gloria militare ed il coraggio di un irreprensibile cavaliere come Riccardo di Gambatesa, distintosi in tutta Italia per le sue gesta, nonché la rettitudine dei suoi discendenti, unitamente ad un ipotizzabile duraturo legame (anche di sangue) con le genti toscane, avrebbero potuto indurre i committenti a rendere omaggio ai Monforte. Probabilmente per valore ed ardimento in battaglia o forse per saggezza nel buon governo. O addirittura per onorare la sepoltura del Condottiero molisano (della cui tomba non si ha traccia) e la cui memoria potrebbe essere sopravvissuta per generazioni presso chi lo conobbe.

i due "stemmi" contrapposti
Il capolavoro di Gentile da Fabriano è attualmente smembrato e conservato in più musei del mondo. E’ la realizzazione più importante del soggiorno fiorentino dell'artista dopo la Pala Strozzi. Insomma, con un singulto d’amor patrio ci piace veramente credere che quello sulla spalla del “nostro” santo Patrono sia realmente il blasone del conte Cola. Lo stemma che da 600 anni ci scruta dall’alto dell’inespugnabile castello, simbolo della tanto amata Campobasso.

La predella con scene della vita di San Nicola

Il San Giorgio di Gentile da Fabriano

disegno del Cobelli 
da "Storia di Campobasso"
di Vincenzo Eduardo Gasdia

Stemma dei Monforte di Campobasso, "rivelazioni" dal passato. La croce con le quattro rose potrebbe essere strettamente collegata alla famiglia "Gambatesa"

Il Quotidiano del Molise
del 22 aprile 2012



di Paolo Giordano

La Storia si scrive documenti alla mano, eppure in attesa (e nella speranza) che qualcosa di nuovo venga scoperto, è quanto mai opportuno esternare dei pensieri che potrebbero attribuirci la paternità di alcune deduzioni… se non rivelazioni.
Stemma da
"dissertazione"
La famiglia Monforte, che vantava origini francesi, aveva come stemma “un leone di azzurro in campo d’argento sostenente uno scudetto di oro caricato di cinque code d’ermellino”. Se ne trovano svariate testimonianze. Quella a noi più vicina è una cartolina del Trombetta, ma possiamo citare lo stemma del vescovo di Tropea (1786-1798) Giovanni Vincenzo Monforte, nonché l’effigie nel libro “Dissertazione istorico-critica della famiglia Monforte” (1778). In  Molise, e solo qui, la nobile casata si fregiava di uno stemma ben diverso: “una croce accantonata da quattro rose abbottonate”. Esso era (ed è) incastonato sul ponte levatoio del Castello di Campobasso e su alcune porte cittadine. Ancora è visibile in diversi punti della città e della regione tutta. La nostra (azzardata?) ipotesi è che in realtà si tratti dello stemma della famiglia Gambatesa, il cui ultimo insigne rappresentante Riccardo, non avendo discendenti maschi adottò di fatto un Monforte, Giovanni, di cui era stato nominato tutore. Questi sposò la di lui figlia Sibilia con cui generò Riccardo II (Riccardello). Il nobile cavaliere Riccardo I, le cui gloriose gesta sono purtroppo poco note ai molisani, consentì al nipote, nel suo testamento redatto in Firenze il 02/10/1326, di assumere anche il cognome Gambatesa. 
Di questa famiglia, sicuramente molto più importante del “nostro ramo” Monforte, non si conoscono le insegne e viene da pensare che proprio perché più titolata, il giovane rampollo divenuto Monforte-Gambatesa abbia fatto proprio lo stemma del nonno. Benedetto Croce parla di Monforte-Gambatesa e fu l’ambizioso Cola a “lasciar cadere” il secondo cognome, quasi a voler eliminare ciò che metteva in ombra la sua casata d’origine. A Tufara vi sono ben due emblemi della gens Monforte, mentre nella vicina “madrepatria” Gambatesa non si trova alcuna traccia. Ciò è apparentemente strano, ma abbastanza comprensibile. Potrebbe trattarsi di una vera e propria damnatio memoriae voluta anche dai di Capoa, “eredi “ dei possedimenti monfortiani dopo il tradimento di Cola e dei suoi discendenti. Però, nella chiesa di San Bartolomeo, sul fonte battesimale, v’è un’arma parlante, cioè contenente una figura che richiama direttamente il nome del paese. E’ ben visibile la data: 1523. Nicola III, ultimo conte di Campobasso, era a quel tempo già defunto come del resto il fratello Angelo IV e quella “gamba-tesa” appare un definitivo affrancarsi dalla gloriosa genìa, in vero estintasi nel 1326 con Riccardo I, ultimo dei Gambatesa.
Sono queste solo farneticazioni? Forse sì! Ma se un domani si dovesse dimostrare con prove concrete quel che oggi noi deduciamo, affidandoci all’intuito… beh, se dovesse accadere è inconfutabilmente nostra la paternità di questa tesi!

