Pensieri



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giovedì 10 novembre 2011

Il Castello Monforte "regala" un pezzo di storia. Ritrovata una protomaiolica durante la giornata ecologica organizzata dall'associazione Fare Verde.


il Quotidiano del Molise del 30/10/2011

di Paolo Giordano

protomaiolica conservata nel
museo Sannitico di Campobasso
Durante la manifestazione “Oh che bel castello”, organizzata in ottobre dall’associazione Fare Verde per ripulire l’area del Castello Monforte, è stata rinvenuta una protomaiolica in un cumulo di detriti, probabilmente relativi a lavori svolti anni addietro nella chiesa o nel vicino convento. L’importante reperto si “sposa” con quelli ritrovati durante il lavoro di consolidamento del castello nel 1991 e conservati nel Museo Sannitico di Campobasso. Si tratta di una ceramica, tipica dell'Italia meridionale e della Sicilia di età federiciana (XII–XIII sec.), lavorata con un metodo innovativo rispetto alle tecnologie dell’epoca. Dal Tavoliere tale tecnica si diffuse in Molise, dove si individua una vera e propria produzione locale. Alla luce di questo fortuito ritrovamento non può che prendersi atto di come la collina di Monte sant’Antonio abbia ancora tanto da offrire in termini di studio e ricerca. I campobassani hanno l’infondata convinzione che tutto quel che c’era da dire sia stato detto. Invece ancora sorprese può riservare questo sito, tanto importante quanto abbandonato e trascurato soprattutto dagli amministratori.
Contemporaneamente, però, lascia attoniti la circostanza dell’evento. Approfittando degli alberi (oggi tagliati), del disinteresse generale, nonché dell’omertoso silenzio di chi vide e tacque, negli anni addietro si sono costituite vere e proprie discariche di materiali edili sulla collina del Monforte. Appunto in una di queste tra mattoni, mattonelle di varie epoche (ma tutte recenti), pezzi di marmo e calcinacci è stata ritrovata la protomaiolica. Un caso unico? O forse tra quelle macerie vi saranno altre vestigia del passato? Bisognerebbe procedere ad un’opportuna bonifica, sia per rimuovere quei cumuli di immondizie e sia per verificare la presenza o meno di altri preziosi reperti. Ovviamente tutto avviene nel pluriennale disinteresse della classe politica, che continua a non comprendere le potenzialità del sito. Forse perché ancora convinta, erroneamente, che la Cultura non procuri voti!

frammenti di protomaiolica -
Campobasso


frammenti di ceramica
museo Sannitico Campobasso
  
 

martedì 25 ottobre 2011

Il mercato coperto di Campobasso (1957), importante progetto di Enrico Mandolesi, è stato utilizzato quale "sfondo" per un murale del noto artista Ericailcane. Ma chi, e perché, ha individuato in tale struttura li sito idoneo per questa operazione?

Se dovrà tornare a vivere perché hanno stanziato soldi per la creazione di un dipinto da cancellare?
Il mercato coperto di Campobasso sfondo per i murales
Il Quotidiano del Molise del 12/10/2011
di Paolo Giordano

Agli inizi di ottobre 2011 si è concluso a Campobasso il festival Draw The Line dedicato alla street art. L’ultimo artista a partecipare è stato Ericailcane che ha realizzato un “mega vento” lungo il perimetro esterno del Mercato Coperto.


