Pensieri



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venerdì 11 maggio 2012

La "cantina di Fiammifero" a Campobasso, ovvero l'ex chiesa di Sant'Angelo. Quando l'oste Giovanni Belnudo trasformò una malfamata taverna in ricercato luogo d'incontro per i campobassani..


Il Quotidiano del Molise
del 10 maggio 2012 


di Paolo Giordano

stampa ottocentesca 

con la chiesa di Sant'Angelo
“Segue dalla parte di sotto del castello la parrocchia di Sant’Angelo… si fa festa solenne nel giorno di S. Michele. Vi è il parroco seù Rettore, con 2 sacerdoti partecipanti con l’altra parrocchia di S. Mercurio… quali vanno unite per la tenuità delle entrate”. Così relaziona nel 1688 il Nauclerio, testimoniando anche l’avvenuta fusione a seguito della pestilenza (1656), quando per la riduzione della popolazione si erano “razionalizzati” i servizi. La struttura dell’antichissima chiesetta (a cui era annesso il cimitero di San Mercurio alli Monti), già menzionata in un documento del 1241, era ancora visibile a poche decine di metri dal maniero fino agli anni ’50 del ‘900. Vi si cessò di officiare nel 1829 e la statua di San Michele scese a valle: oggi è conservata nella chiesa di Sant’Antonio Abate. Poi con un passaggio di proprietà tutto da scoprire i ruderi dell’edificio sacro, campanile incluso, furono trasformati in taverna. Il primo oste, Giovanni Girardi detto Fiammifero, fu responsabile di un atto che oggi riterremmo sconsiderato se non addirittura “criminale”. 
(mr.valavennis..er..ù-s-a..s)
l'iscrizione osca 
trascritta dal Balzano
Per salvaguardare i clienti fece manipolare da uno scalpellino la scivolosa lastra in pietra che fungeva da soglia alla porta d’ingresso.
 Su di essa era incisa un’iscrizione in lingua osca andata irrimediabilmente perduta. 

Il caso volle che lo studioso abruzzese Vincenzo Balzano ne avesse trascritto il contenuto, dal Gasdia poi riportato nei suoi studi.
Negli anni ‘20 del ‘900, pur mantenendo la vecchia “insegna”, la gestione della fino ad allora malfamata cantina passò a Giovanni Belnudo, un ingegnaccio dalla numerosa famiglia: aveva ben 9 figli. Egli era un tomaista che confezionava scarpe “miracolose”, degne di San Crispino, rendendo inoffensivi calli, duroni ed ogni altra fonte di tortura per i piedi. Negli anni 27-28 confezionò un pallone per la squadra di calcio del Campobasso ed ottenne anche l’appalto della fornitura di scarpe ai soldati del locale distretto, i quali così marciarono sicuramente con molte meno sofferenze. Grazie a lui “Fiammifero” divenne un approdo ricercatissimo dai campobassani e, particolarmente nei mesi caldi, c’era l’assalto ai tavoli all’aperto: un’altra felice intuizione del cantiniere. “Funzionava a vino, anche se proprio il vino era escluso dalla licenza. Speciali “le caponate”, le pizze al pomodoro ed il soffritto” (V.Vigliardi – 30 anni sotto il Monforte).
Giovanni Belnudo 
(primo a sinistra) 
foto tratta dal libro di 
Venanzio Vigliardi
Il Belnudo si approvvigionava del nettare di Bacco (uno dei migliori prodotti della regione) girando con il suo carretto per i vari paesi. Il sabato sera si registrava il tutto esaurito: partite a carte, chiacchiere e gioia di vivere. L’ultimo giorno di maggio, per la festa della Madonna dei Monti, l’ex chiesa si illuminava con i palloncini veneziani fabbricati dall’eclettico Giovanni. Poi, contrariamente a quel che avvenne a Cana di Galilea, il vino si tramutò in acqua: i lavori per la costruzione dell’Acquedotto spazzarono via tutto!
Il fascino di un’epoca resta nelle parole della dedica scritta da Bigi nel 1928 in occasione della pubblicazione di “Rime Allegre” di Trofa: “C’è Fiammifero che ci aspetta col vinello un po’ arzente e col suo capo di salsiccia…tavolo pronto… tu da una parte, io dall’altra… si mangia, si beve, si ride…e si lavora”.

il castello Monforte con i ruderi
della chiesa di Sant'Angelo
La chiesa trasformata in "cantina" ,
è ben visibile il tetto dell'edificio



martedì 8 maggio 2012

Il "San Giorgio" di Scapoli, opera di Paolo Saverio di Zinno tra Arte e leggenda


"Il Quotidiano del Molise"
del 23 aprile 2012



di Paolo Giordano

Nell’accurato lavoro di ricerca condotto da Nicola Felice e Riccardo Lattuada, culminato con la pubblicazione del libro “Paolo Saverio Di Zinno-arte ed effimero barocco nel Molise del settecento”, vi è un rimando al Martino (1874) ed al Moffa (1979) in merito al San Giorgio a cavallo di Scapoli: “Terminato nel 1770 scomparve durante il II conflitto mondiale, forse bruciato dalle truppe marocchine d’occupazione”. Questa “fine ingloriosa” non ha convinto l’architetto Valente, che (vedasi il suo blog) nel 2009, con stupore e soddisfazione, scoprì quel manufatto ancora presente in paese, purtroppo non in buono stato di conservazione e sottoposto nei secoli a diversi restauri, uno dei quali eseguito addirittura da Charles Moulin.
La statua “scomparve” alcuni decenni fa, sostituita da una nuova, venne spostata in altro luogo per esservi conservata. Gli interventi effettuati nel tempo hanno progressivamente compromesso i caratteri originali tipici del Di Zinno. L’artista campobassano, noto in primis per i Misteri del Corpus Domini, è famoso per la plasticità ed il dinamismo che conferiva alle sue creazioni, rispondendo magistralmente alle istanze artistiche della sua epoca. La preziosità dell’opera in questione viene aumentata dal fatto che sarebbe il suo unico gruppo equestre giunto fino a noi. A supporto dell’attribuzione ci sono anche racconti della tradizione locale e, inoltre, nessuno conosce la teoria della distruzione bellica. Dal canto nostro ci permettiamo di accostare al santo Cavaliere un disegno del geniale campobassano, tratto dal testo di Lattuada-Felice. Un “penna e matita su carta d’avorio” che ritrae “Santiago Matamoros”, ovvero San Giacomo che sconfigge i mori nella battaglia di Clavio. In entrambe le raffigurazioni appare (citando Valente) la “straordinaria potenza con la quale il santo dal cavallo rampante colpisce” il nemico.

il "San Giorgio" di Scapoli e San Giacomo alla battaglia di Clavio
Però, accanto alla gioia “della statua ritrovata”, alberga la tristezza per il disamore con cui Campobasso tratta i suoi più gloriosi figli. In città, infatti, non v’è neppure una viuzza intitolata a Paolo Saverio Di Zinno. Il sospetto è sempre che la mediocrità di noi posteri funga da deterrente, nel timore di un insostenibile confronto con un avi di cotanta grandezza.



Santiago matamoros

San Giorgio
foto Franco Valente