Tommasa di
Molise, contessa di Campobasso
Si
ignora se fosse notte o dì, se il torrido sole estivo arroventasse la bianca
pietra del colle, su cui sorge la turrita Campobasso, o se il gelido vento
invernale spazzasse la neve, negli stretti vicoli del Borgo. Probabilmente era una
dolce primavera, o forse un tiepido autunno, l'unica certezza... il suono a festa
delle campane nel lieto giorno in cui, agli albori del XIV secolo, il conte
Guglielmo divenne padre per la prima volta. Una benedizione dal Cielo, anche per
scongiurare la fine della dinastia dei de Moulins. La gloriosa casata francese,
sotto la guida del capostipite Rodolfo, si era insediata, intorno all'anno
mille,
in un florido territorio dell'Italia centromeridionale che divenne il più vasto
e potente stato della monarchia normanna sul continente, e
che -secondo alcuni- prese il nome dai sui Signori chiamandosi, sin da allora,
"Molise".
Furono
pochi, in quel lontano 1307, ad avvedersi dell'impercettibile, repentina, smorfia
di stizza che solcò il viso del Conte nell'apprendere il sesso dell'erede. Di
sicuro, però, una sincera gioia avrà avuto il sopravvento sul timore del "finis
familiae". Certamente fu un sorridente Guglielmo a sollevare, sul proprio
capo, il soffice fagottino mostrandolo ai fedeli sudditi che salutarono, con
entusiastica ovazione, la piccola Tommasa.
Nulla
induce a dubitare che Tommasella crebbe spensierata e felice, in compagnia
della sorella minore Adalgisa, sognando il giorno in cui affiancare il conte
padre nell'esercizio del potere. Purtroppo, secondo quanto ritenuto da alcuni
storici, le venne a mancare prematuramente il genitore. Nel 1312 la tutela
delle bimbe sarebbe, quindi, stata affidata ad un nobile della casa d'Evoli e
fu allora costui, nel 1320, a concederla in sposa a Riccardo II Monforte
Gambatesa. Procedendo a ritroso da questo ferale anno, considerando che l'età
da marito si attestava in quell'epoca intorno ai 12/14 anni, si può osare una
presunta datazione della sua nascita nell'Anno del Signore 1307.
Riccardello...
chi era costui? Forse anch'egli d'origine franco-gallica era nipote di Riccardo
di Gambatesa, un illustre personaggio distintosi per fama e gloria dalle Alpi
alla Trinacria, ostiario e familiare regio, giustiziere dell'Abruzzo Ulteriore,
siniscalco di Provenza e Forcalquier. La
figlia Sibilia aveva sposato il di lui pupillo Giovanni Monforte, ed il
figliuolo dei due, Riccardo, aveva ereditato titoli, arme e cognome del
glorioso nonno, divenendo il primo Monforte-Gambatesa.
I
festeggiamenti per l'unione di Tommasa e Riccardo, rampolli della nobiltà
locale, furono degni del prestigio delle rispettive famiglie, come testimoniano
i reperti rinvenuti in quella che fu la loro dimora, un elegante palazzo in
stile federiciano,
pavimentato con pregevoli e variopinte mattonelle di protomaiolica. Raffinati
anche gli arredi come si può desumere da un frammento del vasellame (dote
nuziale) su cui campeggia il dipinto stilizzato dello stemma matrimoniale composto
dall'unione di quello dei Molise di Campobasso (alla banda caricata da tre
scudi) con quello dei Monforte–Gambatesa (alla croce accantonata da quattro
rose).
Non
mancò certamente la ragion di Stato in questi sponsali, elevandosi Riccardello
da barone a conte, o meglio a "principe consorte", considerato che mai
ebbe ufficialmente il titolo comitale. Al pari del padre Giovanni, egli si
ritrovò in una situazione di sudditanza rispetto alla più blasonata consorte
che, in quanto primogenita, raggiunta la necessaria maturità nel 1326, subentrò
al padre (o al tutore) nel governo cittadino. E' presumibile che, per la non
del tutto abrogata legislazione longobarda, Riccardo risultasse mundualdo della propria consorte
soggetta nei suoi atti alla potestà maritale,
ma l'intera esperienza di vita di Tommasa lascia intendere che ella fu sempre
protagonista assoluta non solo della sua stessa esistenza, ma di tutte le vicende
legate all'amministrazione della contea di Campobasso. Dall'amore dei due
nacque almeno un figlio di nome Carlo.