Fermo restando che non si vuole assolutamente entrare in merito a valutazioni artistiche, è bene interrogarsi sull’opportunità di inserire la struttura progettata dall’ingegner Enrico Mandolesi in questo programma di riqualificazione urbana. Se è vero che si tratta di un complesso in stato di abbandono e degrado è anche vero che sono state le scelte politiche ed economiche a causare questa situazione. Se le responsabilità siano degli amministratori o dell’orientamento socio economico locale e nazionale non sta a noi qui stabilirlo. Oggi si parla di una sua ristrutturazione, ma con che destinazione d’uso? Il murale realizzatovi (e che sarà sicuramente costato) resterà o verrà “cancellato”? Se così sarà perché se ne è consentita l’esecuzione? Attendendo con fiducia le risposte è indispensabile soffermarsi sulla figura di Enrico Mandolesi, classe 1924 (25/11). Egli iniziò giovanissimo, nel 1948, l’attività professionale e nello stesso anno cominciò anche la sua carriera universitaria. Gli oltre sessanta anni (dai primi 50 ai 90) di ricca ed operosa attività sono caratterizzati da una spiccata poliedricità espressa nell’ambito della progettazione architettonica ed urbanistica, della ricerca e dell’innovazione tecnica e della didattica (nel 2002 venne nominato Professore Emerito dell’Università degli Studi “La Sapienza”). La sua vasta produzione, dalla realizzazione di edifici pubblici e quartieri residenziali alla pianificazione a scala urbana, dal disegno degli interni allo studio di sistemi costruttivi per la prefabbricazione nel settore edilizio, è testimonianza di un approccio alla progettazione che muove da una visione globale. Nelle sue opere la forma si integra alla soluzione costruttiva, come espressione legata all’evoluzione del linguaggio ed all’innovazione tecnologica.  Tutta la sua “ricerca” è ravvisabile nella sperimentazione di edilizia sociale del C.E.P. (Centro Edilizia Popolare) di Campobasso. Qui il Mandolesi attuò tecniche e soluzioni strutturali totalmente nuove per la città. Fu anche insignito del premio INARCH Molise, 1963. Suo è il progetto della chiesa del quartiere (San Giuseppe Artigiano). Con i propri collaboratori fu, quindi, promotore nel capoluogo di quel riassetto urbanistico che segnò il passaggio verso la “nuova dimensione” tipica della città italiana degli anni 50-60. Infine a lui si devono il palazzo I.N.A. ed ovviamente il Mercato Coperto (1957). Quest’ultimo, purtroppo, non è stato sottoposto a vincolo, sia perché il progettista è ancora in vita, e sia perché il Decreto Legge 70 del 13/05/2011-“Prime disposizioni urgenti per l’economia” ha stabilito lo slittamento dei termini da 50 a 70 anni. La struttura di via Monforte è stata ripetutamente citata da riviste specializzate ed ha un sua “voce” nell’enciclopedia dell’Architettura, quale struttura di riferimento nel suo genere. Per tutto questo è sembrata quanto mai ardita ed inopportuna la scelta di inserirlo, quale “base” per un murale, nel  festival Draw The Line.

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un particolare
A supportare ulteriormente l'opinabilità di questa scelta va osservato che come si può chiaramente notare dalla foto di destra, a causa del pendio del terreno (ne è tangibile prova la scalinata), il dipinto non è  completamente visibile.
La prospettiva è, quindi, condizionata e compromessa. Insomma... oltre al danno la beffa!
 

giovedì 6 ottobre 2011

L'ex G.I.L. di Campobasso ed il suo restauro. Un intervento che farà a lungo discutere. La rimozione delle scritte e dei decori originali


Il Quotidiano del Molise del 07/09/2011


Un giudizio sui lavori di recupero/ricostruzione dell’ex G.I.L. a Campobasso deve necessariamente essere rimandato ad un secondo momento. L’entusiasmo o la delusione della fase iniziale sono sempre pessimi consiglieri. Di primo acchito, però, viene da chiedersi perché non sia stata ripristinata la scritta “Gioventù Italiana (del Littorio)”. Ma quel che manca di più  ai campobassani sono i “Libro e Moschetto” presenti sulla struttura. Assolutamente non vi si sarebbe ravvisata l’apologia di reato. Si sarebbe solo mantenuta una decorazione emblematica del tempo e della tipologia di edificio.


una vecchia foto scattata
qualche giorno prima
dell'entrata in azione delle ruspe


L'ex G.I.L. di Campobasso ed il suo restauro. Un intervento che farà a lungo discutere


Il Quotidiano del Molise del 30/09/2011


l'edificio prima della demolizione.
Sono visibili sia la scritta Gioventù Italiana
 e sia l'insegna gialla del cinema

