Pensieri



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martedì 14 ottobre 2014

LE SINDACALI FASCISTE DI BELLE ARTI D’ABRUZZO E MOLISE: GLI ARTISTI MOLISANI. conferenza di Alberindo Grimani - Roma 24/11/1991

E' con onore e piacere che, su gentile concessione dell'autore, pubblico il testo di un'interessantissima conferenza sull'arte in Molise tenutasi a Roma nell'oramai troppo lontano 1991.
A prescindere dai gusti personali ogni movimento artistico (ed il relativo momento storico) va studiato senza preconcetti di sorta.
Al di la del titolo che potrebbe (erroneamente) essere letto in maniera riduttiva, si spazia nel panorama culturale molisano offrendo non solo preziose informazioni sull'Arte, ma anche tracciando la panoramica di Terra tutt'altro che arretrata e fuori dai circuiti nazionali.

Ringrazio ancora lo studioso Alberindo Grimani per la dimostrazione di amicizia e stima.


LE SINDACALI FASCISTE DI BELLE ARTI D’ABRUZZO E MOLISE: 

GLI ARTISTI MOLISANI.


di Alberindo Grimani

 (Roma, 24 novembre 1991)

1. Nella vita culturale di un territorio spesso viene dimenticata l’influenza svolta in epoca quasi recente da personaggi di elevato livello; sicché` capita di non ricordare che e` anche grazie al loro contributo che le caratteristiche umane, politiche e sociali di una terra finiscono per diventare gli aspetti essenziali della comunità` e dei luoghi in cui la stessa si inserisce.
    Il Molise, terra per antonomasia di tratturi e colline salubri e vari corsi d’acqua, ove l’unico, Santo Pietro da Morrone Celestino V ha riempito interi secoli di letteratura a cominciare da Dante, è stato l’ultimo a diventare regione ed a trovare posto nel seno territoriale in cui e` suddivisa la nostra repubblica. Ultima e ventesima regione.
  Ma per arrivare a questo, quanta lotta e` stata affrontata, quante vicissitudini sono state a volte felicemente superate ed altre duramente respinte, quanti uomini hanno speso il loro ingegno ed il loro tempo! La gente di oggi non conosce i loro nomi ed anche se li ha sentiti nominare non sa cosa essi abbiano potuto fare o sopportare per avere intitolata una strada o una scuola o  un monumento che li ricorda.
    E` la vita che corre, anzi che scorre nel tempo e scivola via in maniera impercettibile; sicché quello che e` stato fatto e` vero che resta, ma chi se ne ricorda?

2. La storia che abbiamo voluto ricostruire riguarda quel gruppo di nostri artisti - pittori, scultori, incisori e disegnatori - che nel periodo degli anni ‘30 (ed anche in quelli successivi) rappresentarono il Molise alle manifestazioni di Belle Arti locali e nazionali. Molti di essi risulteranno ai lettori degli illustri sconosciuti, come il manzoniano Carneade; pero` negli anni `30 i loro nomi erano sulla bocca di amici, paesani e corregionali e per l’uomo serio e di cultura pronunziare uno di quei nomi era come accostarlo a persone di rango superiore.
   L’autorità civile di allora era rappresentata dal Podestà (l’attuale Sindaco) e dal Maestro, come anche dal Parroco e dal Farmacista; ma erano anche sinonimo di altolocato il Maresciallo dei carabinieri, il Pittore, lo Scrivano. Quando, poi, c’erano anche il Vescovo, i Professori, lo Scrittore, beh!, allora la cittadina si poteva dire che avesse una certa importanza nell’ambito del territorio.

3. Le sindacali fasciste di Belle Arti dell’Abruzzo e del Molise da noi prese in considerazione sono quelle svoltesi nei capoluoghi di provincia dell’allora unita regione.
    La prima di esse si tenne a L’Aquila nel 1932 e solo tre anni dopo si allestì la seconda nel 1935 sempre nella stessa città, continuando in seguito annualmente. La terza vide la luce a Pescara nel 1936, mentre la quarta ebbe luogo a Campobasso nel Molise nell’anno successivo 1937; tocco` poi a Teramo la quinta nel 1938 ed infine a Chieti la sesta ed ultima della nostra rassegna nel 1939. Poi arrivo` la seconda guerra mondiale...

4. Non ci risulta che per l’Abruzzo e Molise sia stato fatto un lavoro relativo a queste manifestazioni.
   Abbiamo di proposito ristretto il campo ai soli artisti molisani trascurando tutti gli altri, compresi quelli delle Marche che in una sindacale furono invitati a partecipare: quella di Teramo del 1938.  Inoltre, tra gli artisti del Molise - così come anche lo fu per quelli d’Abruzzo e Marche - figurano non solo quelli nati ed operanti nella regione, ma anche quelli che pur non essendo molisani di origine risiedevano tra di noi per lavoro o studio (vedasi il caso di S.E. Costanzo Gazzera, nato a Torino ma residente a Campobasso nel 1937 in quanto era il Prefetto) e quelli che erano molisani per nascita ma vivevano ed operavano in altre regioni (ad esempio: Arnaldo De Lisio e Francesco Paolo Diodati che vivevano a Napoli).

5.  Le manifestazioni sindacali provinciali o interprovinciali di Belle Arti erano un avvenimento eccezionale e particolare per ogni artista; ed il parteciparvi o essere invitato a partecipare era un sogno che tutti potevano realizzare. I migliori venivano invitati ad esporre i lavori alla mostra nazionale sindacale. Non era necessario essere per forza iscritti al sindacato, tant’è vero che solo in occasione della mostra di Campobasso del 1937 in calce all’elenco degli espositori viene riportata, in caratteri abbastanza piccoli, la nota "Gli artisti segnati con asterisco sono iscritti al Sindacato Belle Arti". 
   D’altronde gli stessi concetti esprime Maurizio Fagiolo dell’Arco nel catalogo della mostra "Scuola romana - pittori tra le due guerre" tenutasi a Roma nel 1983, quando scrive a pag.19: "Resta il fatto che, almeno formalmente, il deprecato regime un suo comportamento verso l’arte lo esprime: 
1) si affida, prima di tutto, a tecnici del settore;
2) non impedisce l’espressione a tutti i dissidenti (emigrati a Parigi, scuola romana, astratti; 
3) non privilegia l’opera di gruppi (come il futurismo di S. E. Marinetti) rispetto ad altri; 
4) non rende obbligatorio rappresentare il Duce (e chi lo faceva, oggi, non a caso, esibisce tessere di sinistra o detiene Archivi e Fondazioni". 
  Quanto sopra senza intenzione alcuna di suscitare polemiche, ma solo per chiarire l’interesse che avevano gli artisti a partecipare alle sindacali. Infatti se scorriamo i sei cataloghi non deve far meraviglia trovare, accanto a nomi di perfetti sconosciuti anche agli addetti ai lavori, artisti di sicuro prestigio e di vasta notorietà anche oggi. E citeremo i non molisani, per non far torto ad alcuno: i Cascella (Basilio, Tommaso, Michele, Giovacchino), Raffaello Celommi, Carlo D’Aloisio da Vasto, Nicola D’Antino, Vincenzo Irolli, Pippo Rizzo, Luigi Servolini, ecc.

