di Paolo Giordano
Domenico Filippone al suo tavolo da lavoro |
“Illustre sig. Podestà apprendo con vivo compiacimento del restauro del castello Monforte e della sistemazione del Sacrario dei caduti. Io sono un ammiratore di quel castello. L’idea di glorificare i caduti innalzandone la Memoria sul più alto colle della città è veramente geniale. E’ mia opinione che Campobasso meriti una più approfondita conoscenza da parte degli italiani. Nel mio volume “le zone verdi della moderna urbanistica italiana” ho illustrato anche il centro di Campobasso, citandolo come esempio”.
Questo scritto del 07/09/1936 dell’architetto Domenico Filippone testimonia un rapporto intimo e profondo con il capoluogo molisano.
Il progettista dell’ex G.I.L. nacque a Napoli nel 1903. Laureatosi nel 1926 fu docente universitario a Roma, dove iniziò la professione realizzando alcuni importanti edifici. Partecipò, vincendoli, a concorsi per piani regolatori in diverse città italiane. E’ sua la paternità di piani di ricostruzione del secondo dopoguerra e della sistemazione urbanistica della zona Dantesca in Ravenna. Nel 1946 si trasferì in Venezuela, invitato dal Governo come esperto e consulente del piano regolatore di Caracas. Oltre allo sviluppo urbanistico della capitale si occupò della bonifica dell’entroterra malarico, conseguendo notevoli successi professionali. Ai suoi studi si deve l’introduzione di sistemi innovativi sia nella tecnica costruttiva e sia in merito all’evoluzione culturale del popolo. I cittadini, opportunamente istruiti, partecipavano alla realizzazione delle proprie abitazioni.
plastico della Casa Littoria |
Scrittore, giornalista, docente universitario si occupò costantemente di temi sociali e problematiche architettoniche. Una delle peculiarità dei suoi lavori è la ricerca dell’armonia con la natura poiché “non si deve sapere dove finisce la casa e comincia il giardino”.
A Campobasso, oltre alla G.I.L., sono suoi il progetto case INCIS e quello (non realizzato) per la Casa Littoria. L’architetto Filippone aveva individuato in piazza della Vittoria, su suolo donato dal Comune e quindi più conveniente anche dal punto di vista economico, l’area su cui sarebbe potuta sorgere la struttura. Il terreno, oltre ad essere in zona centrale, avrebbe consentito la costruzione del palazzo, affiancato da una torre, posto a sfondo delle due arterie principali (il Corso e via Roma). Il complesso monumentale, con un sagrato per le adunate, non avrebbe interrotto o condizionato il traffico tra via Corso Vittorio Emanuele e via Petrella. Il vicino palazzo Di Penta ne sarebbe divenuto parte integrante. Campobasso avrebbe avuto un centro moderno e funzionale con linee architettoniche intonate al carattere “rivoluzionario” del fascismo. Si prevedeva anche un portico che avrebbe dato molta vita a palazzo e piazza, offrendo un efficace luogo di convegno rispondente anche a necessità propagandistiche. L’accentramento di tutti i servizi al pubblico, e dei vari Enti del Partito, costituiva, poi, un’assoluta novità nella costruzione delle Case Littorie. La torre “forte”, più che agile, avrebbe risposto alle esigenze panoramiche di una città priva di campanili aguzzi e dominata dalla sagoma maschia del Castello.
La guerra e la conseguente caduta del Regime furono le cause della morte di questo progetto. Resta, però, memoria dell’affascinate dibattito su una diversa concezione di sviluppo urbanistico per Campobasso. Contemporaneamente appare una beffa del destino che l’ex G.I.L. sia stata condanna alla demolizione proprio in virtù dell’intento di accorpare tutti gli uffici Regionali.