A dimostrazione "postuma" si invita l'internauta a leggere l'articolo qui linkato 

Lo stemma della famiglia Monforte
su porta Sant'Antonio Abate a Campobasso


Stemma dalla cartolina del Trombetta

stemma del Vescovo di Tropea
Giovanni Vincenzo Monforte (1786-1798)

lunedì 27 agosto 2012

Bernardino Musenga: la proposta di Nicola Felice perchè si intitoli un sito cittadino all'artefice della Campobasso Moderna

Il Quotidiano del Molise
del 26 agosto 2012
di Paolo Giordano


La cattedrale di Campobasso
Era il 26/11/2010 quando, in occasione di una convegno su Bernardino Musenga, il dott. Carlo, discendente del celebre architetto, dichiarò: “non riesco ancora a comprendere come Campobasso non l’abbia ricordato intestandogli una strada o una piazza”. Dopo circa due anni, il 20/08/2012 quasi in un’ideale risposta Nicola Felice, studioso, ricercatore, autore di libri d’arte e storia, presidente del Comitato per la memoria della B.C.M., ha presentato al Sindaco di Campobasso una richiesta di intitolazione “di area di circolazione all’architetto Bernardino Musenga”. Non sono certo i cittadini, quindi, a dimenticare i personaggi illustri artefici della storia patria!
“In occasione della fine dei lavori di ricostruzione della cuspide sita sulla torre campanaria della chiesa della S.S. Trinità, realizzata dal Musenga, architetto ed urbanista fra i massimi d’Italia, si propone che allo stesso sia intitolata la villa oggi impropriamente individuata come “villa dei cannoni”, che fu uno degli spazi riprogettati dallo stesso Musenga per la pubblica usufruizione, peraltro ben localizzabile nel piano regolatore da lui firmato nel 1813”. Bernardino Musenga è a tutti gli effetti il Padre della Campobasso Moderna, avendone egli “disegnato” l’impianto e le linee di sviluppo.
Questi sono in breve i termini dell’istanza che, indiscutibilmente, non potrà che essere accolta! Si restituirà, così, lustro ed indennizzo morale ad un Grande il cui operato è precipitato in quell’oblio in cui il Molise, immancabilmente, scaraventa i suoi figli migliori.

MA CHI ERA BERNARDINO MUSENGA?