6. Nelle manifestazioni delle sindacali in terra d`Abruzzo, gli artisti molisani furono cosi` presenti: nella prima a L`Aquila 1932 con 3 esponenti - R. Musa, G. Ruggiero e M. Scarano; nella seconda a L’Aquila 1935 con 4 esponenti - N. Greco, G. Ruggiero, M. Scarano ed E. Trabucco; nella terza a Pescara 1936 diventano 6 - N. Fiocca, N. Greco, G. Ruggiero, M. Scarano, E. Trabucco ed A. Trivisonno; nella quinta a Teramo 1938  salgono a 7 - A. Germano, N. Greco, V. Manocchio, G. Ruggiero, M. Scarano, E. Trabucco ed A. Trivisonno; nella sesta a Chieti 1939 toccano i 5 - A. Greco, T. Nespeca, G. Ruggiero, M. Scarano ed E. Trabucco.
   A Campobasso nel 1937 si raggiunse la punta massima degli espositori molisani: 22. 
  I soli a partecipare a tutte le 6 manifestazioni furono Giovanni RUGGIERO e Marcello SCARANO.

7La IV mostra d’arte del sindacato interprovinciale fascista Belle Arti dell’Abruzzo e Molise si tenne a Campobasso nel Palazzo della Scuola "Enrico D’Ovidio".nel periodo 1-31 agosto 1937, anno XV Era Fascista.

CONFEDERAZIONE FASCISTA PROFESSIONISTI ED ARTISTI.                   

On. ALESSANDRO PAVOLINI Presidente
On. ANTONIO MARAINI Segretario del Sindacato Nazionale Fascista Belle Arti
Prof. DOMENICO CIFANI Segretario del Sindacato Interprovinciale Fascista Belle Arti dell’Abruzzo e Molise                                                   

COMITATO DELLA MOSTRA

Presidente:  Dott. RENATO PISTILLI - Podestà di Campobasso
Membri:  On. Prof. MICHELE ROMANO - Senatore del Regno; 
On. Maestro ADRIANO LUALDI - Deputato al Parlamento;  Prof. GIOVANNI RUGGIERO –
Fiduciario Sindacato Belle Arti del Molise Prof. AMEDEO TRIVISONNO –
Pittore Segretario della mostra  Pittore Giovanni RUGGIERO                       

GIURIA D`ACCETTAZIONE DELLE OPERE:

Pittore  GIOVANNI RUGGIERO  -     Presidente,
Pittore TOMMASO CASCELLA  -     Membro Pittore,
ARMANDO CERMIGNANI         -     Membro Scultore;
GUIDO COSTANZO                     -     Membro Pittore;
AMEDEO TRIVISONNO              -     Relatore.

La copertina del catalogo della mostra fu di Giovanni RUGGIERO.
L’artista preparo` sulla falsariga anche il cartello di propaganda della mostra.
Delle 536 opere presentate, furono accettate n. 358. In totale gli espositori furono in 61.

lunedì 13 ottobre 2014

GIOVANNI GENTILE ED IL MOLISE, il professore filosofo ed il suo legame con l'amata Campobasso

Il Quotidiano del Molise
del 16 giugno 2014


di Paolo Giordano

foto Archivio
Alberindo Grimani
Il 15 aprile 1944 venne ucciso in Firenze, con numerosi colpi di pistola, Giovanni Gentile! A 70 anni esatti da quella morte, purtroppo, sono mancati eventi opportunamente coordinati (svariate invece le iniziative spontanee di Amministrazioni ed Associazioni) per ricordare l’assassinio di una delle maggiori personalità italiane del 1900! E’ indubbio, al di là delle sue scelte politiche (comunque da studiare ed analizzare), che egli fu protagonista nel panorama culturale nazionale. 
Risulta limitativo, quindi, volerne conoscerne l’operato solo attraverso gli ultimi episodi della sua vita, consumatisi in anni bui e confusi: si sospettò addirittura che fosse stato vittima di un vendetta del fascista Reparto Servizi Speciali, di cui aveva condannato e denunciato i metodi violenti. Finanche il Partito d’Azione fiorentino, nell’aprile del 1944, riconobbe che “non era una spia né un delatore” avendo sempre tentato di aiutare individualmente quanti più antifascisti possibile, di qualsiasi partito essi fossero.”
Tra i rei di omissione siamo da annoverare anche noi campobassani, che non avremmo dovuto perdere l’occasione per rievocare l’illustre pensatore, profondamente legato alla Città Capoluogo. 
Erminia Nudi
(foto Archivio Grimani)
Qui il futuro Ministro della Pubblica Istruzione (1922-1924), padre di quella riforma che ha rappresentato, di fatto, la solida ossatura della nostra Scuola, insegnò agli inizi della sua carriera (dal 30/10/1898) filosofia al Regio Liceo Mario Pagano. “Campobasso è degna che ci si venga almeno una volta in vita”, si legge nella sua corrispondenza, “composta da una parte nuova, in via di formazione, e da una parte vecchia che giace sulla costa di un monte, fin quasi alla cima… (da cui si gode) di uno dei panorami più magnifici e più belli su cui possa girare l’occhio umano”. 
Giovanni Gentile
(foto A. Grimani)
Nei pressi del Castello, su un sedile in pietra, definito “il mio amico” (Vigliardi - “Trentanni sotto il Monforte), sedette tranquillo il “professore filosofo” per ore a godere di quel paesaggio, che poté ammirare anche dalla casa in cui abitò in via Corso Nuovo 8, l’attuale Corso Emanuele, affittuario di una stanza della famiglia Nudi. Grazie ad una finestra, con vista sull’ampia e stupenda vallata, “mi pare che mi si allarghino i polmoni e il cuore e la mente mi si rischiarino”. A fornirci dettagliate e documentate informazioni sul Gentile campobassano è lo studioso (esperto d’arte, poeta e scrittore) Alberindo Grimani, profondo conoscitore del Filosofo ed autore di scritti, purtroppo ancora inediti, sulla sua vita. Fonte preziosissima è la sua Conferenza “Gentile ed il Molise” tenutasi nell’oramai lontano 21 novembre 1992 presso la “Biblioteca Nazionale di Roma. Contrariamente a quel che si suppone (o si vuol far credere) la permanenza del pedagogista a Campobasso fu tutt’altro che un esilio, anzi egli visse un periodo fecondo sia per il suo spirito che per le sue relazioni umane. Il corpo docenti del Liceo era di elevata qualità e la ricca biblioteca dell’Istituto, circa 4000 volumi con la possibilità di consultare i maggiori giornali del tempo, immancabilmente a totale disposizione dei professori fino a tarda notte. L’indissolubilità del legame con Campobasso, “non accetterei il trasloco ad altra città, fosse pur migliore”, la si deve principalmente ad Erminia Nudi, figlia del suo padrone di casa, “giovine de’ più gentili costumi, colta, intelligente dotata da natura di un cuore impareggiabile”. 
Erminia Nudi
(foto Archivio Grimani)
Non poteva pertanto esservi altro epilogo, per quegli anni di feconda e produttiva attività intellettuale, se non le nozze con Erminia, “mia buona Musa incitatrice dei miei diletti studi, ispiratrice delle più alte idealità”, celebrate nella chiesa di Santa Maria della Libera il 9 maggio 1901. Dopo il trasferimento della nuova famiglia a Napoli Gentile tornò a Campobasso solo nel 1924, quale Ministro… chi sa se accompagnato dall’adorata consorte? 
Ella seguì comunque sempre il marito nella buona e nella cattiva sorte, fiera della grandezza del suo uomo a cui non fu mai di ostacolo. Donna forte e sensibile totalmente dedita alla cura ed all’educazione dei sei figli, ai quali trasmise l’amore per Campobasso ed il Molise. 
Nei tragici concitati giorni dell’aprile ‘44 si adoperò perché non vi fossero rappresaglie per l’uccisione del coniuge, riuscendo a convincere le autorità perché esaudissero tale suo desiderio. Ben sapeva, infatti, che la Morte non avrebbe annientato né il Filosofo e né il Maestro, capace di parlare di Patria ad una nazione divisa ed in guerra.