La ristrutturazione dell’ex G.I.L, che presto -si spera- sarà restituita alla cittadinanza, fornirà a lungo argomenti di confronto e scontro. Un nuovo spunto di riflessione è la scritta GIL che vi è stata apposta. Il complesso architettonico fu costruito durante gli ultimi anni del regime fascista con il nome di G.I.L. ovvero Gioventù Italiana del Littorio, come era leggibile sulle pareti laterali dell’edificio. Nel dopo guerra l’ultima parte della scritta venne rimossa tant’è che i campobassani chiamavano la struttura G.I. (gioventù italiana). La demolizione ha portato via con sé sia la “gioventù italiana” e  sia i “libro e moschetto”. Ripristinare in fase di ricostruzione tutto quel che c’era, nel rispetto del progetto originario, avrebbe avuto un senso. Non si comprende invece l’istallazione di un acronimo che non c’era,  e che non ha ragion di esistere poiché quell’immobile non è più la gioventù del littorio. Non si tratta nemmeno di una marca identificativa, né si ripropongono le architetture del Fillippone. Con opportuna forzatura si potrebbe ravvisare una forma di apertura ad uno studio scientifico ed obiettivo di un determinato periodo storico, ma è evidente che non è così. Quel che incuriosisce è la somiglianza dei caratteri con quelli usati spesso dalla Confederazione Generale Italiana del Lavoro. Basta anteporre una “C” ed il gioco è fatto!




Le opere pittoriche di Peppino Piccolo all'ex G.I.L. di Campobasso potrebbero rappresentare un primo interessante capitolo del patrimonio artistico Molisano



Il Quotidiano del Molise
del 30/09/2011


di Paolo Giordano

Il 31 dicembre 2010 scrivendo del pittore Peppino Piccolo (Mascalucia di Catania, 1903 - Pescara 1983) ci si chiedeva se i quattro grandi dipinti littorii fossero ancora nell’ex G.I.L. di Campobasso. Essi rappresentavano 1) un legionario con alle spalle la Penisola e le sue colonie africane. 2) l’Italia con le sembianze di una dea armata di spada che si staglia sulla pianta della città di Campobasso. 3) i vari livelli della gioventù littoria –dal balilla al miliziano– con un arco di trionfo per fondale e la lupa romana in primo piano. 4) un tributo alla potenza fisica del popolo italiano nelle figure di un pugile, due lottatori ed un trapezista in volo. Nell’essenzialità con cui l’autore interpretò la fisicità dei personaggi volle sicuramente cogliere la ruralità del territorio molisano.
Peppino Piccolo
nel 1938  
a Pomezia
In settembre (2011) la nuova struttura è stata inaugurata, ovvero e stata “presentata” agli organi di stampa. Nessuno, però, si è avveduto che in quel mese ricorreva l’anniversario della morte del Piccolo (il giorno 05 del 1983). In quella circostanza, comunque, si è potuto appurare che le sue  opere, importanti e rare testimonianze di quel periodo storico ed artistico, sono ancora tutte in loco. Dal libro di Rosetta Sacco Piccolo, “la mia vita con Peppino Piccolo”, si apprende che “egli era attratto fortemente da questa tecnica particolare (l’affresco n.d.r.) alla quale dedicò molta attenzione rigorosa per diverso tempo. Purtroppo l’opera nella casa del fascio di Pomezia è andata distrutta e ne restano solo foto in bianco e nero. Dopo Pomezia eseguì una grande pittura murale nel palazzo del Governo a Taranto e poi si spostò a Campobasso e Foggia per attendere ad altre decorazioni dipinte “a fresco”. Lavorò anche per la Cattedrale di Pantelleria e per il Palazzo della Borsa di Catania.”
L’ex G.I.L. di Campobasso, quindi, destinata a diventare Sede della Cultura ha già in sé 4 importanti realizzazioni di un artista in quegli anni molto prolifico e stimato in tutto il territorio nazionale. Esse sono di sicuro il punto di partenza per una pinacoteca e per una mostra a tema sull’arte degli anni 30/40. Ovviamente se ne dà per scontata anche una su Giuseppe Piccolo stesso, che fu anche un eccellente e famoso scenografo teatrale e cinematografico.