la Cattedrale di Isernia
L'illuminismo come movimento culturale e filosofico è inquadrabile tra la fine del seicento (1688 cacciata di Giacomo Stuart) e la Rivoluzione Francese (che spazzò via ogni possibilità di progresso concertato). Eppure gli effetti dirompenti dell’Età dei Lumi perdurarono a lungo nei desideri di progresso e di emancipazione umana, nonché in ogni altra forma di pensiero anelante ad “illuminare”, attraverso Ragione e Scienza, la mente degli uomini tragicamente ottenebrata dall’ignoranza e dalla superstizione. In Italia fu Napoli, capitale dell’omonimo Regno, al pari di Parigi, a meglio incarnare il Secolo dei Lumi dando vita ad innovative forme architettoniche ed a nuovi pensieri filosofici, ponendo contemporaneamente le basi dell’economia e del diritto moderno. La città partenopea, in continuità con il passato, brillava ancora di luce propria: era infatti stata nel Rinascimento centro vitale della filosofia naturalistica. Qui si formò il genio di Paolo Saverio di Zinno (1718-1781) e da Napoli giunse a Campobasso, con la famiglia, Bernardino Musenga (1774-1823) che convenzionalmente, in forma riduttiva, viene definito architetto: un titolo acquisito sul “campo” quale summa di tutte le sue numerose e variegate attività. Egli era figlio d’arte, il padre ingegnere operò molto in Molise. Bernardino fu progettista, restauratore e letterato; coniugando gli amori per agricoltura e letteratura compose un inno a Cerere in lingua latina. Illuminista e giacobino sostenne la Repubblica Napoletana e, successivamente, si distinse per attività e fattività durante il periodo napoleonico. Due furono le pietre miliari della sua esperienza professionale e di vita: il terremoto del 1805 e lo sviluppo della città di Campobasso che si apriva al Nuovo. Da una parte bisognava ricostruire la regione devastata dal sisma del 26 luglio, dall’altra traghettare verso la modernità il capoluogo della neonata provincia di Molise la cui popolazione, in fase di sviluppo socio economico, desiderava “uscire” dall’antico borgo medioevale per proiettarsi verso il Futuro. Necessitavano simboli e palazzi pubblici che fossero immagine dell’Autorità, come in passato lo era stato il Castello Monforte, e perciò si doveva progettare una Campobasso extra moenia tagliando di netto con il passato. Musenga vinse una vera e propria sfida con l’ingegnere olandese Vincenzo Wan Rescant. Il fiammingo proponeva più un piano di riqualificazione urbana che di sviluppo, prevedendo l’espansione del tessuto urbano intorno ad una grande piazza esagonale in cui accogliere l’edificio sede dell’Amministrazione (Collegio). Malgrado il parere favorevole del Decurionato (29 settembre 1812) il Ministro degli Interni, Giuseppe Zurlo, “rigettò” quell’idea progettuale. Contrariamente il Nostro immaginò un impianto ben diverso (definibile di primo acchito “coloniale”) con strade parallele ed un susseguirsi di edifici ed orti in una città che doveva essere monumentale, funzionale, unitaria e moderna. Accanto al disegno architettonico anche una serie di regole scritte per consentire gestione ed attuazione del cosiddetto “Borgo Gioacchino”, approvato poi dallo stesso Murat nel 1814, e che per la sua concezione fece guadagnare a Campobasso la definizione di “città giardino”. Ma tutto il Territorio benificò dell’ingegno del Musenga: decine furono le sue perizie, progettò strade, realizzò strutture pubbliche e private, consolidò manufatti compromessi dal terremoto e da altre calamità naturali (l’alluvione del 1811 aveva distrutto i ponti sul Biferno e tantissimi mulini). Merita citare tre suoi importanti luoghi di culto: San Michele Arcangelo a Baranello, la cattedrale di Isernia e quella di Campobasso, il cui pronao, pur essendo del 1859, rispetta il progetto originario. Fu quest’ultima croce e delizia dell’Architetto che ne privilegiò la tecnica costruttiva curando, con spirito anticipatore, le caratteristiche antisismiche. Il Duomo, però, risultò poco gradito ai concittadini perché troppo basso e molto buio. Tradizione orale vuole che, proprio per le feroci critiche il Musenga si sarebbe suicidato. Se è vero che si tolse la vita non fu certo “solo” per la chiesa della SS Trinità. Il professionista viveva sicuramente in uno stato di grande pressione psicofisica per le responsabilità legate alla notevole mole di lavori ed ai relativi impegni progettuali e finanziari. C’è invece chi, come il discendente Carlo (stimato medico ed amministratore cittadino), certificato di morte alla mano, sostiene che si tratti di una montatura: Bernardino sarebbe morto (improvvisamente) nel suo letto il 24 ottobre 1823 a soli 49 anni e la conseguente damnatio memoriae dipenderebbe da ben altro. Certamente non basta l’essersi suicidato per giustificare l’ostracismo di cui è vittima presso i posteri e di contro incuriosisce non poco “il mistero” della sua scomparsa. Tutta la sua Storia merita di essere oggetto di studi e ricerche offrendo anche spunto per la trama di un affascinante e suggestivo best seller!



giovedì 16 agosto 2012

Giorgio Gizzarone torna a "parlare" grazie a Dante Gentile Lorusso e Giovanni Mascia

Il Quotidiano del Molise
del 15 agosto 2012
articolo consultabile anche sul sito TORO Web 