A 70 anni da quei mortali colpi di pistola appaiono, quindi, più che mai attuali le parole pronunciate dal Grimani nella Conferenza del ‘92: “Campobasso ed il Molise, che tanto amore hanno avuto da questo suo figlio d’adozione, qualcosa pur dovranno dare a Giovanni Gentile; fosse anche una semplice lapide nella casa che egli abitò in Corso Nuovo 8... Erminia Gentile ne sarebbe contenta!”

CAMPOBASSO 1924
Il Ministro Gentile percorre il Viale della Rimembranza
(foto Archivio Alberindo Grimani)

Il professor Giovanni Gentile
 "torna" al Mario Pagano
in veste di Ministro dell'Istruzione
(Archivio Grimani)

RISOLTO L'ENIGMA DELLO STEMMA DEI MONFORTE-GAMBATESA SIGNORI DI CAMPOBASSO

Il Quotidiano del Molsie
del 03/12/2013

di Paolo Giordano

L’Araldica, ovvero la “Scienza del Blasone”, non è un arida materia appannaggio di pochi appassionati, bensì è una “viva” disciplina accessibile a tutti coloro che vogliano, anche attraverso di essa, studiare l’evoluzione delle società e della Storia in generale.
Ci sembra, pertanto, quanto mai opportuno riprendere le fila di un discorso iniziato nell’aprile2012 con cui lanciammo una provocazione: lo stemma dei Monforte-Gambatesa, signori di Campobasso è in realtà l’Arme di Riccardo di Gambatesa (condottiero italiano, nato negli anni ’70 del 1200 e morto nel 1326) .
Fino ad ora si disponeva solo di indizi… anche se più di tre e quindi, come sosteneva Agatha Christie, sussisteva quasi una prova.
Stemma Monforte
(da "Dissertazione Istorico
Critica della Famiglia Monforte")
Lo stemma della famiglia Monforte, che vantava origini francesi, è “un leone di azzurro in campo d’argento sostenente uno scudetto di oro caricato di cinque code d’ermellino”. Di questa rappresentazione, nelle nostre terre, non se ne trova alcuna se non una famosa cartolina del Trombetta che riprende quanto riportato anche in Ziccardi-Albino (“I Cappuccini in Campobasso”, 1876).
In Molise, e solo qui, la nobile casata si fregiava di “una croce accantonata da quattro rose abbottonate”. Testimonianze maggiori ve ne sono a Campobasso: sul ponte levatoio del Castello, nel torrione meridionale dello stesso, su porta Sant’Antonio Abate, nell’atrio del Comune (da porta san Leonardo?). Non si possono assolutamente ignorare, però, ne lo scudo sull’acquasantiera di Santa Maria della Strada né tantomeno i due emblemi di Tufara, uno sulla porta cittadina e l’altro sul campanile della parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo. In Benedetto Croce (ed anche in Gasdia) si menziona solo la “croce accantonata di rose” e fino alla fine del 1800 gli studiosi scrivono sempre di Monforte-Gambatesa, mai solo di Monforte ed addirittura il Masciotta “parla” di famiglia Gambatesa (gli stessi signori cacciati nel 1465 da Campobasso, cioè i Monforte) relativamente al feudo di Tufara.
Il De Gingins, in un lavoro rimasto inedito, negò che Cola di Campobasso fosse “di quella famiglia” (Monfort di Francia), perché in realtà era un Gambatesa, ed avrebbe preso il nome Monforte per rivendicare l’eredità da un “ramo” in via di estinzione. Ma il Croce, autorità indiscussa per la conoscenza delle gesta di Nicola II, ribatte che “ciò non è esatto perché il conte di Termoli, al quale si allude, era esso stesso un Gambatesa, e perché questi Gambatesa erano veramente dei Monforte, che, per essersi estinta la famiglia Gambatesa, avevano aggiunto al loro proprio un secondo cognome: Monforte alias Gambatesa, come si trovano chiamati”
CAMPOBASSO
stemma Monforte Gambatesa
Ed è qui il punto cruciale: Riccardo di Gambatesa non ebbe figli maschi e, nominato tutore di Giovannuccio Monforte, maturò verso di lui un così profondo affetto da concedergli la mano della figlia Sibilia. Per salvare dall’estinzione il suo casato chiese ed ottenne, nel testamento, che il nipote Riccardello (figlio di Giovanni e Sibilia) aggiungesse al proprio cognome quello materno: Riccardo II, fu pertanto il primo Monforte-Gambatesa. Ciò ci lasciava supporre, con ragionevole certezza, che costui avesse fatto propria, oltre al nome, anche l’Arme del nonno.
Oggi finalmente ne abbiamo la prova inconfutabile. Nella “Blasonario della famiglie subalpine”, fondato e gestito da Federico Bona, è contenuto una stemma identico a quello dei Monforte di Campobasso che apparteneva (incredibile scoperta!!) a Riccardo di Gambatesa, signore di Roure e consignore di Maria nonché Siniscalco di Provenza, il quale transitò in quelle terre (cisalpine e transalpine) sin dagli inizi del 1300.