Totò e Peppino Piccolo
 alla Titanus nel 1957

P.Piccolo con
Aldo Fabrizi nel 1957
alla Titanus



Le foto sono tratte dal libro di Vincenzo Marotta "Peppino Piccolo", 1972

giovedì 29 settembre 2011

Palazzo Cannavina a Campobasso, una dimora storica svuotata dei suoi arredi e "messa sul mercato" immobiliare. Un pezzo di Storia patria in vendita


il Quotidiano del Molise del 27/09/2011

di Paolo Giordano

Palazzo Cannavina
(ex Salottolo già dei duchi Carafa)

Martedì 13 settembre un grido di allarme si è ripetuto di bocca in bocca: “stanno svuotando palazzo Cannavina!” Di fatto gli attuali proprietari di quello che fu il palazzo ducale dei Carafa, passato poi ai Salottolo ed infine alla famiglia Cannavina, procedevano legittimamente alla vendita di alcuni, se non di tutti, gli arredi. Nessuno può e vuole indagare su quel che è realmente accaduto, però è opportuno riflettere sul destino di una delle più importanti e ricche dimore campobassane.
Donna Giulia Petrella, sorella dell’alto magistrato e senatore Ugo (titolare dell’omonima via cittadina) sposò l’illustre avvocato Leopoldo Cannavina, figlio del deputato Ferdinando, che fu anche presidente della Gran Corte Criminale di Napoli. Lei, ricca e potente, aggiunse ai possedimenti Cannavina l’abitazione all’epoca ubicata in via Borgo (poi appunto Cannavina).  Già da questa minima cronistoria, siamo nella seconda metà del milleottocento, si comprende quante inestimabili “ricchezze” fossero custodite in quelle vetuste stanze. Ne fornisce valida testimonianza anche Nicoletta Pietravalle nel suo “Molise: Antichi Interni”.
la bandiera tricolore con la
scritta "independenza"
Lavori d’acciaio traforato personalizzati con nomi e dediche. Una ricca raccolta fotografica del Trombetta. Lettere delle corrispondenze con il senatore, nonché accademico della Crusca e dei Lincei, Francesco D’Ovidio e di quella con Antonio Ranieri (amico del Leopardi) che chiedeva dati e notizie su Gabriele Pepe. Un tricolore con la scritta “independenza”: proveniente dall’estero o mero errore? Vessillo che fu sventolato da Ferdinando Cannavina sulle barricate napoletane del 1848. Una pianola testimone di sfarzosi balli e che aveva suonato anche il valzer “Sangue Sannita” del maestro compositore molisano De Angelis. Forse proprio lei aveva allietato sua maestà Giuseppe Napoleone durante i festeggiamenti del 23 settembre 1807. Ma questi oggetti sono ben poca cosa rispetto alla sicuramente ricca biblioteca, ai sontuosi e ricercati arredi, al raffinato mobilio che faceva bella mostra di sé nelle ampie stanze dai soffitti artisticamente decorati.
Ancora… quadri, stampe, argenti, reperti archeologici, cimeli guerreschi tra cui il cannocchiale di Nelson, donato dai figli dell’ammiraglio al patriota molisano Tito Barbieri. Infine oggetti sacri conservati in prevalenza nella cappella privata che fu già dei Salottolo (come ravvisabile dallo stemma).
Menzione merita la cucina rimasta intatta dai tempi di donna Giulia. Vastissima ed interamente decorata in nero e marrone con piastrelle in ceramica: le “regiòle”.
la cucina di donna Giulia
Pare che il tutto sia in viaggio per Firenze! Il vero “pugno nello stomaco” è che girovagando su internet si è scoperto che: “vendesi a Campobasso centro storico immobile di prestigio 1.000 mq–trattativa riservata”. Nessuno può proferire verbo sulle scelte degli eredi ma certamente è allarmante la perdita di un pezzo di storia patria! Forse vi si sarebbe potuto inaugurare un museo, una biblioteca, un caffè letterario… e chi più ha fantasia proponga! Non sappiamo se gli amministratori abbiamo avuto abboccamenti, se si sia pensato a porre un vincolo con diritto di prelazione. Speriamo che si siano tentate tutte le vie perché il palazzo restasse integro. Confidiamo che i suoi acquirenti sappiano far godere la collettività dell’antico edificio.
Certamente, però, non si potrà più tollerare il piagnisteo di chi lamentosamente continuerà a dichiarare che Campobasso è povera di Storia.