di Paolo Giordano

I pastori dell'Arcadia
(opera di Poussin)
Giovanni Mario Crescimbeni, noto anche con lo pseudonimo di Alfesibeo Cario Custode  Generale d’Arcadia, 291 anni or sono (1721) in “Notizie istoriche degli Arcadi morti” narra di “Oratino Boreatico ben tre volte onorato della carica di Collega”. In questi giorni, in concomitanza del trecentenario della morte (15 agosto 1712), si è tornati a parlare del “Protocustode delle Campagne del Sannio; i quali Protocustodi sono istituiti per maggior comodo degli Arcadi dimoranti nelle Provincie straniere”. Ma chi è l’importante adepto di quell’Accademia dell’Arcadia, che non fu solo scuola di pensiero ma vero e proprio movimento letterario, sviluppatosi e diffusosi nella Penisola in risposta al “cattivo gusto” del Barocco? Egli è Giorgio Gizzarone, letterato nato ad Oratino tra il 1660 ed il 1670, trasferitosi a Napoli e poi a Roma, dove studiò e visse grazie all’insegnamento privato. Nella Caput Mundi frequentò ambienti dotti riuscendo a conquistare, anche grazie alla benevolenza del cardinale mecenate Pietro Ottoboni, posizioni rispettabili: “nelle tornate del Bosco Parrasio i suoi componimenti furono sempre ascoltati con applauso, e soffisfazione inesplicabile”. 
Il cardinale Pietro Ottoboni
A farlo riemergere dal silenzio, rivolgendo l’attenzione ad un’epoca poco (se non per nulla) trattata negli studi sulla cultura molisana, sono stati Dante Gentile Lorusso e Giovanni Mascia autori del libro “tra Oratino e Arcadia – Giorgio Gizzarone, poeta del seicento”. Il testo, edito dalla Regia Edizioni e presentato il nove agosto in piazza Chiesa ad Oratino, ha l’indiscusso merito di aver superato il quasi invalicabile ostacolo della mancanza di fonti archivistiche dirette. Con tenacia è stato ricostruito il profilo del poeta utilizzando ogni minima traccia reperibile. Preziosissima si è rivelata la Biblioteca Angelica di Roma dov’è depositato l’archivio dell’Arcadia. In esso sono custodite poesie inedite, alcune delle quali senza dubbio attribuibili al Gizzarone: 5 testi di cui quattro in napoletano. Il ricorso al dialetto testimonia una scelta critica rispetto all’esperienza linguistica toscaneggiante finalizzata al raggiungimento, per il “vernacolo”, della dignità di Lingua. “La polemica era contro l’ufficialità della letteratura aulica e toscana a vantaggio di un filone che vedeva il canto popolare e plebeo prevalere in un contesto di ricerca globale di forme e contenuti nuovi dopo l’esperienza barocca” (Sebastiano Martelli). Il libro dei due studiosi apre un nuovo percorso di ricerca in una delle tante “zone d’ombra”, di cui sembra essere ricca la Storia del Molise, a causa della tendenza endemica che ci rende infingardi o peggio ancora affetti da auto-disistima cronica.
Giorgio Gizzarone ritornò in Patria “colla dignità d’Archidiacono della Cattedrale di Boiano”. Purtroppo quella nomina, che sembrava essere un importante passo nella carriera ecclesiastica, fu a giudizio del Crescimbeni la sua fine: “assuefatto in Roma ad una vita civile, e piena di onesti, e lodevoli divertimenti; così mal sofferendo la ritiratezza di que’ paesi, sopraffatto alla fine dalla malinconia, non molti anni godé la dignità conseguita, essendo venuto a morte nella più robusta età”. Non sappiamo se questa interpretazione sia giusta o viziata dalla prospettiva di chi, vivendo altrove, aveva maturato una forma di rifiuto per la Provincia. Una realtà così diversa e lontana dai grandi centri della cultura. L’oblio in cui era caduto “Oratino Boreatico” darebbe ragione ad Alfesibeo Cario. Il lavoro di Lorusso e Mascia, invece, sembra asserire decisamente il contrario.

Pietro Melchiorre Ferrari
Frugoni in Arcadia (Galleria Nazionale -Parma)





venerdì 10 agosto 2012

Villa Flora estate 2012... "la Gazzetta del Molise" del 10 agosto



Un caro amico diceva che avere un blog è come entrare in "Hyde Park" a Londra ed iniziare a ragionare  dallo "Speakers' Corner": "Sei convinto che tutti ti ascoltino ed invece sei più solo ed inascoltato che mai!"
La Gazzetta del Molise
del 10/08/2012
Il sospetto ti assale, ma il desiderio di comunicare quel che ti frulla in testa, nella speranza che interessi a qualcuno, è troppo forte. Poi accade ciò che in cuor tuo auspicavi, ma nel cervello -scaramanticamente- appariva irrealizzabile: c'è chi ti legge e ti prende veramente sul serio.
Infatti il 10 agosto, il quotidiano "La Gazzetta del Molise", ha ripreso un post del blog "Paolo Giordano Campobassensis" condividendone il contenuto "il lavoro è sacro....".
Grazie allora ad A.D. (autrice dell'articolo) ed a tutti coloro che amano Campobasso e per essa lottano! Stiamo combattendo contro i mulini a vento? Forse sì! Ma l'importante è non demordere e non svendere i propri sentimenti ed il proprio Territorio.
Sarà una dura lotta impari, ma Davide alfine sconfisse Golia!