E’ finalmente stato possibile, pertanto, dichiarare risolto l’enigma dello stemma dei Monforte di Campobasso. Esso è unico in Italia, e ben diverso da quello dei Monfort di Francia, perché in realtà è il vessillo di quel virtuoso e “savio signore”, vincitore in battaglia dei Savoia e dei Visconti, che combatté in difesa di Genova in un assedio che fu paragonato a quello di Troia (1320). Riccardo di Gambatesa è oggi forse poco conosciuto in “patria”, ma, ai suoi tempi, fu ammirato, temuto, stimato e rispettato -dalla Sicilia alle Alpi- tanto dagli amici fidati quanto dai più acerrimi nemici.


STEMMA DI RICCARDO GAMBATESA
(Federico Bona - Blasonario Subalpino)


L'araldica, una delle scienze ausiliarie della storia, è la disciplina avente per oggetto lo studio degli stemmi, la loro origine...

L'araldica, una delle scienze ausiliarie della storia, è la disciplina avente per oggetto lo studio degli stemmi, la loro origine, la specie e la composizione. Il suo scopo è quello di individuare, riconoscere, descrivere e catalogare gli elementi grafici utilizzati per identificare con esattezza una persona, una famiglia, un gruppo di persone, un’istituzione.
Lo scudo/stemma si descrive come se gli si stesse dietro. Quindi destra vuol dire sinistra per chi guarda e sinistra vuol dire destra. Esso ha una composizione interna ed una esterna. La prima riguarda i colori, le partizioni e ripartizioni, le figure (tra cui le pezze onorevoli e meno onorevoli o figure araldiche ordinarie), le figura naturali (umane, animali, vegetali), le figure artificiali e quelle fantastiche. La seconda composizione concerne le corone, i contrassegni d’onore, di dignità ed i motti.
Nello specifico della composizione interna le pezze onorevoli indicano tutti quei “carichi araldici”, ovvero gli elementi grafici che, posti in posizione predeterminata e di norma invariabile, “dividono” lo scudo. Tra esse sono la fascia, la banda, la sbarra, la croce, il palo (due linee verticali parallele che occupano verticalmente la parte centrale), la croce di sant’Andrea, ecc.
Relativamente alla descrizione dell’arme campobassana di porta san Paolo è necessario aver chiara la differenza tra sbarra e banda.
La sbarra è il termine utilizzato per indicare una pezza onorevole (le figure formate da linee di partizione dette anche pezze di primo ordine che “dividono” lo stemma) che ha un andamento diagonale dall’angolo superiore sinistro (destro per chi guarda) all’angolo inferiore destro. La banda è la stessa pezza onorevole, che però scende da destra a sinistra (da sinistra a destra per chi guarda).

La prima potrebbe significare l’appartenenza alla fazione ghibellina e la seconda a quella guelfa.

CAMPOBASSO
stemma della famiglia Molise
"BANDA"

CAMPOBASSO
stemma della famiglia Molise
"SBARRA"

APPROFONDIMENTI ARALDICI SUGLI STEMMI CAMPOBASSANI DEI MOLISE E DEI MONFORTE - GAMBATESA.

APPROFONDIMENTI ARALDICI SUGLI STEMMI CAMPOBASSANI
DEI MOLISE E DEI MONFORTE - GAMBATESA.

di Paolo Giordano e Salvatore Scivales.


ARCHEO MOLISE
OTTOBRE DICEMBRE 2013





E’ opportuno coinvolgere ed interessare un pubblico sempre più vasto all’Araldica (Scienza del Blasone), una dottrina ancora incredibilmente attuale per lo studio della Storia e delle Società. Cogliamo l'occasione di farlo presentando un argomento utile ad approfondire la conoscenza degli stemmi feudali presenti sulle porte della cinta muraria della città di Campobasso.

