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lunedì 12 maggio 2025

Il buio trasforma la fanciulla Delicata Civerra in un fantasma


...ora avvenne che Delicata Civerra s’innamorò di Alfonso Mastrangelo… 

Quei giovani ebbero una grandissima sventura, cioè di appartenere l’uno ad una fazione di ostinati com’erano i Crociati, e l’altra ad un partito di ambiziosi che si appellavano Trinitari.

Il Quotidiano del Molise del 24 novembre 2013


di Paolo Giordano

 “Nel punto in cui i due nuclei (l’abitato basso ed il castello al vertice) erano messi in comunicazione sorgeva una piazza d’armi, ben difesa da un articolato sistema, del quale rimane traccia evidente nei ruderi della  torre del Lupo, più nota come Terzano” (Gabriella Di Rocco – Cronache Casellane n° 161/2006).

Detto torrione è anche conosciuto come “di San Bartolomeo”, per la vicina chiesa, nonché “della Delicata Civerra”, poiché la tradizione vuole che il padre l’abbia ivi reclusa al fine di ostacolare l’amore tra lei e Fonzo Mastrangelo. Questa struggente storia fu pubblicata da Pasqaule Albino (1817-1899) per la prima volta nel 1848. Egli riprendendo un episodio “secondario” de “La Pace” (1841) di Michelangelo Ziccardi (1802-1845), diede alle stampe una novella in cui oltre alla vicenda romantica si affrontava un’attualissima, per l’epoca, questione politica. Infatti il superamento delle rivalità tra le fazioni locali (nello specifico Trinitari  e Crociati) stava a simboleggiare la pacificazione di tutti gli italiani con un unico obiettivo: l’Unità Nazionale.

I Civerra, secondo lo Ziccardi, furono tra coloro che “aggregaronsi” alla confraternita che “in quella nuova chiesa della Trinità si eresse”, mentre “i Mastrangeli” appartenevano “alla fraternita della Croce”. Il suo costrutto potrebbe, in un lettore distratto, ingenerare confusione quando afferma che “fu con solenne pompa seppellita da’ crociati in San Giorgio il sabato 13 marzo” 1587. Un tributo d’affetto tradivo ad una vittima delle scellerate lotte fratricide da parte degli “ex avversari”. Effettivamente in San Giorgio, prima dei restauri (anni ’80 del 1900), era murato, a destra entrando, un bassorilievo con Cristo morto che dicevasi essere la tomba della virtuosa giovane.

L’Albino, invece, è oltremodo chiaro: “ora avvenne che Delicata Civerra s’innamorò di Alfonso Mastrangelo… Quei giovani ebbero una grandissima sventura, cioè di appartenere l’uno ad una fazione di ostinati com’erano i Crociati, e l’altra ad un partito di ambiziosi che si appellavano Trinitari.” Insomma al giorno d’oggi Delicata, nelle fattezze di un manichino agghindato di tutto punto, è stata “nuovamente” (per motivi cultural-turistici) rinchiusa nella Torre. Ella tristemente siede ad un tavolo/scrittoio ed un cartellone bilingue ne narra le vicissitudini. Anche se è estremamente improbabile che questa struttura, sicuramente ancora funzionante per scopi militari alla fine del 1500, l’abbia “ospitata”, non si può che apprezzare l’intento di valorizzare le antiche vestigia cittadine, consentendo inoltre ai visitatori di entrare in contatto con la storia locale.

Però, al calar delle tenebre, la mancanza di illuminazione trasforma colei che fu “bellissima fanciulla di modi soavi” in un fantasma che a stento si intravede nelle inquietanti tenebre.

Tale situazione non poteva sfuggire al Pasquino di turno, che ha puntualmente infialato un biglietto tra le sbarre: “Vergogna!!! È mai possibile che sta cristiana debba continuare a soffrire al buio? Appicciatele una candela, perlomeno.”

La speranza è che l’accorato appello venga al più presto accolto!


Fonzo e Delicata
(di Antonio Pettinicchi)

 















Tommasa di Molise, contessa di Campobasso. Biografia pubblicata nel 2020 nell'Antologia BIOGRAFIE DI DONNE FAMOSE TRA REALTA' E LEGGENDA (Apollo Edizioni)


 

Le donne che hanno cambiato il mondo
non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla
se non la loro intelligenza
(Rita Levi Montalcini)


 

Tommasa di Molise, contessa di Campobasso

 

Si ignora se fosse notte o dì, se il torrido sole estivo arroventasse la bianca pietra del colle, su cui sorge la turrita Campobasso, o se il gelido vento invernale spazzasse la neve, negli stretti vicoli del Borgo. Probabilmente era una dolce primavera, o forse un tiepido autunno, l'unica certezza... il suono a festa delle campane nel lieto giorno in cui, agli albori del XIV secolo, il conte Guglielmo divenne padre per la prima volta. Una benedizione dal Cielo, anche per scongiurare la fine della dinastia dei de Moulins. La gloriosa casata francese, sotto la guida del capostipite Rodolfo, si era insediata, intorno all'anno mille[1], in un florido territorio dell'Italia centromeridionale che divenne il più vasto e potente stato della monarchia normanna sul continente,[2] e che -secondo alcuni- prese il nome dai sui Signori chiamandosi, sin da allora, "Molise".