Paolo Giordano





mercoledì 8 agosto 2012

Fra Immacolato, al secolo Aldo Brienza (6° - estate 2011). Traslazione a Castelpetroso? Le ragioni del "NO"


di Paolo Giordano

Leggendo e rileggendo del “sogno” di fra Immacolato il pensiero continua ad andare a Santa Maria  della Croce “che lo aveva visto bambino in preghiera dinanzi all’Addolorata Mamma nostra”.
La campobassanità fa pensare esclusivamente alla forte devozione cittadina per l’Addolorata del “Teco vorrei”. In nessun passaggio dello scritto, infatti, si ravvisa un riferimento a Castelpetroso. Per cui nessuna spiegazione tattico-teologica convince del tutto… maggiormente quando si parla di un trasferimento solo momentaneo.
Perché sradicare dalla propria gente fra Immacolato? E’ vero che egli “è di tutti!”, ma è anche vero che nessuno dal Santuario lo ha ufficialmente “invitato”. Forse a Campobasso non è abbastanza conosciuto, ma a Castelpetroso è totalmente ignorato. Del resto, a seguito dei copiosi fiumi di inchiostro versati, si è scoperto che nella sua città natale c’è molta più devozione di quel che si credeva. Si svolgono pellegrinaggi sia nella sua casa che sulla sua tomba. Si vivono momenti di preghiera e di meditazione mossi dall’amore verso il Carmelitano. Paradossalmente molti “ignoranti” iniziano ad interessarsi alla sua vita, conoscendone ed apprezzandone la storia.
Non è secondario il rischio che, volendo a tutti i costi strappare fra Aldo ai suoi concittadini, si venga a creare una frattura pericolosa e dannosa tra clero e popolo. Un popolo a cui nessuno ha chiesto parere ed a cui nessuno ha fornito ufficialmente spiegazioni… e che perciò non gradisce e  non comprende! Fra Immacolato come padre Pio non ha mai abbandonato la sua celletta. Il santo cappuccino è sepolto a San Giovanni Rotondo, perché non lasciare anche il santo campobassano dove visse offrendo il suo dolore?
In fin dei conti, trattandosi di materia di fede, a nulla serve agitarsi, pianificare e progettare. Se il buon Dio vorrà, la devozione verso il suo Servo germoglierà rigogliosa anche in un deserto. Basti pensare al  beato Charles Eugène de Foucauld (1858-1916) che visse fino alla morte, unico esponente dell’ordine da lui fondato, nel silenzio e nella solitudine. Solo dopo il suo martirio la sua vita ed i suoi scritti divennero tanto noti che numerosi gruppi spirituali e nuove congregazioni si rifecero alla sua spiritualità.
Solo Domineddio sa come andrà a finire questa vicenda, a volte purtroppo grottesca. Per cui, anche alla luce di tutta la vita di Aldo Brienza, ci si deve necessariamente arrendere dinanzi alla più celebre delle citazioni: “Signore sia fatta la tua volontà.”


Fra Immacolato, al secolo Aldo Brienza (5° - estate 2011). Traslazione a Castelpetroso le ragioni de "SI"


di Paolo Giordano

Si può finalmente affermare che nella vicenda di fra Immacolato sono stati fissati due punti essenziali.
1) l’alto significato teologico e spirituale della sua presenza a Castelpetroso.
Egli è fedele ed autentico interprete del carisma dell’apparizione e cioè l’offerta della propria vita. L’atteggiamento dell’Addolorata è unico nella storia! Maria non è mai stata vista così: un gesto con cui offre al Signore il sacrificio del suo figlio, offerta del dolore redentivo a Dio. Aldo Brienza ha trascorso 50 anni relegato in un letto di sofferenza offrendo a Dio la sua intera vita, caratterizzata dal limite e dalla fragilità della natura umana, per la conversione del mondo intero. Ecco spiegata una volta per tutte l’intima unione tra l’esperienza terrena di fra Immacolato e l’apparizione di Castelpetroso.
2) La necessità di incrementare il culto.
Per arrivare alla beatificazione c’è bisogno di una forte e convinta devozione. Tanto più essa sarà conosciuta e praticata, tanto maggiore sarà la fama “dell’aspirante” Santo. Il Santuario di Castelpetroso è meta di pellegrini, provenienti anche dalle regioni limitrofe, con una media settimanale pari a 500-700 presenze. La tomba di fra Immacolato offrirebbe l’occasione concreta per farlo conoscere diffondendone la spiritualità.
A Campobasso c’è, comunque, la sua casa natale che diventerebbe un centro di preghiera per chi l’ha conosciuto ed amato e per chi, dopo averlo incontrato a Castelpetroso, si vorrà recare nel capoluogo. L’idea è quella di una Fondazione che gestisca l’appartamento. In esso alcuni religiosi accoglierebbero chi desidera visitarlo o soffermarvisi per pregare. Una struttura strettamente legata al Santuario, dal quale partirebbero tutti coloro che sono interessati a conoscere i luoghi dove fra Immacolato visse ed operò.