“Altro stemma di altra famiglia vedesi sull’arco di porta San Paolo”. E’ così che abilmente aggira l’ostacolo Antonino Mancini (Mancini 1942). Identica è la scelta di Vincenzo Eduardo Gasdia (Gasdia 1960), seguito a ruota da padre Eduardo Di Iorio (Di Iorio 1978). Entrambi gli studiosi non si sbilanciano, né tantomeno si avventurano nel tentativo di giungere ad un’attribuzione: “sull’arco di porta San Paolo si può vedere un altro stemma, che non è né della municipalità né di casa Monforte”.
A provocare “un danno” è sicuramente il Touring Club (Touring Club 2005) che osa laddove altri si astennero. Nelle pagine riservate a Campobasso si legge: “porta San Paolo (stemma Monforte-Gambatesa)”.
stemma su Porta San Paolo
 a Campobasso
Nella certezza che fosse un’affermazione infondata, poiché ben altre erano le insegne di questi feudatari, restava, comunque, ignota la paternità dell’arme campobassana che nessuno degli autori citati descrive: “alla banda caricata di tre scudetti”, ovvero con una fascia obliqua contenente tre scudi e sormontata da una precisa data, cioè l’anno 1374.
Di Sicuro un’attenta ricerca nell’articolato mondo dei blasoni avrebbe consentito di pervenire molto prima alla sua corretta identificazione.
stemma coniugale
Monforte - Molisio
La traccia fondamentale per un’indagine storico-araldica è stata offerta dai lavori di consolidamento del Castello di Campobasso. Scrive l’allora soprintendente Mario Pagano (Mario Pagano 2006) che “nel 1991, durante lo smontaggio di una scarpa eretta a ridosso dell’originaria cortina quattrocentesca” furono rinvenuti frammenti di protomaiolica (antico prodotto meridionale in ceramica rivestita con smalto) e di vasellami. Su uno di questi ultimi c’è uno stemma coniugale con i simboli delle due famiglie. Lo sposo a destra (sinistra per chi guarda) “alla croce accantonata da 4 rose”, la sposa a sinistra (destra per chi guarda) “alla banda caricata da tre scudi”: lo stesso che domina da porta San Paolo! 
Fatte le debite riflessioni, aiutati dalla data e da altri dettagli come la grande “R”, che firma uno dei reperti del maniero, non si può che identificare gli sposi in Riccardo Gambatesa (se I o II ne ragioneremo in seguito) e Tommasella di Molisio, ultima rampolla della sua stirpe ad esser stata Signora di Campobasso. I discendenti di Rodolfo de Moulins si fregiavano, però, di una “sbarra di azzurro” senza alcun altro simbolo, ma il mondo dell’araldica è ben complesso, per cui nel corso dei secoli saranno intercorse chi sa quali variazioni, le cui cause sono tutte da scoprire.
Una curiosità da rilevare è la presenza in Campobasso di un altro manufatto simile a quello di porta San Paolo, però con “sbarra”, ubicato in vico I Sant’Andrea. Si tratta forse di un semplice errore del lapicida oppure esso era collocato su una struttura che presentava un elemento speculare, come lascerebbe supporre la sua particolare inclinazione.
stemma Vico Sant'Andrea
Campobasso
 Una conferma, infine, per tutto il nostro ragionamento si trova a Cercemaggiore, nel Convento di Santa Maria della Libera, ed è il noto stemma coniugale (Vannozzi, Miele 1980, Millemetri 2011) che “celebra” le nozze tra Alberico Carafa e Giovannella di Molise. Ancora una partitura con a “destra” le insegne del marito ed a “sinistra” quelle della moglie.
Al termine di questo processo deduttivo, quindi, asseriamo, senza tema di smentita che su porta San Paolo campeggia l’emblema dei Molise. Inoltre visitando, tra i tanti, il sito dell’archivio storico di Crotone ci si imbatte nell’antica famiglia aristocratica crotonese dei Nola de Molise avente “d’oro, alla banda “torchina” caricata da tre scudi”: in parole povere un vessillo identico a quello di donna Tommasella. 


stemma coniugale Cercemaggiore
 (foto Franco Valente)

A questo punto la naturale successiva fase di studio ci riconduce al di lei consorte. Chi era costui? Riccardo I o il nipote di questi, Riccardello, generato dalla figlia Sibilia? E di conseguenza lo stemma dei Monforte di Campobasso è realmente il “loro” oppure è, come da tempo sospettiamo, l’arme esclusiva della famiglia Gambatesa?
La famiglia Monforte, che vantava origini francesi (Monfort) esibiva “d’argento al leone d’azzurro tenente con le branche anteriori uno scudetto d’oro caricato di 5 code d’ermellino di nero”.  
Eppure in nessuna delle nostre Terre si trova un simile stemma. Nelle città che furono dei Monforte-Gambatesa, invece, è ripetutamente scolpita “la croce d’argento accantonata di rose su fondo d’oro” (Croce 2001) ovvero “di rosso alla croce scorciata di oro, accantonata da 4 rose dello stesso” (Padiglione 1914). 
Al di la dei “colori” il dato rilevante è che solo nel “Contado di Molise” risulta diffuso lo scudo con croce e rose. A Campobasso ve ne sono ben 4: Porta Sant’Antonio Abate, atrio del Comune (proveniente dalla distrutta Porta San Leonardo?), arco dell’ingresso sul ponte levatoio del Castello e pietre angolari inglobate nel torrione meridionale dello stesso. A Tufara se ne possono ammirare “uno sulla porta del centro storico ed uno sul campanile della locale parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo”(De Benedittis ne "Il Castello di Tufara" AA.VV. 1990).
Stemma Monforte Gambatesa
atri del comune di Campobasso
Infine a Santa Maria della Strada (Matrice) è conservata un’acquasantiera con scudo a testa di cavallo contenente l’oramai celebre croce accantonata. Necessiterebbe sicuramente “allargare” le ricerche, appurando, ad esempio, quali fossero le insegne di Federico Monforte detto Gambatesa, feudatario di Rocca d’Evandro, che nel 1528 osò ribellarsi a Carlo V (Gleijeses 1981). Quel suo castello fu preso dalle bande del Maramaldo ed il tesoro di Montecassino, ivi nascosto, divenne preda degli assalitori. Filiberto Campanile (Campanile 1610) ritiene, però, che costui non abbia relazione alcuna con i “nostri” Monforte Gambatesa.
Facendo un passo indietro stupisce alquanto che finanche lo “storico della Famiglia Monforte”, il vescovo illuminista Alessandro Maria Kalefati (Kalefati 1778), nella sua opera, riprodotta nel 2013 in copia anastatica, ignori le quattro rose in favore del “leone”.  
Non è da escludere che l’episcopo non abbia mai visitato il Molise. All’alto prelato fa eco, a distanza di più d’un secolo, il Trombetta che, in una sua famosa cartolina, affianca appunto il leone, con scudo e code d’ermellino, ad un ritratto del conte Cola (presumibilmente ispirato all’incisione ottocentesca del napoletano Carlo Biondi). 
cartolina trombetta
con ritratto del conte Cola e lo stemma
 "Monfort" di Francia

