Pensieri



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lunedì 16 luglio 2012

Il Lavoro è sacro, ma non si può prescindere dal rispetto della Città e della sua Storia: lo strano caso di un chiosco per alimenti proprio al centro di villetta Flora a Campobasso.


di Paolo Giordano

Con regio decreto del 1856 fu approvato un regolamento edilizio che in un suo capitolo affrontava “l'abbellimento della città” stabilendo le regole per salvaguardarne e favorirne il "decoro". In quegli anni nacque villetta Flora realizzata su largo san Lazzaro, conosciuto precedentemente come “le vignarelle” perché, appunto, coltivato a viti. Al centro dell’area verde c’è una fontana con vasca circolare, polo d’attrazione per i bimbi desiderosi di ammirare i pesciolini che vi nuotano. Il laghetto è dominato dalla statua di Flora (opera di Giuseppe Prinzi da Messina datata 1873) posta su un basamento lapideo a sua volta sorretto da uno rustico coperto di verzure. Il giardino, progetto di Eduardo De Giorgio, fu inaugurato il 4 agosto 1873 e come scrisse “il Popolo Molisano” (1921) “signore e fanciulli passano, numerosi, intere ore a godere con la più gradevole freschezza un igienico riposo” nel sito che per i campobassani era “come un autentico ed elegante chalet”… 
E proprio per una letterale interpretazione del temine, ma in pieno contrasto con le regole del decoro urbano, da giugno è stato ivi montato un mini chalet, “distributore di creps”, che per sua maggior stabilità appoggia addirittura sulla recinzione in ferro della vasca. A questo punto, oltre che a godere del fresco, i passanti, che già respirano gli “ottimi” gas di scarico degli autobus, possono nutrirsi di gustose leccornie. Non si vuole contestare tout court la presenza della struttura, ma forse la si sarebbe potuta collocare diversamente....

L’unica a manifestare, con inascoltata fermezza, la propria perplessità è Flora, che con la mano sembra voler dire: “Oh… ma che c’avete in testa?!”




Il "decoro" fece di un "luogo" la Città Giardino. Il recupero dei monumenti campobassani: La statua di Flora di Giuseppe Prinzi nella villa omonima in Campobasso.


Il Quotidiano del Molise
del 17 maggio  2012



di Paolo Giordano

Il nuovo ruolo amministrativo di capoluogo che Campobasso andò progressivamente acquistando agli inizi del XIX secolo ne favorì sia l'aumento demografico che l'espansione urbanistica. In quegli anni a ridosso del nucleo medioevale si sviluppò il "Borgo Murattiano", la così detta città giardino, in cui si alternavano armoniosamente edifici ed aree verdi. Con regio decreto del 1856 fu approvato un regolamento edilizio che in un suo capitolo affrontava "l'abbellimento della città" stabilendo le regole per salvaguardarne e favorirne il "decoro". E' in questa fase, in una logica di razionale sviluppo urbano, che si inserisce la nascita di villetta Flora. Essa fu realizzata su largo san Lazzaro, conosciuto precedentemente come "le vignarelle" perché appunto coltivato a viti. Il valore sociale e culturale di tale spazio è dovuto all'essere anello di congiunzione tra la Campobasso vecchia, arroccata sul monte, e quella nuova, che si stava aprendo al futuro. Al centro dell'area verde è una fontana con vasca circolare, secolare polo d'attrazione per i bimbi desiderosi di ammirare i pesciolini che vi nuotano. Il laghetto è dominato dalla statua di Flora posta su un basamento lapideo a sua volta sorretto da uno rustico coperto di verzure. Se si escludono gli arredi di villa De Capoa quest'opera è l'unica in marmo ed è la più antica in città. Fu realizzata dallo scultore Giuseppe Prinzi da Messina. La Soprintendenza per i Beni Storici Artistici del Molise ha provveduto al  restauro di alcuni importanti monumenti cittadini primo fra tutti l'affascinante Flora. Delicato e pazienze l'interevento degli esperti tecnici della ditta RE. CO. di Roma, che hanno dovuto affrontare gli estesi attacchi di microrganismi e piante infestanti, nonché stuccare crepe e fessurazioni. A lavori terminati, dopo aver rimosso depositi vari ed incrostazioni, la seducente dea è tornata agli antichi splendori così come la videro gli intervenuti all'inaugurazione del 4 agosto 1873. 
Sulla sua base, grazie alla potatura della siepe, è nuovamente visibile la scritta “Cav. Prinzi F.– Roma 1873”, che purtroppo è stata da subito ignobilmente scheggiata dal “minus habens” di turno. Il giardino, progetto di Eduardo De Giorgio, apparve ai campobassani "come un autentico ed elegante chalet". Ed ancor oggi, pur se assediato dagli autobus (ne è il capolinea) rappresenta un insostituibile punto di incontro "ove -come scriveva "il Popolo Molisano" nel 1921- signore e fanciulli passano, numerosi, intere ore a godere con la più gradevole freschezza un igienico riposo"