la Cappella dei Salottolo

la Maternità nella Cappella
con lo stemma
della famiglia Salottolo

  









  

un sontuoso salone

 

la camera da letto

mercoledì 28 settembre 2011

Inaugurazione del ciclo pittorico nell'Antica Cattedrale di Bojano. Foto dell'autore dei dipinti, il maestro Rodolfo Papa, con il cardinal Angelo Bagnasco

Per una strana dimenticanza, segnalata da più parti, oltre a non essere stato riportato nella lapide commemorativa, il maestro Papa non appare nemmeno nei servizi fotografici e televisivi regionali.
Poiché abbiamo "scoperto" le prove sia dell'esistenza dell'artista e sia della sua presenza in Regione provvediamo a pubblicarle.

monsignor Angelo Spina (vescovo di Sulmona),
il professor Rodolfo Papa
e sua eminenza cardinal Angelo Bagnasco

monsignor Spina, Papa, il cardinal Bagnasco
e monsignor Bregantini, arcivescovo di Campobasso


Il cardinal Angelo Bagnasco ed il maestro Rodolfo Papa
 si stringono la mano alla presenza
di sua eccellenza Bregantini
e di numerosi fotografi

Inaugurato alla presenza del cardinal Bagnasco il ciclo pittorico di Rodolfo Papa nell'Antica Cattedrale di Bojano. Affissa una lapide commemorativa con una grave mancanza: il nome dell'artista!


Il Quotidiano del Molise del 27/09/2011

di Paolo Giordano

Il 25 settembre 2011 è stato un giorno memorabile, uno di quelli che restano indelebili nella storia. La città di Bojano ha ospitato il cardinal Bagnasco, presidente della conferenza episcopale italiana. L’alto prelato ha inaugurato solennemente il ciclo pittorico realizzato dal professor Rodolfo Papa da Roma. A memoria dell’evento è stata apposta una lapide, prediligendo l’italiano anziché il latino più usato in tali circostanze. In essa si citano praticamente tutti: il cardinal Bagnasco, l’arcivescovo Bregantini, l’allora arciprete Spina, l’attuale arciprete Di Filippo ed il Popolo tutto. Per una dimenticanza che appare inspiegabile, quanto tutt’altro che casuale, manca il nome dell’artista. Uno strano modo di consegnare l’accaduto ai posteri!
Tra 20, 40, 100 anni nessuno darà più un volto ai nomi incisi su quel marmo. Forse come tanti, prima di loro, nessuno saprà chi essi furono. Non è da escludere che la targa deperirà o verrà addirittura rimossa. L’opera pittorica, invece, resisterà fintanto che resterà in piedi l’antica cattedrale e con essa sopravviverà il nome dell’autore epurato dal lapicida. Non sappiamo se c’è un responsabile e chi egli sia. Ignoriamo se questo sia il modo corretto di redigere le iscrizioni. Certo ben leggendo sembra quasi che gli autori siano i parroci succedutisi, poiché l’opera è stata “iniziata” da uno e “portata a termine” dall’altro. La matematica sicuramente non è un’opinione, ma non lo è neanche la lingua italiana!

la lapide incriminata

mercoledì 14 settembre 2011

"lucchetti d'amore" in Villa Flora a Campobasso al pari di Ponte Milvio e Ponte Vecchio


                               Il Quotidiano del Molise del Molise
                              del 30/08/2011


Le nuovissime generazioni sono spesso bersaglio di strali ed invettive: o perché troppo ciniche nel programmare il proprio futuro o perché troppo aride, mancando di sogno e fantasia. Eppure in un angoletto nascosto di Campobasso i giovani testimoniano di volare ancora sulle ali del romanticismo, mossi dall’entusiasmo che i sentimenti generano alla loro età.
Ad imitazione di quanto accade su ponte Vecchio a Firenze o su ponte Milvio a Roma gli innamorati appendono un lucchetto con le loro iniziali, per poi buttare in acqua le chiavi. A Firenze il simbolo del legame amoroso indissolubile veniva bloccato sulla cancellata del monumento del Cellini. Questa usanza, iniziata forse dai militari dell'Accademia di San Giorgio alla Costa, risale a non più di venti anni or sono. Poiché tale abitudine è stata avversata dall’amministrazione comunale, i lucchetti vengono attualmente messi sulle inferriate del vicino lungarno degli Archibusieri. Più recente è invece l’uso praticato a Roma di incatenare quell’originale simbolo d’amore sul lampione centrale di Ponte Milvio. Nel capoluogo molisano, invece, è la recinzione che circonda la vasca di Villa Flora ad aver ispirato i giovani fidanzati. Le chiavi verranno, poi, gettate tra i pesci rossi e le ninfee che quest’anno sono incredibilmente sbocciate nella vasca. Questo fiore, ritenuto dagli antichi afrodisiaco, è anche simbolo dellamore platonico e purtroppo –però– dell’amore non corrisposto.