Furono pochi, in quel lontano 1307, ad avvedersi dell'impercettibile, repentina, smorfia di stizza che solcò il viso del Conte nell'apprendere il sesso dell'erede. Di sicuro, però, una sincera gioia avrà avuto il sopravvento sul timore del "finis familiae". Certamente fu un sorridente Guglielmo a sollevare, sul proprio capo, il soffice fagottino mostrandolo ai fedeli sudditi che salutarono, con entusiastica ovazione, la piccola Tommasa.

Nulla induce a dubitare che Tommasella crebbe spensierata e felice, in compagnia della sorella minore Adalgisa, sognando il giorno in cui affiancare il conte padre nell'esercizio del potere. Purtroppo, secondo quanto ritenuto da alcuni storici, le venne a mancare prematuramente il genitore. Nel 1312 la tutela delle bimbe sarebbe, quindi, stata affidata ad un nobile della casa d'Evoli[3] e fu allora costui, nel 1320, a concederla in sposa a Riccardo II Monforte Gambatesa. Procedendo a ritroso da questo ferale anno, considerando che l'età da marito si attestava in quell'epoca intorno ai 12/14 anni, si può osare una presunta datazione della sua nascita nell'Anno del Signore 1307.

Riccardello... chi era costui? Forse anch'egli d'origine franco-gallica era nipote di Riccardo di Gambatesa, un illustre personaggio distintosi per fama e gloria dalle Alpi alla Trinacria, ostiario e familiare regio, giustiziere dell'Abruzzo Ulteriore, siniscalco di Provenza e Forcalquier.[4] La figlia Sibilia aveva sposato il di lui pupillo Giovanni Monforte, ed il figliuolo dei due, Riccardo, aveva ereditato titoli, arme e cognome del glorioso nonno, divenendo il primo Monforte-Gambatesa[5].

I festeggiamenti per l'unione di Tommasa e Riccardo, rampolli della nobiltà locale, furono degni del prestigio delle rispettive famiglie, come testimoniano i reperti rinvenuti in quella che fu la loro dimora, un elegante palazzo in stile federiciano[6], pavimentato con pregevoli e variopinte mattonelle di protomaiolica[7]. Raffinati anche gli arredi come si può desumere da un frammento del vasellame (dote nuziale) su cui campeggia il dipinto stilizzato dello stemma matrimoniale composto dall'unione di quello dei Molise di Campobasso (alla banda caricata da tre scudi) con quello dei Monforte–Gambatesa (alla croce accantonata da quattro rose)[8].

Non mancò certamente la ragion di Stato in questi sponsali, elevandosi Riccardello da barone a conte, o meglio a "principe consorte", considerato che mai ebbe ufficialmente il titolo comitale. Al pari del padre Giovanni, egli si ritrovò in una situazione di sudditanza rispetto alla più blasonata consorte che, in quanto primogenita, raggiunta la necessaria maturità nel 1326, subentrò al padre (o al tutore) nel governo cittadino. E' presumibile che, per la non del tutto abrogata legislazione longobarda, Riccardo risultasse mundualdo della propria consorte soggetta nei suoi atti alla potestà maritale[9], ma l'intera esperienza di vita di Tommasa lascia intendere che ella fu sempre protagonista assoluta non solo della sua stessa esistenza, ma di tutte le vicende legate all'amministrazione della contea di Campobasso. Dall'amore dei due nacque almeno un figlio di nome Carlo.

Nel 1338 durante l'assedio di Termini , in Sicilia, si concluse l'esperienza terrena di Riccardo II e la 31e Tommasa, non più giovanissima (considerando che l'età media si aggirava intorno ai quarantacinque anni), ma ancora desiderabile ed "ottimo partito", convolò a seconde nozze con Berardo d'Aquino, della stessa famiglia di san Tommaso. Di costui non resta ricordo, essendo anch'egli venuto repentinamente a mancare, ma la prova del suo lignaggio è nel Sepolcro, autentico gioiello d'Arte, contenuto in uno scrigno ancor più prezioso qual è la basilica romanica di Santa Maria della Strada in Agro di Matrice (CB)[10].