Il Masciotta (Masciotta 1914) nelle notizie feudali relative a Tufara tralascia totalmente il prenome Monforte: titolari ne furono i Gambatesa la cui signoria finì nel 1465. Per spiegare tale data egli rimanda alle vicende legate ai Gambatesa (poi Gambatesa-Monforte) conti di Campobasso e si riferisce alla cacciata di Nicola II (il conte Cola) da parte del re Ferrante.
Benedetto Croce (Croce 2001), più o meno volutamente spinge ad ulteriori riflessioni instillando il dubbio, poiché scrive quasi indistintamente di Gambatesa, Monforte e Monforte-Gambatesa. Il De Gingins, in un lavoro rimasto inedito (Croce 2001), negò che Cola di Campobasso fosse “di quella famiglia” (Monfort), perché in realtà era un Gambatesa, e che ne aveva preso il nome per rivendicare un’eredità da un “ramo” in via di estinzione. Ma “ciò non è esatto -ribatte Croce- perché il conte di Termoli, al quale si allude, era esso stesso un Gambatesa, e perché questi Gambatesa erano veramente dei Monforte, che, per essersi estinta la famiglia Gambatesa, avevano aggiunto al loro proprio un secondo cognome: Monforte alias Gambatesa, come si trovano chiamati”. Infatti Riccardo di Gambatesa (anni ‘70 del 1200 - 1326), “ostiario e familiare regio”, non ebbe figli maschi. Nominato tutore di Giovannuccio Monforte, maturò verso di lui un così profondo affetto da concedergli la mano della figlia Sibilia. Per salvare dall’estinzione il suo casato chiese ed ottenne, nel testamento, che il nipote Riccardello aggiungesse al proprio cognome quello materno: Riccardo II, figlio di Giovanni fu pertanto il primo Monforte-Gambatesa. Ciò lascia supporre, con ragionevole certezza, che venne fatta propria anche l’Arme di quell’antica ed importante schiatta.
ritratto del Conte Cola
(archivio Giovanni Fanelli)
 Per forza di cose eccoci di nuovo al matrimonio tra Tommasa e Riccardo i cui fasti furono impressi sulla ceramica oggi conservata nel Museo Sannitico. Tra i genealogisti regna una certa confusione. Per Croce e Gasdia egli era Riccardo II (Riccardello) e quindi si dovrebbero raccogliere altre “prove” per dimostrare che questi, oltre al “nomen”, avesse assunto anche il vessillo. Accettando invece la versione del Campanile, del Kalefati o del Masciotta (Campanile 1610, Kalefati 1778, Masciotta 1914), per i quali la figlia di Guglielmo de Molisio sposò Riccardo I, “l’insigne difensore di Genova ai tempi di re Roberto” d’Angiò, si è dinanzi al più classico dei sillogismi: lo sposo è il Gambatesa, lo stemma è il suo, “le quattro rose” sono esclusive dei Gambatesa. Tanto basterebbe per trarre delle conclusioni, ma continuando a consultare il vasto maremagnum offerto da internet si scopre che in Piemonte erano signori di Roure e consignori di Maria dei Gambatesa aventi “di rosso la croce scorciata, accantonata da quattro rose, il tutto d’oro”, così come anche riportato in Padiglione (Padiglione 1914). Potrebbe forse trattarsi di qualche discendente trasferitosi ai confini con la Francia? La croce è “scorciata”, cioè i quattro bracci, uguali, non toccano i lembi dello scudo mentre l’emblema Gambatesa-Monforte ha la croce piena, vale a dire che arriva a toccarne i bordi. Come per i Molise, però, non si può escludere si tratti di una variante generatasi nel tempo. Lo stesso Gasdia li cita tutti e due (Gasdia 1960) associandoli entrambi ai signori di Campobasso

Stemma Riccardo Gambatesa
(immagine Federico Bona)
In nostro favore, a fugare ogni dubbio, un testimone d’eccezione nella persona di Federico Bona, fondatore e gestore del sito “Blasonario della famiglie subalpine”. Egli, da noi interpellato, ha senza dubbi o incertezze tempestivamente risposto ad un nostro quesito: “i feudi di Roure e di Maria nel Nizzardo furono di Riccardo di Gambatesa Siniscalco di Piemonte”. Del resto approfondendo lo studio della sua biografia si constata che costui, oltre che giustiziere dell’Abruzzo Ulteriore, fu siniscalco di Folcarquier e di Provenza. Originaria di questa provincia era la nobile Caterina, con cui contrasse matrimonio, acquisendo un sempre più saldo legame con quell’area geografica.
Una doverosa osservazione è che solo con Nicola II “Monforte Gambatesa Molise De Cabannis” (Gasdia 1960) scompaiono in via definitiva tutti gli altri cognomi. Probabilmente perché il conte Cola, personaggio tanto grande quanto ambizioso, l’unico a poter reggere il confronto con il suo illustre avo, cercò di nobilitare ancor più la sua origine ricollegandosi ai Monfort (francesi) elidendo, ingiustamente, il cognome Gambatesa che comunque non era davvero secondo a nessuno. Tanta fu, infatti, la fama di Riccardo di Gambatesa, conosciuto quale virtuoso e “savio signore”, vincitore in battaglia dei Savoia e dei Visconti, che in qualità di vicario (viceré) difese con somma abilità bellica, ed elevate capacità di comando, Genova da un assedio che il Villani (http://www.treccani.it/enciclopedia/riccardo-gambatesa_(Dizionario-Biografico) non esitò a paragonare a quello di Troia.
Lo stemma dei Monforte di Campobasso, quindi, non è il blasone di un ramo cadetto e, pertanto di minor lignaggio, di una discendenza d’oltralpe, bensì è la firma lasciata nella Storia da una Famiglia tutta Molisana, quella dei Gambatesa, che la Storia stessa ha contribuito a scrivere.



Si ringraziano Franco Valente e Stefano Vannozzi per le piacevoli chiacchierate, i preziosi suggerimenti e gli amichevoli nonché stimolanti dissensi. I costruttivi confronti con i due studiosi hanno, anche se indirettamente, contribuito alla la genesi di questa nostra riflessione.


Bibliografia:

AA.VV., 1990, Il Castello di Tufara, Lanciano.
AA.VV., 2011, Millemetri, la rivista di Cercemaggiore n° 2, Cercemaggiore.
Croce, Benedetto. Ristampa 2001. Croce: Cola Di Monforte, conte di Campobasso, Campobasso.
Padiglione Carlo. 1914, Trenta Centurie di Armi gentilizi, Napoli.
Di Iorio, Eduardo. 1978, Campobasso itinerari di storia e di arte, Campobasso.
Filiberto Campanile. 1610, L’armi, overo insegne de’ nobili, Napoli.
Gasdia, Vincenzo Eduardo Gasdia. 1960, Storia di Campobasso, volume II, Verona.
Gleijeses, Vittorio, 1981, Castelli in Campania, Napoli.
Kalefati, Alessandro Maria. 1778, Dissertazione istorico-critica della famiglia Monforte dei conti di Campobasso, Napoli.
Mancini, Antonino. 1942, Campobasso nel 1742, Campobasso.
Masciotta, Giambattista. 1914,: Il Molise  volume II, Napoli.
Miele, Michele. 1980, La chiesa del Convento di Santa Maria della Libera di Cercemaggiore,
Napoli
Pagano, Mario. 2006, Il più antico pavimento di piastrelle in protomaiolica nel regno di Napoli dal castello di Campobasso, di Riccardo II Gambatesa Monforte, Campobasso.
Touring Club Italiano. 2005, Abruzzo e Molise vol n°22, Milano.