Fra Immacolato, al secolo Aldo Brienza (4° - estate 2011). La parola a don Fabio Di Tommaso. Era il luglio 2011, si era ben lungi dalla nomina a "Postulatore".

"Il Quotidiano del Molise" del 22/07/2011


Non è una questione di piazza, di firme, di semplici volontà o di opportunità che ci devono portare a considerare la bontà o meno di traslare la salma del servo di Dio Fra Immacolato nel santuario dell’Addolorata di Castelpetroso, perché, se adottassimo questi criteri troveremo ottime ragioni per collocare il carmelitano in qualsiasi luogo.
Forse sapere che l’opzione Castelpetroso è una decisione di Bregantini, approvata da tutto il consiglio presbiterale, ci potrebbe bastare, anche perché è un fatto che riguarda la Chiesa locale ed ogni altro intervento, seppure ascoltato, non potrebbe vincolare il giudizio già espresso.
Ma la nostra curiosità ci spinge ad andare oltre e l’onestà intellettuale ci obbliga a fermarci e a riflettere. Perché Castelpetroso?
Ci sono profonde ragioni (teologiche e pastorali) che ci inducono a guardare con simpatia questo luogo visitato da migliaia di pellegrini. La vita di Fra Immacolato può essere meglio compresa sotto lo sguardo dell’Addolorata. Non solo. L’apparizione stessa, che ci rivela qualcosa di Gesù e di Maria, in qualche modo può essere meglio illuminata dalla vita e dalle lettere del nostro servo di Dio.
A Castelpetroso Maria appare in atteggiamento di preghiera mentre presenta al Padre il corpo di suo figlio, il Figlio di Dio. L’Addolorata non proferisce nessuna parola, eppure ci comunica un chiaro gesto di offerta unito al suo dolore composto e nascosto. La Madre del Redentore, per i meriti di suo figlio, partecipa con la sua sofferenza di Madre di Dio e della Chiesa alla salvezza dell’umanità.
E Fra Immacolato? C’è una forte affinità che lega il nostro servo della sofferenza alla Madre dei dolori e se volessimo mostrare questa relazione con poche parole, allora dobbiamo guardare ad un’espressione che ricorre in diverse lettere: «Prego, soffro e offro». L’esistenza di Fra Immacolato è stata tutta una preghiera gradita a Dio, addirittura la notte la passava in orazione. Per più di cinquant’anni ha offerto al Padre, dall’altare del suo letto, la sua vita intrisa di atroci sofferenze senza mai accennare a un minimo dolore. Infatti in una lettera afferma: «attualmente veramente soffro e benedico il Signore perché neppure chi mi è intimo s’accorge della profondità dei miei dolori». Leggendo la preghiera per la beatificazione dovremmo dire con precisione che Fra Immacolato «si è offerto come vittima per la santificazione dei sacerdoti e per la redenzione di chi è schiavo del peccato». Il nostro frate carmelitano, come Maria addolorata, ha partecipato e partecipa ancora a pieno titolo alla salvezza del genere umano. La testimonianza di P. Gennaro Ferrandino, confratello di Fra Immacolato, avvalora questa convinzione: «Nella sua esistenza e con le sue sofferenze si è inserito nel vortice di quelle anime che completano la passione di Cristo a favore del Corpo Mistico che è la Chiesa. Fra Immacolato con le sue sofferenze ha voluto mettersi sulla bilancia della giustizia divina per inclinarla a favore dell’umanità peccatrice».
Infine volendo gettare un’ulteriore luce sull’intrinseco rapporto fra la Mamma Celeste e Fra Immacolato, allora dobbiamo leggere un commento di Don Michelino Fratianni alla lettera nella quale il servo di Dio attribuisce all’Addolorata la sua vocazione carmelitana: «Questa lettera ci spiega anche quella certa preferenza affettiva che teneva legato Aldo al Santuario di Castelpetroso. E sì, perché lì si venera quella Madonna che gli aveva indicato la via del Carmelo. Non vi neghiamo che da quando Aldo ci ha lasciato, quel Santuario esercita su di noi una particolare attrattiva, perché ci spiega il nesso tra i dolori di quella Madre e le sofferenze di questo figlio: Aldo che lei si scelse in Campobasso».
Oltre le argomentazioni fin’ora fatte, possiamo ancora dire che la presenza del corpo di Fra Immacolato a Castelpetroso diventerebbe un’occasione unica per far conoscere agli innumerevoli fedeli che vi giungono da ogni dove la grandezza spirituale di questo frate vissuto sempre in casa, ma che ha raggiunto in vita e in morte uomini, donne e bambini ben oltre i confini nazionali. L’Addolorata e Fra Immacolato saranno per i pellegrini di Castelpetroso un porto sicuro nel quale sostare per trovare fiducia, speranza e amore, in particolar modo per quelle persone provate dalla malattia e dalla sofferenza. Loro due insieme avranno molto da parlare, perché il loro messaggio è sempre attuale per coloro che non riescono a dare un senso alla vita segnata dalla fragilità più estrema.
Un servo di Dio può diventare beato, magari santo, non solo per una corretta istruzione del processo, cosa necessaria e indispensabile, ma soprattutto se la fama di santità viene diffusa, se il maggior numero di credenti ne invoca la sua intercessione. Qui non è in gioco il prestigio di un luogo o il semplice affetto per un concittadino, bensì l’annuncio del Vangelo che il nostro Fra Immacolato ha saputo vivere e diffondere, opera che oggi egli potrà continuare a fare in un luogo continuamente frequentato.