Dalle foto (per gentile concessione della Soprintendenza) è possibile constatare le varie fasi del restauro: dalla condizione iniziale al risultato finale.















lunedì 9 luglio 2012

La "differenziata" è nata nel Meridione nel 1832.

Il Quotidiano del Molise
24/11/2010


Drammatico il racconto sulle ecomafie reso da Roberto Saviano
nella puntata di lunedì sera di Vieni via con me; scioccante, coinvolgente se si considerano le ricadute che l’affare della munnezza napoletana produce contaminando la classe politica fino a condizionare la gestione della vita pubblica. Roberto Saviano con l’intento di riscattare il popolo napoletano dall’immeritata fama di munnezzari ha ricordato come la raccolta differenziata sia nata proprio a Napoli, nel 1832, con l’emanazione di una legge da parte dei Ferdinando II di Borbone per la raccolta delle immondizie in tutto il regno delle Due Sicilie. Notizia che  Il Quotidiano aveva già pubblicato lo scorso 21 agosto data in cui ancora una volta esplodeva in piena drammaticità il problema dei rifiuti a Napoli e in Campania. L’articolo sottolineava appunto: I Sovrintendenti, constatata la grande popolosità delle maggiori città, e le frenetiche attività artigianali svolte nei vicoli, avevano segnalato al re la necessità di legiferare in materia. Dall’interazione tra i vari apparati statali nacque il primo regolamento ante-litteram sulla raccolta differenziata ed a farlo rispettare furono preposti i Prefetti di polizia. Le sanzioni erano certe, chiare e prive di scappatoie: “Art.10 - Ogni contravvenzione al disposto nei precedenti articoli, sarà punita con pena di detenzione e ammenda di Polizia a seconda dei casi”. Con la nuova norma, sia stimolando il senso civico, sia prospettando sanzioni penali, si voleva coinvolgere ogni singolo cittadino, perché collaborasse integrandosi con il servizio pubblico per lo smaltimento.“ (...) obbligo di far ispazzare la estensione di strada corrispondente al davanti della rispettiva abitazione, bottega cortile ecc. per lo sporto non minore di palmi 10 di distanza dal muro e dal posto rispettivo. Questo spazzamento dovrà essere eseguito in ciascuna mattina prima dello spuntar del sole, usando l’avvertenza di ammonticchiarsi le immondizie al lato delle rispettive abitazioni, e di separarne tutti i frammenti di ferro, di cristallo o di vetro che si troveranno riponendoli”.

DIFFERENZIATA, un'esigenza "antica"! Nel 1832 fu emanata una legge di 12 articoli pe rla raccolta dell'immondizia nel Regno delle Due Sicilie.