martedì 13 settembre 2011

Domenico Filippone, il progettista napoletano della G.I.L. di Campobasso, ed il suo stretto legame con il capoluogo del Molise. Egli progettò anche la mai realizzata Casa Littoria


di Paolo Giordano

Domenico Filippone
al suo tavolo da lavoro
“Illustre sig. Podestà apprendo con vivo compiacimento del restauro del castello Monforte e della sistemazione del Sacrario dei caduti. Io sono un ammiratore di quel castello. L’idea di glorificare i caduti innalzandone la Memoria sul più alto colle della città è veramente geniale. E’ mia opinione che Campobasso meriti una più approfondita conoscenza da parte degli italiani. Nel mio volume “le zone verdi della moderna urbanistica italiana” ho illustrato anche il centro di Campobasso, citandolo come esempio”.
Questo scritto del 07/09/1936 dell’architetto Domenico Filippone testimonia un rapporto intimo e profondo con il capoluogo molisano.
Il progettista dell’ex G.I.L. nacque a Napoli nel 1903. Laureatosi nel 1926 fu docente universitario a Roma, dove iniziò la professione realizzando alcuni importanti edifici. Partecipò, vincendoli, a concorsi per piani regolatori in diverse città italiane. E’ sua la paternità di piani di ricostruzione del secondo dopoguerra e della sistemazione urbanistica della zona Dantesca in Ravenna. Nel 1946 si trasferì in Venezuela, invitato dal Governo come esperto e consulente del piano regolatore di Caracas. Oltre allo sviluppo urbanistico della capitale si occupò della bonifica dell’entroterra malarico, conseguendo notevoli successi professionali. Ai suoi studi si deve l’introduzione di sistemi innovativi sia nella tecnica costruttiva e sia in merito all’evoluzione culturale del popolo. I cittadini, opportunamente istruiti, partecipavano alla realizzazione delle proprie abitazioni.
plastico della Casa Littoria
Scrittore, giornalista, docente universitario si occupò costantemente di temi sociali e problematiche architettoniche. Una delle peculiarità dei suoi lavori è la ricerca dell’armonia con la natura poiché “non si deve sapere dove finisce la casa e comincia il giardino”.
A Campobasso, oltre alla G.I.L., sono suoi il progetto case INCIS e quello (non realizzato) per la Casa Littoria. L’architetto Filippone aveva individuato in piazza della Vittoria, su suolo donato dal Comune e quindi più conveniente anche dal punto di vista economico, l’area su cui sarebbe potuta sorgere la struttura. Il terreno, oltre ad essere in zona centrale, avrebbe consentito la costruzione del palazzo, affiancato da una torre, posto a sfondo delle due arterie principali (il Corso e via Roma). Il complesso monumentale, con un sagrato per le adunate, non avrebbe interrotto o condizionato il traffico tra via Corso Vittorio Emanuele e via Petrella. Il vicino palazzo Di Penta ne sarebbe divenuto parte integrante. Campobasso avrebbe avuto un centro moderno e funzionale con linee architettoniche intonate al carattere “rivoluzionario” del fascismo. Si prevedeva anche un portico che avrebbe dato molta vita a palazzo e piazza, offrendo un efficace luogo di convegno rispondente anche a necessità propagandistiche. L’accentramento di tutti i servizi al pubblico, e dei vari Enti del Partito, costituiva, poi, un’assoluta novità nella costruzione delle Case Littorie. La torre “forte”, più che agile, avrebbe risposto alle esigenze panoramiche di una città priva di campanili aguzzi e dominata dalla sagoma maschia del Castello.
La guerra e la conseguente caduta del Regime furono le cause della morte di questo progetto. Resta, però, memoria dell’affascinate dibattito su una diversa concezione di sviluppo urbanistico per Campobasso. Contemporaneamente appare una beffa del destino che l’ex G.I.L. sia stata condanna alla demolizione proprio in virtù dell’intento di accorpare tutti gli uffici Regionali.
Domenico Filippone si spense in Venezuela il 4 maggio 1970, poco prima di intraprendere il viaggio del definitivo ritorno in Italia.