don Fabio Di Tommaso
direttore della scuola diocesana di teologia
arcidiocesi di Campobasso-Boiano

Fra Immacolato, al secolo Aldo Brienza (3° - estate 2011)


Ancora una lettera giunta al Direttore tra le decine pervenute in quei giorni.....

"Il Quotidiano del Molise"
del 18/07/2011
Gentile Direttore,
è limitativo, triste e “diabolico” ridurre tutta la vicenda di fra Immacolato ad interpretazioni oniriche ed a ritorni economici. Però non potendo negare che quest’ultimo aspetto non è sicuramente secondario, mi viene da esternare alcune riflessioni.
Se è vero che Castelpetroso è in provincia di Isernia è anche vero che appartiene alla diocesi di Campobasso. Per cui tutte le “entrate” legate direttamente alla struttura saranno introitate a favore della città capoluogo. Quindi reinvestite in progetti ed in opere di carità della Diocesi stessa. Ciò è buono e giusto sempreché gli amministratori non utilizzino male i denari!
Relativamente alle obiezioni per cui si ritiene che i pellegrini graviteranno sulla zona pentra favorendo economia locale, viene da osservare che, comunque, restando il beato Campobasso non si verificherà mai quello sviluppo in cui tanti credono e sperano. Per cui è meglio che l’isernino (sempre Molise è!) abbia un pur minimo “tornaconto”, piuttosto che il campobassano non abbia nulla in assoluto! Insomma penso “al cane del contadino, che per non mangiare lui non fece mangiare neanche il vicino!”

Fra Immacolato, al secolo Aldo Brienza (2° - estate 2011). FRA IMMACOLATO NON HA PADRONI!