Il Quotidiano del Molise
del 21 agosto 2010 



di Paolo Giordano

Ferdinando II di Borbone
Non è raro incontrare, nei paesi meridionali, delle vecchine che spazzino dinanzi alla propria abitazione.
Viene da pensare che suppliscano ad una carenza istituzionale, ma la realtà potrebbe essere ben diversa.
Nel 1832 fu emanata una legge, composta da 12 articoli, per la raccolta delle immondizie in tutto il regno delle Due Sicilie.
I Sovrintendenti, constatata la grande popolosità delle maggiori città, e le frenetiche attività artigianali svolte nei vicoli, avevano segnalato al re la necessità di legiferare in materia.
Dall’interazione tra i vari apparati statali nacque il primo regolamento ante-litteram sulla raccolta differenziata ed a farlo rispettare furono preposti i Prefetti di polizia.
Le sanzioni erano certe, chiare e prive di scappatoie: “Art.10 - Ogni contravvenzione al disposto nei precedenti articoli, sarà punita con pena di detenzione e ammenda di Polizia a seconda dei casi”.
Con la nuova norma, sia stimolando il senso civico, sia prospettando sanzioni penali, si voleva coinvolgere ogni singolo cittadino, perché collaborasse integrandosi con il servizio pubblico per lo smaltimento.“ (...) obbligo di far ispazzare la estensione di strada corrispondente al davanti della rispettiva abitazione, bottega cortile ecc. per lo sporto non minore di palmi 10 di distanza dal muro e dal posto rispettivo. Questo spazzamento dovrà essere eseguito in ciascuna mattina prima dello spuntar del sole, usando l'avvertenza di ammonticchiarsi le immondizie al lato delle rispettive abitazioni, e di separarne tutti i frammenti di ferro, di cristallo o di vetro che si troveranno riponendoli”.
Poiché gli addetti alla raccolta trasportavano i rifiuti indistinti caricandosi in spalla grossi sacchi di canapa, bisognava, per tutelare l’incolumità degli operatori, separare l’umido dal ferro e dal vetro.
Questi ultimi due materiali, poi, venivano accuratamente ritirati da “uomini e carri autorizzati” per il loro ”ammucchiamento”, recuperando così, due preziose materie prime importate dall’estero.
Alla luce di questa interessante scoperta d’archivio, è d’obbligo associarsi a chi si è già posto una provocatoria una domanda:
per organizzare una corretta ed efficace raccolta differenziata non sarebbe più proficuo incaricare degli archivisti, piuttosto che degli ingegneri?

lunedì 2 luglio 2012

Ferdinando II di Borbone ed il senatore Luigi Di Bartolomeo, sindaco di Campobasso: similitudini, comunanze, differenze.... e speranze per il futuro.