la Casa Littoria di Campobasso
progetto di Domenico Filippone

giovedì 11 agosto 2011

Villa de Capoa a Campobasso... una domenica d'estate.

Avevo già pronta una “fotonotizia” per denunciare la persistente chiusura del cancelletto di accesso a Villa de Capoa, ubicato in via duca d’Aosta, quando... sorpresa delle sorprese in un tranquilla domenica d’inizio estate esso era aperto!


“Evviva, la Villa apre la domenica!”
Però… però il cancello principale non era stato adeguato alla novità: era chiusissimo. Qualcosa non tornava.
Vuoi vedere allora che si vuole consentire almeno la fruizione dei giochi per bambini, che sono in quella parte della Villa?
Per scoprire l’arcano mi sono intrufolati e… sconforto! Il fantomatico accesso secondario era stato opportunamente aperto a servizio delle gradinate dei campi da tennis, per gli spettatori di chi sa quale torneo. Per evitare che qualcuno godesse dell’area verde è stata innalzata una rete metallica, quale novello muro di Berlino. Una sistemazione ovviamente provvisoria.



Quel che maggiormente feriva sguardo e cuore era la visione dei giochi per bimbi oltre il reticolato. Uno spettacolo tristissimo, che si posizionava tra il campo di concentramento ed il post bomba atomica. Invece del festoso schiamazzo di stuoli di infanti regnava il silenzio assoluto, rotto solo dai secchi colpi delle racchette accompagnato dallo sforzo degli atleti. Suoni questi che, paradossalmente, rendevano ancora più cupa tutta la visione.
L’unica triste consolazione, di cui si sarebbe fatto sinceramente a meno, restava l’attualità della “fotonotizia” che si è potuta purtroppo pubblicare:


Il cancello con rampa per disabili che da "Porta Napoli" consente l'accesso in Villa de Capoa continua ad essere serrato. Pertanto, considerato che i gestori del parco non si sono assolutamente fatti "scalfire" dalle reiterate segnalazioni... Almeno si rimuova lo sbiadito cartello con gli orari di accesso. Sembra un’ulteriore presa in giro! Con l'occasione, dopo aver lodato il titanico lavoro svolto dal custode che cerca amorevolmente, e senza risparmiare energie, di curare il bellissimo giardino, si lancia una proposta: Perché non chiudere uno o due giorni infrasettimanali ed aprire finalmente la domenica ed i festivi compensando così l'aumento dei costi?”

martedì 9 agosto 2011

La Fontana di Cacciapesce a Campobasso avrebbe forse meritato una più degna collocazione....