"Il Quotidiano del Molise"
 del 15/07/2011


di Paolo Giordano

In merito al dibattito sulla traslazione di fra Immacolato è stato coniato lo slogan “fra Immacolato non è proprietà di nessuno”. Quello che però si sta ignorando è che il santo campobassano, al secolo Aldo Brienza, ha una sua famiglia di appartenenza e degli eredi. A costoro nessuno avrebbe chiesto né un legittimo parere, né tantomeno autorizzazioni a norma di legge. Alcuni di essi, infatti, nutrono profonde riserve su tutta questa operazione che vede, incolpevole protagonista, il loro congiunto. Innanzi tutto ci tengono ad evidenziare che sia la casa che il luogo di sepoltura sono costante meta di devoti provenienti da tutte le parti del mondo. Si sfata così ogni sospetto di un disinteresse verso questo nostro importante concittadino. Il loro rammarico è che non sono stati coinvolti tutti gli eredi e che non sono state fornite chiare e convincenti spiegazioni sul perché dell’inumazione del loro zio a Castelpetroso. Sarebbero, quindi, propensi a lasciare che la tomba contesa sia ospitata nella Cattedrale di Campobasso o anche in altra chiesetta maggiormente conforme all’umiltà di vita del carmelitano. Sempre, comunque, nella città natale dove è vissuto, ha sofferto ed è morto. Non li entusiasma una scelta che favorirebbe lo sviluppo religioso e “turistico” del Santuario, facendo gravitare i flussi di pellegrini su Isernia. Fra Immacolato deve essere un punto di riferimento principalmente per Campobasso ed aiutare la città a progredire spiritualmente… e non solo.
Inutile ignorare che si creerebbe un considerevole indotto: basti pensare  a San Giovanni Rotondo ed alle migliaia di visitatori bisognosi di vitto ed alloggio che generosamente lasciano offerte anche cospicue. Quel che spiazza ulteriormente “questa parte” di eredi è che non c’è stata alcuna altra proposta alternativa e che si è prospettata una momentanea collocazione delle spoglie mortali a Castelpetroso, in vista della progettazione e realizzazione di un santuario “ad hoc”.
Nel frattempo, prima ancora che siano stati presi concreti accordi tra le parti e concesse le autorizzazioni di legge, già si organizzano pullman per la fantomatica traslazione autunnale. Contemporaneamente sorgono comitati di raccolta firme contro lo spostamento.
E’ triste vestire i panni di Cassandra, ma -purtroppo- si prevedono tempi amari e molto difficili.

Fra Immacolato, al secolo Aldo Brienza. (1° - estate 2011)


Durante l'estate 2011 si scatenò una diatriba tra due schieramenti “l'uno contro l'altro armato” per la traslazione delle spoglie mortali del Servo di Dio fra Immacolato Brienza.
Ad un anno da quei fatti penso sia opportuno, per non perdere la memoria di quanto accadde, riportare alcuni passaggi della vicenda.....
il primo scritto è il pensiero di un lettore che faceva riferimento ad un sogno di fra Immacolato da cui partiva tutta la querelle.


"l Quotidiano del Molise" del 10/07/2011

Gentile Direttore,
sicuramente questa mia anticiperà tutta la serie di polemiche che (purtroppo) esploderanno tra qualche tempo. Quando, cioè, le spoglie mortali di Aldo Brienza saranno traslate! Nel leggere “l’interpretazione del sogno” con cui si cerca di giustificare l’inumazione del servo di Dio a Castelpetroso nascono spontanee due riflessioni.
1)   perché percorrere una strada così complicata quando basterebbe esternare il pensiero della chiesa locale. Cioè che si vuole opportunamente associare il suo aver accettato e donato il proprio dolore a quel “sì” incondizionato di Maria di Nazareth ed alle sofferenze dell’Addolorata ai piedi della Croce. Un ragionamento, questo, semplice, lineare e comprensibile… altro che oniromanzia!
2)    Il sogno in sé! Il beato campobassano ha sognato Santa Maria della Croce… e Santa Maria della Croce sia!
Insomma perché cercare spiegazioni oltre a quella evidente? Perché manipolare ad usum dephini? E’ nell’antica chiesa campobassana che deve essere ospitata quella tomba. Al pari di Santa Croce in Firenze è un luogo ricco di storia, reliquie e sepolture. Se è vero che fra Immacolato “è di tutta la diocesi” è pur vero che il Signore lo ha voluto a Campobasso. Ed è qui che deve restare quale esempio ed ammonimento per una città scristianizzata e fin troppo corrotta, sotto l’aspetto di pacioso centro di provincia. Un faro di riferimento per la spiritualità del capoluogo. Del resto padre Pio è rimasto a San Giovanni Rotondo dove visse, soffrì e morì. Nel nostro caso sembrerebbe che si stia cercando di far decollare un Santuario che non ha mai convinto e che i “gestori” susseguitisi non sono mai riusciti ad elevare alla sacralità degna di una struttura di tal genere.
Se il buon Dio ha lasciato che fra Immacolato portasse la sua croce chiuso nella sua casa al vertice di piazza Cuoco, di fronte alla stazione luogo di arrivo nella città, un Progetto c’è.
 Esso va compreso senza strappare il santo alla sua gente e cercando, anzi, di farlo conoscere ed amare principalmente dai suoi indifferenti concittadini.