il Quotidiano del Molise
del 25/02/2012


di Paolo Giordano

sen. Luigi Di Bartolomeo
Sindaco di Campobasso
“Non sono Schettino, non abbandono la nave io!”
Frase, divenuta celebre, pronunciata con la consueta veemenza dal nostro Primo Cittadino in un momento drammatico (non il solo purtroppo) dell’Amministrazione da lui presieduta. Non attraversa certo un momento felice il Sindaco, e nemmeno la nave da lui governata solca mari tranquilli. Se non dovesse riuscire a frenare l’ammutinamento in corso, non riuscendo a    guadagnare la rotta, saprà affondare al grido di “tutto è perduto fuorché l’onore” facendosi sommergere dai flutti. Ma di lui dovremo conservare ugualmente un buon ricordo. In fondo siamo stati noi a consegnargli (in un  modo o nell'altro) quel “giocattolo” che tanto desiderava per coronare un’intensa carriera politica.
E adesso di che ci lamentiamo? La colpa è anche la nostra!
Ma riflettiamo ancora… e d’altro!
S.A.R. Ferdinando II
“Ferdinado II di Borbone si prestava facilmente alle critiche per il suo comportamento. Di carattere impetuoso ed autoritario, amava esprimersi in dialetto usando un linguaggio greve. Dava del tu a tutti e sapeva farsi amare dal popolo con comportamenti plateali graditi ai suoi sudditi.” Così scrive Arrigo Petacco sull’amato sovrano del regno di Napoli non risparmiandogli critiche per le battute scurrili, per la mancanza di eleganza nei modi e per la propensione a scherzi sgarbati e pesanti: una volta sfilò la sedia alla regina Maria Cristina di Savoia (oggi venerata quale Santa), facendola cadere in terra tra le risate dei presenti. Benedetto Croce definì i suoi (non senza ironia) “veri atti da re”. Come ad esempio il togliersi il sigaro di bocca per darlo al primo “lazzarone” che incontrava. Eppure lo studioso Ferdinando Acton ne esalta le qualità parlandone come “un pater familias partenopeo, cosciente del suo potere e della sua virilità, che non si limitò a occupare il trono, ma lo riempì fino alla massima capienza”. Chi se la sente di negare che il sindaco di Campobasso potrebbe ispirarsi, nel suo populismo, a Sua Maestà? Ad entrambi non suscitano simpatia “gli intellettuali”. Se uno sembra inviti “i suoi” a non leggere i giornali, l’altro definiva “pennaruli” gli uomini di cultura. Anche il rapporto con l’alto clero li accomuna. Mentre il Primo cittadino e l’Arcivescovo hanno avuto “alcune diversità di vedute”, alle prime sconvolgenti riforme liberali di Pio IX, il sovrano duosiciliano commentò “stu prevetarello sta guastanne tutt’e cose!” Infine non ci si può esimere dal raccontare un episodio campobassano. Venuto in Molise, dopo aver visitato la Cattedrale del Capoluogo realizzata dal Musenga con attenti criteri antisismici, il monarca (forse a ragione) commentò: “Agg vist’ ‘a chiesa. Mi piace! Avet’ fatt’ nu bell’ scatolone pe’ i ccavalli!”. Arrigo Petacco, però, presenta anche un “rovescio della medaglia”. “Ferdinando II, che pur non esitò, quando lo ritenne opportuno, ad adoperare bruschi metodi repressivi, si impegnò per modernizzare il suo Paese anche sviluppando la produzione industriale”. Durante il suo regno furono inaugurati, per la prima volta nella penisola, il primo piroscafo a vapore, la prima ferrovia, il primo ponte sospeso in ferro, la prima forma di raccolta differenziata dei rifiuti, la prima illuminazione a gas e Napoli ebbe il primato nello sviluppo edilizio. Ripulì la Corte dai ministri e dai faccendieri più corrotti. Ridusse drasticamente il suo appannaggio e dimezzò o eliminò tutte le rendite elargite in precedenza ai cortigiani. Abolì tantissime feste di Palazzo devolvendone i fondi ad opere di pietà.
Il parallelismo fino ad ora riscontrato, anche alle luce delle ultime analisi e dichiarazioni del Senatore (parliamo degli inizi del 2012 n.d.r.), lascerebbe ben sperare per il futuro.
Anche per il Capoluogo regionale, insomma, si starebbe concretizzando quel “rovescio della medaglia” fatto di progresso, sviluppo e ricchezza.

I Campobassani attendono!



Quando due molisani andarono ad arrestare il Papa. Nel 1303 Pietro ed Orlando di Lupara parteciparono alla "cattura" di Bonifacio VIII