di Paolo Giordano

Quando la fontana di Cacciapesce fu restituita alla Città si diffuse un entusiasmo collettivo. Campobasso ritrovava un importante pezzo della sua storia che si credeva irrimediabilmente perduto. Ciò induceva anche a perdonare il fatto che dopo averla smontata, danneggiata, smembrata e trafugata la si fosse riconsegnata ad un privato, perché la utilizzasse quale biglietto da visita per il nuovo quartiere da egli stesso realizzato. Non mancarono delle perplessità… ma furono etichettate come “le solite critiche da provinciali eternamente scontenti”. Stranamente, però, tutti coloro che nell’infanzia avevano sguazzato accanto alla fontana la ricordavano più imponente: “ma che hanno fatto…l’hanno rimpicciolita?!”
Oggi dopo aver attentamente osservato, studiato e valutato il reinserimento del monumento nel tessuto urbano ed architettonico del capoluogo il giudizio finale è tutt’altro che positivo. Pur essendo stato modificato il basamento (che i testimoni oculari ricordano più alto) è proprio la collocazione a “ridurne” le dimensioni. Nella sua precedente “vita” essa dominava su una vasta piazza triangolare, mentre oggi è relegata alla fine della discesa di corso Bucci, seminascosta tra le case e soffocata dalle bancarelle. Prima “dialogava” con palazzi importanti quali il Seminario e la Caserma dei Carabinieri, oggi ha per dirimpettaio un bagno pubblico.
La Fontana era in un luogo di grande vita ed i bambini vi giocavano accanto, pur se rimproverati dai genitori che temevano potessero cadervici dentro. Nel succitato triangolo venivano ospitate le “giostre” e durante la Guerra gli alleati vi accatastarono enormi quantità di generi alimentari.
La vicinanza del Monopolio di Stato significava movimento e passaggio continuo di persone e carretti (come testimoniato dalle foto d’epoca). Era un punto nevralgico socio economico ai confini tra la città Murattiana, la periferia ed il mondo intero, considerata la vicinanza della Stazione Ferroviaria. Non sono da trascurare i corteggiamenti ed i furtivi incontri tra le fanciulle mandate a prender l’acqua ed i loro giovani spasimanti. Oggi, dopo un breve periodo di “non è potabilità” le 6 cannelle sono tristemente asciutte. Una ringhiera in ferro, per quanto artistica, separa il manufatto dai passanti… dal calore della gente! La sua utilità sociale è, quindi, scomparsa come i troppi pezzi mancanti che sono stati reintegrati.
Con il “senno di poi” tanti altri siti si sarebbero potuti individuare, ma quel che infastidisce è ancora una volta la supponenza con cui si prendono decisioni in barba al parere del popolo sovrano.

un interessante "studio" della Fontana
per gentile concessione di
Roberto Morfini
da Campobasso

la Fontana di Cacciapesce.... svarioni ed inesattezze!!!!

Probabilmente la ringhiera che separa il monumento dalla "sua gente" è volutamente "anticata", ma a qualcuno è sorto il sospetto che sia già ampiamente deteriorata. Forse andava comunque sottoposta ad un differente trattamento, poiché la ruggine ha già macchiato la pietra. Ovviamente nessuno dal Palazzo ha fornito spiegazioni.....

di Paolo Giordano
Un lettore, nonché campobassano d.o.c., ha segnalato con stizza che la ringhiera della Fontana di Cacciapesce è già tutta ossidata. A suo dire la ruggine colando avrebbe anche macchiato le pietre. Mentre si procedeva a verificare la fondatezza della soffiata…”Giovinotti scusate…” una simpatica vecchina ci ha rivolto la parola “ma che ci sta scritto qua? Sapete io non ci vedo tanto bene”. La signora si riferiva ad una targa esplicativa posta alla base del monumento. Effettivamente, in caratteri abbastanza piccoli e quasi a livello zero rispetto al pavimento, è stata collocata una mini epigrafe con storia, ringraziamenti e rievocazioni per i posteri. E’ inevitabile la precisazione sulle inesattezze storiche presumibilmente causate da una disattenta lettura del libro “Campobasso le cartoline raccontano” di Ada Trombetta (pag. 192). Più chiaro padre Eduardo Di Iorio nel suo “Campobasso Itinerari” (pag. 317): “trovavasi anticamente dove ora sorge il Seminario.. Con la costruzione del seminario fu sposata dove attualmente vi è il palazzo dell’INAIL”. Quindi non il contrario come inciso sulla “piastra”.



Appare chiara la convinzione diffusa che di turisti a Campobasso non ne vengano, per cui è inutile spendere soldi ed energie in qualcosa di più visibile e dettagliato. I pochi visitatori, poi, di sicuro avranno l’occhio di lince e la vista da falco per poter leggere questa scomoda didascalia. L’anziana campobassana, nel frattempo, dopo aver ringraziato per la disponibilità si è allontanata verso via Cavour blaterando incomprensibili, ma intuibili, osservazioni. Insomma ancora una manifestazione di “surrealismo molisano”…. Ah…in merito alla segnalazione…la ringhiera…o non è mai stata verniciata o è già abbondantemente arrugginita!