Nel
1338 durante l'assedio di Termini , in Sicilia, si concluse l'esperienza
terrena di Riccardo II e la 31e Tommasa, non più giovanissima (considerando
che l'età media si aggirava intorno ai quarantacinque anni), ma ancora
desiderabile ed "ottimo partito", convolò a seconde nozze con Berardo
d'Aquino, della stessa famiglia di san Tommaso. Di costui non resta ricordo,
essendo anch'egli venuto repentinamente a mancare, ma la prova del suo
lignaggio è nel Sepolcro, autentico gioiello d'Arte, contenuto in uno scrigno
ancor più prezioso qual è la basilica romanica di Santa Maria della Strada in
Agro di Matrice (CB).
Donna
Tommasa soggiornava lungamente nella Capitale, vicina al fastoso e complesso
ambiente di Corte, dove gelosie e complotti erano all'ordine del giorno. Fu
proprio a Napoli che il figlio si trovò invischiato in una tragica vicenda.
Carlo aveva sposato Sancia de Cabanis (Cabannis), discendente di una genia di
non nobili natali, ma ben affermatasi e fin troppo avvezza agli intrighi di
palazzo. Nel 1345 entrambi furono coinvolti nell'omicidio del principe Andrea d'Ungheria,
promesso sposo della regina Giovanna D'Angiò (mandante del delitto). Sancia fu
giustiziata mentre Carlo, presumibilmente perché figura marginale, o non del
tutto reo, fu salvato dall'intervento determinate della madre. Dopo il 1348, la
memoria di Carlo fu obliata e Tommasa associò alla gestione della "res
publica" un nipote, Angelo, il primo Monforte insignito del titolo di Conte
di Campobasso.
Una
pergamena, dall'elevato valore storico, tramanda che il 9 luglio 1376, nella
curia cittadina venne transatta una questione di eredità al cospetto del
luogotenente e del vicario dei conti: "Nos
Jandarellus Goffridi de Neapoli, magnificorum dominorum domne Thomasie de
Molisio et Angeli de Gambatesa, comittisse e comitis Campibassi".
In un documento del 4 giugno 1375, la "comitissa" risulta giudice
arbitrale nel sentenziare in una causa di eredità senza, però, la
partecipazione del nipote, appunto a rimarcare la sua prevalente autorità negli
uffici cittadini.
Nubi
di guerra si addensarono alla fine del 1300 nel cielo molisano, quando Amedo VI
di Savoia, il Conte Verde, alleato degli Angioini nella conquista di Napoli, giunse
con i suoi armati sotto le mura cittadine. "Il 17 febbraio 1383 Campobasso è
preparata a resistere. La resa è intimata alla città ed al reciso rifiuto
avutone segue il combattimento. Ma il resistere è vano e la contessa di Molise,
che allora stava a Capo di Campobasso, si fa a chiedere pace ordinando si
levasse sulla porta maggiore della città il segnale della resa"".
Con
un capolavoro di diplomazia l'austera castellana trasformò una potenziale
tragedia in due giorni di festeggiamenti in onore dell'importate ospite. Ella,
dopo essersi scusata con il Savoia, adducendo quale motivazione, il timore dei
campobassani alla vista di un così potente esercito, riuscì a far dimenticare l'incidente
diplomatico (scongiurando saccheggi e uccisioni) invitando i signori delle
terre vicine affinché si presentassero a rendere omaggio al principe vincitore,
in una Campobasso animata da un insolito movimento "che per niente sapeva di guerra, ma di pace e di affratellamento".
Nel
1384, per la prima volta in assoluto, il conte Angelo viene chiamato in causa
senza la presenza della nonna. Si può pertanto ragionevolmente supporre che la
volitiva, quanto longeva, contessa possa essersi spenta, oramai ottuagenaria, a
ridosso dell'ultima decade del XIV secolo.
La
scarsa tradizione agiografica, la mancanza di cronisti e la dispersione di
preziosi archivi hanno reso poco indagabile la figura di Tommasa di Molise che ha
incontrovertibilmente lasciato un'indelebile testimonianza del suo Governo. Su
Porta San Paolo, uno dei sei accessi al borgo medioevale di Campobasso, è
murato uno stemma con data 1374 (AD MCCCLXXIIII). Esso fu ivi incastonato in
occasione di ampliamenti o manutenzioni della cinta muraria e delle porte
cittadine. L'arme, ancor oggi visibile, contiene le insegne esclusive dei
Molise, a rimarcare la piena titolarità di donna Tommasa quale unica Signora
della Città.
Ancor oggi, quindi,
quella "banda sormontata da tre scudetti", emblema ante litteram dell'emancipazione
femminile, racconta dolori e glorie di una Dama che, oltre a governare il suo contado con sapienza e lungimiranza, seppe caparbiamente testa
a mariti, guerrieri e re.