Donna Tommasa soggiornava lungamente nella Capitale, vicina al fastoso e complesso ambiente di Corte, dove gelosie e complotti erano all'ordine del giorno. Fu proprio a Napoli che il figlio si trovò invischiato in una tragica vicenda. Carlo aveva sposato Sancia de Cabanis (Cabannis), discendente di una genia di non nobili natali, ma ben affermatasi e fin troppo avvezza agli intrighi di palazzo. Nel 1345 entrambi furono coinvolti nell'omicidio del principe Andrea d'Ungheria, promesso sposo della regina Giovanna D'Angiò (mandante del delitto). Sancia fu giustiziata mentre Carlo, presumibilmente perché figura marginale, o non del tutto reo, fu salvato dall'intervento determinate della madre. Dopo il 1348, la memoria di Carlo fu obliata e Tommasa associò alla gestione della "res publica" un nipote, Angelo, il primo Monforte insignito del titolo di Conte di Campobasso.

Una pergamena, dall'elevato valore storico, tramanda che il 9 luglio 1376, nella curia cittadina venne transatta una questione di eredità al cospetto del luogotenente e del vicario dei conti: "Nos Jandarellus Goffridi de Neapoli, magnificorum dominorum domne Thomasie de Molisio et Angeli de Gambatesa, comittisse e comitis Campibassi"[11]. In un documento del 4 giugno 1375, la "comitissa" risulta giudice arbitrale nel sentenziare in una causa di eredità senza, però, la partecipazione del nipote, appunto a rimarcare la sua prevalente autorità negli uffici cittadini[12].

Nubi di guerra si addensarono alla fine del 1300 nel cielo molisano, quando Amedo VI di Savoia, il Conte Verde, alleato degli Angioini nella conquista di Napoli, giunse con i suoi armati sotto le mura cittadine[13]. "Il 17 febbraio 1383 Campobasso è preparata a resistere. La resa è intimata alla città ed al reciso rifiuto avutone segue il combattimento. Ma il resistere è vano e la contessa di Molise, che allora stava a Capo di Campobasso, si fa a chiedere pace ordinando si levasse sulla porta maggiore della città il segnale della resa""[14].

Con un capolavoro di diplomazia l'austera castellana trasformò una potenziale tragedia in due giorni di festeggiamenti in onore dell'importate ospite. Ella, dopo essersi scusata con il Savoia, adducendo quale motivazione, il timore dei campobassani alla vista di un così potente esercito, riuscì a far dimenticare l'incidente diplomatico (scongiurando saccheggi e uccisioni) invitando i signori delle terre vicine affinché si presentassero a rendere omaggio al principe vincitore, in una Campobasso animata da un insolito movimento "che per niente sapeva di guerra, ma di pace e di affratellamento".

Nel 1384, per la prima volta in assoluto, il conte Angelo viene chiamato in causa senza la presenza della nonna. Si può pertanto ragionevolmente supporre che la volitiva, quanto longeva, contessa possa essersi spenta, oramai ottuagenaria, a ridosso dell'ultima decade del XIV secolo.

La scarsa tradizione agiografica, la mancanza di cronisti e la dispersione di preziosi archivi hanno reso poco indagabile la figura di Tommasa di Molise che ha incontrovertibilmente lasciato un'indelebile testimonianza del suo Governo. Su Porta San Paolo, uno dei sei accessi al borgo medioevale di Campobasso, è murato uno stemma con data 1374 (AD MCCCLXXIIII). Esso fu ivi incastonato in occasione di ampliamenti o manutenzioni della cinta muraria e delle porte cittadine. L'arme, ancor oggi visibile, contiene le insegne esclusive dei Molise, a rimarcare la piena titolarità di donna Tommasa quale unica Signora della Città.

Ancor oggi, quindi, quella "banda sormontata da tre scudetti", emblema ante litteram dell'emancipazione femminile, racconta dolori e glorie di una Dama che, oltre a governare il suo contado con sapienza e lungimiranza, seppe caparbiamente testa a mariti, guerrieri e re.

[1] Il Sannio Pentro, Editoriale Rufus,1991

[2]Le Garzantine, Medioevo, Garzanti, 2007

[3] Storia di Campobasso Vol I, Linotipia veronese Ghidini  e Fiorini, 1960

[4] Dizionario Biografico degli Italiani Vol 52, Istituto Traccani, 1999

[5] Vite di avventura di fede e di Passione, Adelphi edizioni,1989 - Archeomolise n° 17, Archeoidea, 2013

[6] Echi del Sannio, Banca Popolare Province Molisane, 2017

[7]Il più antico pavimento in protomaiolica nel regno di Napoli, MiBAC, 2006

[8] Archeomolise n° 17, Archeoidea, 2013

[9] Storia di Campobasso Vol I, Linotipia veronese Ghidini  e Fiorini, 1960

[10] Santa Maria della Strada in Matrice, Leo S.Olschki, 1955

[11] Almanacco del Molise 1983, dizioni ENNE, 1984

[12] Almanacco del Molise 1983, dizioni ENNE, 1984

[13] Origine e progressi della Monarchia di Savoia, coi tipi di M. Cellini e C,. 1869

[14] Amedeo VI di Savoia in Campobasso-Ricordi Patri, manoscritto Archivio di Sato di Campobasso, 1893