Sitografia:

http://www.archiviostoricocrotone.it/doc/nola_molise.html

sabato 3 maggio 2014

CAMPOBASSO: ASSISTENZA SPIRITUALE NELL’OSPEDALE CARDARELLI.


ASSISTENZA SPIRITUALE IN OSPEDALE
la Asrem paga il servizio
di Vittoria Todisco
Il Quotidiano del Molise
 del 16aprile 2014
Se vi capita di dover far ricorso alle cure dei medici dell’Ospedale Cardarelli sappiate che potreste fare una lunga anticamera prima di essere ammessi al Pronto Soccorso.
La colpa come si sa non è dei medici che fanno quel che possono e anche di più di quanto loro spetterebbe, ma della cronica mancanza di personale e, se nell’attesa dovesse scapparvi qualche moccolo di quelli un po’ pesanti che potrebbero far pesare a vostro sfavore la bilancia delle cattive azioni rispetto a quelle buone e dovesse succedervi (magari proprio in conseguenza di quella lunga attesa) di finire all’altro mondo, non vi pigliate pena; per voi non si spalancheranno le porte dell’Inferno perché all’Asrem oltre a prendersi cura del vostro fisico badano anche alla salvezza dell’anima.
Infatti con un provvedimento del Direttore Generale Percopo lo scorso 15 aprile è stata stipulata una convenzione con la Curia Arcivescovile attraverso la quale l’Asrem approva che due diaconi espletano l’assistenza religiosa ai pazienti del Cardarelli per un onere economico a carico della stessa Asrem pari a 1.970,00 euro al mese lordi che verranno corrisposti direttamente alla Curia. 
l'Ospedale Cardarelli
Un simile provvedimento suscita qualche perplessità e anche un pizzico di ilarità se si considera che i diaconi sono rispettabilissime persone di fede, molti sono coniugati e con figli, e non sacerdoti, pur avendo ricevuto il dono dell’ordinazione. infatti “non è ordinato per il sacerdozio, ma per il servizio del vescovo” e si presuppone che questa loro attività di conforto, di pietà, di carità pastorale e di assistenza spirituale sia una missione di fede e non una prestazione subordinata, e quindi che l’Asrem stabilisca una remunerazione suscita quantomeno sconcerto. La loro missione è soprattutto quella di rendere operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze in cui essa non può diventare “sale della terra” se non per loro mezzo. Il diacono non è ordinato per presiedere l’Eucarestia, ma impartisce la Comunione, legge il Vangelo ma non può dire Messa, supplisce il sacerdote quanto è assente nella preparazione dei fedeli alla morte amministrando loro il viatico. I diaconi non sono dunque ordinati per presiedere l’Eucarestia ma per sostenere in questa presidenza il vescovo e il presbitero. Il suo è un rapporto di comunione con il vescovo e adesione al suo piano pastorale. Si dice infatti che il diacono è “l’orecchio del vescovo, la sua bocca e il suo cuore” proprio perché raccoglie le istanze dei fedeli e le trasmette al vescovo.

Siamo certi che il Direttore Generale Percopo saprà confutare tutte le nostre perplessità. Attendiamo che ci spieghi il senso di questo provvedimento che oltretutto prende il via in una momento in cui la sanità pubblica è sottoposta a continui e penalizzanti tagli economici e il tentativo di rendere “confessionale” una struttura pubblica non può essere assunto pensando di caricare sulle spalle dei cittadini che potrebbero accogliere con perplessità l’assistenza spirituale di un diacono regolarmente pagato dalla struttura.

mercoledì 5 marzo 2014

Movimenti artistici e culturali: pittori molisani - nascita della"Scuola di Campobasso"


Penso che ai miei "25 lettori" (A. Manzoni "I Promessi Sposi" cap. I) sia sempre stata ben chiara la mia "filosofia giornalistica":
Svolgere un onesto ruolo da "cronista, forse ignorante ma sempre affamato di Sapere e desideroso di scoprire, senza mai ergersi a depositario di Verità.
Ritengo che solo animati da tale spirito si possa migliorare.
E' per questo che, in un'ottica di studio e  confronto, condivido un articolo segnalatomi in merito alla "Scuola di Campobasso", il movimento pittorico da me citato nell'articolo “Ritorno alla forma – la linea figurativa e realistica nell’arte molisana del novecento”.

Si tratta di uno scritto a firma di Alberindo Grimani pubblicato sulla rivista "Meridiano" (gennaio - febbraio 1989) diretta da Sabino D'Acunto.