Il Quotidiano del Molise
del 25 giugno 2012

di Paolo Giordano

Bonifacio VIII fatto prigioniero ad Anagni 
miniatura secolo XIV dal Codice 
Chigi della “Nuova Cronica” 
di Giovanni Villani, 
Roma, Biblioteca Vaticana.
Il 7 settembre 1303 Anagni venne presa d’assalto da Sciarra Colonna e Guglielmo di Nogaret, “emissari” del re Filippo il Bello, colui che decretò anche la fine dei Templari. Bisognava catturare Bonifacio VIII, reo d’aver ribadito al sovrano la superiorità del Papa su ogni creatura e, quindi, su ogni autorità umana. Leggenda vuole, ma non vi è riscontro, che all’atto dell’arresto il Pontefice sia stato schiaffeggiato con i guanti (di ferro?) da Giacomo Colonna, detto Sciarra. Il soprannome derivava dall’omonima parola che nel volgare dell’epoca significava “litigioso, attaccabrighe”. Ancor oggi “sciarrare”, nel sud Italia, sta per “litigare, discutere con violenza”. Nelle schiere capeggiate dal “rissoso” nobile romano, e dal giurista francese, c’erano anche due “signorotti della piccola nobiltà cadetta del contado di Molise, di quelli che se non menano le mani non si sentono in carattere” (V.E. Gasdia). Erano Pietro di Lupara, signore anche di Matrice, Limosano e Castelbottaccio, e suo figlio Orlando. Appartenenti forse ad un ramo cadetto dei Molisio che “con la signoria acquistata su Lupara ne presero il predicato”. La partecipazione ai fatti di Anagni causò loro la privazione di parte dei possedimenti, anche se, con il passare del tempo, “la grazia sovrana ridiscese piena sul capo di questi feudatari”. Ma torniamo alla notte in cui i congiurati, i molisani tra i primi, si gettarono allo sbaraglio entrando in Anagni attraverso un passaggio aperto dal traditore Adenolfo de Papa, capitano della rocca. I Lupara, tra i più esagitati, per conquistare il Palazzo ne aggirarono le difese penetrando nel Duomo. Qui si imbatterono nel clero che sperava di aver trovato rifugio nella casa di Dio. Tra i prelati v’era Gregorio di Katupani, acivescovo eletto di Grau o di Strigonia, magnate e arciancelliere del regno magiaro, protetto del re di Napoli. Gregorio aveva incontrato il padre di Pietro, il viceammiraglio Nicola di Lupara, morto proprio in Ungheria il 23/06/1301 mentre era in missione per scortare Caroberto, figlio di Carlo Martello, in quelle terre di cui era Re. A nulla valse questa precedente conoscenza, anzi proprio per chi sa quale ragione legata forse a quel viaggio, Pietro, con inumana crudeltà, istigò il figlio titubante dinanzi all’abito ecclesiastico: ammazza, ammazza! “E nel santuario l’alta persona del prelato si abbatté morta al suolo nel lago del suo proprio sangue. La sola vittima cruenta  e sacrilega di questo mostruoso atto (la presa di Anagni) fu il prelato straniero. Del suo destino si commossero gli Anagnini che fino a non molti anni addietro credevano di ravvisare sul pavimento l’indelebile macchia del suo sangue” (Gasdia). Quali altre efferatezze, o normali azioni di guerriglia in battaglia, abbiano poi compiuto i due Lupara non ci è stato tramandato. Probabilmente entrarono nel Palazzo con lo Sciarra per arrestare Pietro Caetani. Di sicuro furono, nel bene o nel male, attivi protagonisti di un’importante vicenda. Ironia della sorte un altro figlio di Pietro, Nicola, generò Angelo che divenne vescovo di Bojano dal 1345 al 1364.
La nobile famiglia si imparentò anche con i Monforte (Clemenza andò in sposa a Manfredi Monforte), ma il  Cognome scomparve, estintisi i discendenti maschi. E’ comunque innegabile che nei secoli addietro i nostri avi si siano distinti, risultando protagonisti e non comparse, in eventi storici. Altro che il maggiordomo di Benedetto XVI, che sarebbe d’origini molisane: questi si è limitato a fare lo “spione”. Vi furono tempi ben “gloriosi” in cui i molisani procedettero, addirittura, all’arresto di un Papa!

Anagni, Palazzo di Bonifacio VIII.
Sala delle oche


Anagni, Palazzo di Bonifacio VIII.
Sala dell'oltraggio

Anagni, una foto d'epoca del
Palazzo Civico, XI - XIII secolo