Domenico Filippone si spense in Venezuela il 4 maggio 1970, poco prima di intraprendere il viaggio del definitivo ritorno in Italia.
la Casa Littoria di Campobasso progetto di Domenico Filippone |
L'architettura, con la “A” maiuscola, in quanto arte non può essere in nessun modo catalogata come “indegna” e quindi da lasciar cadere con non curanza nell'oblio, perchè figlia di un determinato movimento o colore politico o esaltata e valorizzata perchè appartenente al movimento o colore opposto. L'arte è arte in quanto tale e tutto il resto sono solo elucubrazioni da salotto ottocentesco.
RispondiEliminaRicordo ancora, con sommo dispiacere, quando le ruspe aggredirono la struttura dell'ex GIL, lasciata per troppo tempo al degrado e all'incuria dall'indifferenza generale, non soltanto dei politici di turno, assisi sulle loro comode poltrone da assemblea comunale, ma anche dall'amministrazione preposta al recupero dei beni artistici ed architettonici e dalla cittadinanza tutta del capoluogo.
Si potrebbe pensare, con somma faciloneria, che certa storia, e suoi immancabili derivati, in fin dei conti e meglio relegarli nell'oblio. Una storia troppo scomoda, apportatrice solo di lutti, violenza e sopraffazione, inutilizzabile per fare propaganda politica, populista e a buon mercato, impercorribile per tessere le lodi di un popolo e della sua bontà e magnificenza, se impossibile da cancellare, può comunque essere manipolata e piegata a proprio piacimento per raccontare mezze verità o menzogne eclatanti. Ma in questo caso non sia mo più in presenza della storia, ma di una fantastoria, di una diacronia inaccettabile e fuorviante della verità.
Infatti anche la storia, come l'arte, è scienza della conoscenza e dell'approfondimento, sociale ed etico, e non può essere depennata dalle nostre vite soltanto perchè scomoda, ma studiata, seriamente, ancor più approfonditatmente e divulgata, perchè gli eventuali errori ed orrori da essa scaturiti non abbiano più a ripetersi. Non a caso gli antichi romani affermavano, con enfasi, che la storia è maestra di vita.
Quindi, alla luce di tutto questo, non si può immaginare la mia felicità, quando vidi la Sovrintendenza alle belle arti, finalmente attiva, fermare lo scempio che si stava compiendo sotto l'occhio indifferente di tutta la città e della sua intelighenzia.
Di tutta la struttura e di ciò che conteneva, era rimasto solo uno sparuto moncherino con un disegno mezzo cancellato dalla forza bruta delle pale meccaniche. Ma almeno qualche cosa da cui ricominciare ere rimasta.
Oggi la risorta ex GIL e stata adibita a sede di una prestigiosa e altisonante, almeno nel nome, associazione che dovrebbe far rinascere e diffondere la cultura della nostra bella regione. Spero, ardentemente, che questa nuova istituzione sia all'altezza della storia della struttura che la ospita, e ne segua, nei suoi scopi, la pertinace rinascita, e non si riveli, invece, l'ennesimo fumo negli occhi per tutti quei molisani che auspicano un vero e positivo cambiamento e risveglio della regione nel segno della sua cultura, e serva, inoltre, a scuotere anche coloro che sono troppo pieni di sé e dei propri piccoli e ristretti punti di vista, o adagiati da troppo tempo in una proverbiale apatia.
In questo momento, la nostra realtà regionale non ha bisogno dell'ennesimo carrozzone mangia soldi pubblici, privo di idee fattibili, imbonitore e profusore di denaro per “interessanti” sagre della porchetta o past' e fasuoli, ma di una struttura che faccia uscire il Molise, finalmente, dal suo stato di regione fantasma, perennemente affetta da sindrome di inferiorità “agro-pastorale” rispetto al resto del paese. Tutto il resto sarà storia.
Il tuo amico,
Roberto
Caro Roberto,
RispondiEliminala tua analisi non fa una piega.
Per amor di verità mi preme evidenziare che la cittadinanza si fece sentire... eccome.
Ma per quel diabolico meccanismo di mancanza di comunicazione, come sempre accade, il parere del popolo fu totalmelente ignorato dal potere.
In merito alla Fondazione Molise Cultura... staremo a vedere!