PITTORI MOLISANI
NASCITA DELLA
"SCUOLA D I CAMPOBASSO"
di Alberindo Grimani


Michele Cammarano (Napoli 1835-­1920) arrivò a Campobasso su una vecchia diligenza, perché le sue con­dizioni di salute non potevano permettergli di usare il cavallo. II viaggio dovette sembrargli lun­go e fastidioso, ma non ne poteva fare a meno: il medico gli aveva consigliato di cambiare aria se voleva guarire e l'unica soluzione era il Molise, l'aria salubre di Campobasso.
Lungo la strada l'artista non trascurò di schiz­zare luoghi che attraversava. Nasceranno da lì opere come "Casolare sulla via di Campobasso', "Interno molisano", "Paesaggio molisano" e tante altre opere che ricordano il soggiorno nella nostra terra.
Probabilmente lo stesso era capitato a Marco De Gregorio (Resina 1829 - Napoli1876). Non può spiegarsi altrimenti il suo soggiorno nel Basso Molise. Oggi su una tela famosa, da tutti citata ed ammirata a Capodimonte, è la testimonianza dei suoi lavori molisani: l'opera è titolata "Veduta di Casacalenda".
Ma quanti altri artisti ebbero per seconda pa­tria il Molise?
Gioacchino Toma (Galatina di Lecce 1836­ - Napoli 1891), che sarà il Maestro di Arnaldo de Lisio e Francesco Paolo Diodati, combatté da sot­totenente garibaldino nel 1860 in Molise, lungo l'asse territoriale che collega Venafro ed Isernia. Molti suoi quadri dovrebbero oggi trovarsi nella zona ove, tra l'altro, cadde in un burrone e fu creduto morto.
Perché questa premessa un po' lunga? Facile a spiegare. Napoli, la grande e bella capitale del Regno delle Due Sicilie, era il sogno degli artisti e degli intellettuali che vi arrivavano da tutte le parti del Mezzogiorno d'Italia e non solo da lì. Si po­trebbe facilmente dire che agli inizi della seconda metà dell'Ottocento c'era una sola cultura unita­ria, quella napoletana e tante culture frammenta­rie, quelle delle rimanenti regioni italiane.
Questa verità bisogna avere finalmente il co­raggio di dirla! La vera cultura unitaria era quella napoletana, dei Borboni che ammettevano, anche con una forte punta di paternalismo, le idee rivoluzionarie di Spaventa e de Sanctis, di Bellelli e Imbriani, di Morelli e Altamura e Toma. Gli al­tri, invece, avevano solo l'idea unitaria della Nazione!
Un giorno, ad esempio, si dimostrerà che gli artisti napoletani sono di gran lunga superiori a certi artisti celebrati d'oltralpe. Un giorno si dirà che Pitloo (Olanda 1790 - Napoli 1837), Giacinto Gigante (Napoli 1806 -1876), Filippo Palizzi (Vasto 1818 - Napoli 1899), Domenico Morelli (Napo­li 1823 -1901), Saverio Altamura (Foggia 1826 - Napoli 1897) con Vincenzo Gemito (Napoli 1852 - 1929) ed altri sono stati gli iniziatori dell'ar­te moderna.
Un giorno si dirà che la pittura nuova, quella che si suole identificare con la Scuola romana di Via Cavour (Scipione, Mafai, Mazzacurati e Raphael) o con la Scuola napoletana (che faceva ca­po a Crisconio), in effetti era stata anticipata dalla Scuola di Campobasso.
Marcello Scarano, come dice il Moffa, "Nell'agosto del 1926, con cartoni ed oli affrontò la mostra del paesaggio a Campobasso e non eb­be alcun riconoscimento, tanto che la cronaca dell'iniziativa registra da parte dei promotori: 'questa volta ha usato una tecnica così strana e semplicistica che pur notandosi nello insieme le ben conosciute e pregevoli tendenze artistiche del giovane dilettante, non s'è potuto formulare un giudizio.'."
Marcello Scarano era stato a Roma sin dall'autunno del 1924 e vi era rimasto quasi continuatamene fino a tutto il 1925 e parte del 1926. Anche Amedeo Trivisonno era stato a Roma nel 1922 e nel 1923, prima di continuare i suoi studi a Firenze negli anni successivi.
Nel mio libro "Marcello Scarano e la sua pit­tura", coautore Giuseppe Jovine, è stato dimostra­to l'itinerario che l'artista molisano ha percorso prima di tutti gli altri artisti delle scuole sopra cita­te. Va detto, in questo momento, che quello che sembrava un isolamento dell'artista Scarano, da più critici autorevoli evidenziato, in effetti fu volu­to dal Nostro: quasi a significare che il pittore vo­leva nascere da solo, proprio a dispetto dei cano­ni tradizionali di studio che richiedono una pre­senza, anche indiretta, di un maestro.
La Scuola di Campobasso nasce da un con­tatto continuo e quotidiano di artisti, che se pure non ritengono di procedere a ricerche comuni, tuttavia li portano a confidare reciprocamente i risultati raggiunti.
La pittura di Scarano non ha nulla a che vedere con la risoluzione degli affreschi adottata da Amedeo Trivisonno e che si possono (almeno per quello che riguarda i primi e più importanti) an­cora vedere oggi nella Cattedrale di Campobasso. Ma se si guarda la pittura profana di Trivisonno, se si dà un'occhiata attenta ad opere di ritrattistica quali il "Dante Chiodini" o il "dottor D'Agostino" o "Silvia Scarano" della fine degli anni '20 (tutti tra il '26/27 se ben ricordo), si nota una certa impostazione di coloristica che è pro­pria anche dello Scarano.
La Scuola di Campobasso è esistita!
Il segnale di rottura del legame tradizionale che legava la cultura locale a quella napoletana, continua ancora in quegli anni da parte di celebri artisti molisani come Arnaldo de Lisio (Castelbottaccio 1869 - Napoli 1949) e Francesco Paolo Diodati (Campobasso 1864 - Napoli 1940); esso è par­tito da Scarano e riproposto da Trivisonno.
Infatti proprio nell'ambito degli affreschi è fa­cile fare il paragone con opere che si trovano a Campobasso: nel cinema-teatro Savoia e nella sede della Banca d'Italia le opere di de Lisio e nella Cattedrale già citata quelle di Trivisonno. L'evi­denza della tradizione culturale napoletana man­tenuta dal primo è spezzata ed ignorata dal se­condo.
A voler essere precisi, della Scuola vera e propria campobassana potrebbero essere chiamati a far parte, per un periodo relativamente breve e non ancora completamente identificato, anche Romeo Musa (Calice di Bedonia 1892 - ­Milano 1960), le cui opere sono visibili all'Istituto-convitto Mario Pagano di Campobasso ed una sua grande tela "La sagra del Matese" che dovrebbe sempre essere nella biblioteca del Provveditorato agli studi del Molise nel capoluo­go; e Giovanni Ruggiero (Isernia 1892 - Roma 1971), cui si deve anche la copertina del catalogo della IV Sindacale d'Abruzzo e Molise tenutasi a Campobasso nell'agosto 1937.
Poi arriva anche Giovanni Leo Paglione, l'unico vero allievo di Trivisonno, beniamino na­scosto di Marcello Scarano, al quale si avvicinerà molto dopo la partenza del suo Maestro Amedeo per l'Egitto. Ed il cerchio si chiude!
Questa, per sommi capi, è la Scuola di Campobasso: Scarano, Trivisonno e Paglione con le momentanee presenze di Musa e Ruggiero. Ci sa­rà qualche artista che in maniera diretta o indiret­ta avrà la fortuna di collegarsi a quegli artisti; ma ben presto prenderà altre strade a volte felici ed a volte no.
Qualcuno, a questo punto, si chiederà come è nata e perché è nata la Scuola di Campobasso; Paglione altri che significato può avere conoscere o meno le sue vicende, visto che del suo operare non ci sono tracce né sui libri di Storia dell'arte né sui. È proprio questa la storia che cercheremo di giornali locali dell'epoca.illustrarvi e proporvi, appena possibile.


"Marcello Scarano e la sua pittura"
di Alberindo Grimani e Giuseppe Jovine
edizioni Isotta Scarano
anno 1986