Pensieri



Questo sito utilizza cookie di Google per erogare i propri servizi e per analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo agente utente sono condivisi con Google, unitamente alle metriche sulle prestazioni e sulla sicurezza, per garantire la qualità del servizio, generare statistiche di utilizzo e rilevare e contrastare eventuali abusi.

giovedì 8 novembre 2018

La "Madonna di Costantinopoli" e la "Maddalena penitente" nella Cattedrale di Campobasso, II parte



Articolo pubblicato sul numero 1, mese di gennaio 2017, de "IL BENE COMUNE", anno XVII.



La "Madonna di Costantinopoli" e la "Maddalena penitente" nella Cattedrale di Campobasso.

seconda parte

Le due opere, uniche superstiti del ricco patrimonio pittorico che decorò nel XIX secolo la chiesa della Santissima Trinità, "raccontano" alle nuove generazioni le vicende ottocentesche del Duomo cittadino.


di Paolo Giordano

la chiesa della Santissima Trinità
 in Campobasso
da "La Patria, geografia dell'Italia,
 anno 1899"
"Negli ultimi anni del secolo XIX, dopo un'aspra battaglia tra le autorità civili e religiose, il mite vescovo Felice Gianfelice, affiancato dal can. Minadeo, mediante anche l'opera del benemerito sindaco Bucci, riottenne il possesso della Santissima Trinità. Mentre fervevano i necessari preparativi di restauro e ripulitura della nostra chiesa e precisamente il 27 settembre 1888, essa ospitò Giacomo Dalla Chiesa allora semplice funzionario di Stato di Sua Santità, futuro cardinale di Bologna e poi eletto papa con il nome di Benedetto XV. Egli fu mandato da papa Leone XIII per indagare sui fatti della apparizione dell'Addolorata a "Cesa tra Santi" in Guasto di Castelpetroso. Da pontefice si ricordò della bella ospitalità ricevuta e delle strettezze economiche in cui versava la nostra chiesa trinitaria¸ perciò inviò la sua offerta personale di £ 20.000 per i restauri della medesima". (Giuseppe di Fabio)
Il 31 dicembre 1899 la chiesa della Trinità venne finalmente riaperta al culto. Probabilmente in essa erano ancora tutte visibili le profonde "ferite" inferte da decenni di profanazioni e, se per i cattolici campobassani poteva trattarsi "di una memorabile vittoria contro l'anticlericalismo" (F. Pece), di sicuro non c'era da rallegrarsi per gli irreparabili danni subiti dal patrimonio artistico e culturale cittadino.
Come già osservato forse solo quattro opere, delle 14 giunte da Napoli, dovevano essere sopravvissute alle spoliazioni di fine ottocento: il Natale, San Girolamo, Santa Maria Maddalena e la Madonna di Costantinopoli.
Merita, a questo punto, aprire una parentesi per richiamare l'attenzione su un altro dipinto presente nella Cattedrale che, se pur non collegato in alcun modo alla donazione borbonica, è comunque un'importante testimonianza delle vicende storico-artistiche locali. Si tratta di un'Incoronazione della Vergine, di scuola napoletana (XVII secolo), che quasi sicuramente era quella posta "in testa all'altare principale" (Luigi Nauclerio, 1688) della chiesa cinquecentesca distrutta dal terremoto del 1805. La tela, quindi, è un autentico cimelio "sopravvissuto" a cataclismi umani e naturali.

Tornando alle vicissitudini ottocentesche, va evidenziato che la chiesa della Trinità subì un ulteriore mutamento di destinazione d'uso quando ospitò, durante il conflitto ‘15-‘18, un ospedale di guerra. Infine fu, nel 1927, elevata a Cattedrale con i conseguenti interventi di ristrutturazione ed ampliamento voluti dal Vescovo Alberto Romita, il primo della diocesi Bojano - Campobasso. 

La testimonianza di padre Eduardo Di Iorio
L'Incoronazione della Vergine,
Cattedrale di Campobasso (foto Mario Gravina)
Negli anni 70 del 1900 solo due delle quattro opere superstiti facevano ancora mostra di sé nelle navate della Chiesa: "una santa che riceve la corona di spine ed una vergine col bambino… Due dipinti, che prima dei restauri del 1972-73 erano nelle pareti del tempio, hanno le dimensioni di m. 2½ x 2. Uno rappresenta una Santa sul tipo di Maria Maddalena, che riceve da un Angelo la corona di Spine, mentre altri due Angioletti di più piccole dimensioni sostengono la colonna della flagellazione, Nel lato inferiore a sinistra (sic) vi è un'anima tra le fiamme purificatrici. Il secondo dipinto su tavola raffigura la Madonna col bambino, avente ai lati S. Giovanni Battista con cartiglio: Ecce Agnus Dei e San Pietro con le Chiavi. Ai piedi di Maria si vedono due piccolissimi Angeli che dalle loro brocche versano acqua ristoratrice sul popolo. Ai due lati superiori nelle parti estreme sono dipinti due Angeli con strumenti musicali."

La "Madonna di Costantinopoli" torna ai campobassani
Madonna di Costantinopoli
Cattedrale di Campobasso
(foto Mario Gravina)
Fino al 2012 era solo grazie a questa descrizione di padre Eduardo Di Iorio (Campobasso, itinerari di storia e di arte) che agli interessati era consentito "vedere" gli unici quadri giunti a noi di quelli provenienti dal Real museo Borbonico. E se con la Maddalena "un incontro" poteva pur sempre essere possibile, su gentile concessione del clero, essendo la stessa custodita negli uffici parrocchiali, ogni speranza di ammirare la Madonna di Costantinopoli era di fatto persa, essendo essa conservata in quella extra dimensione, quasi leggendaria, che risponde al nome di "Deposito della Sovrintendenza".
Si deve all'interessamento del professor Filippo Pece, che trovò pieno riscontro nell'entusiasmo e nella passione professionale dell'allora sovrintendete Daniele Ferrara, se l'olio su tavola raffigurante la Vergine Odigitria è tornato al culto ed alla visione di fedeli e turisti.
Impossibile prescindere, per la presente "cronaca", e per la lettura delle due opere, dall'articolo di Silvia Sbardella "Tra donazioni e sparizioni-le vicende ottocentesche dei dipinti della chiesa della Santissima Trinità di Campobasso", pubblicato su "Napoli Nobilissima", maggio-agosto 2004. 


Le chiesetta in via Ferrari
l'ex Chiesetta della Maddalena
La tela raffigurante la Maddalena penitente fu per un certo lasso di tempo ospitata nella chiesa omonima, ubicata in via Ferrari a Campobasso: la parte finale di detta strada, che va ad allargarsi a mo' di piazzetta, prende appunto il toponimo di largo della Maddalena. Qui era ancora officiata, fino ai primi decenni del 1900, una chiesetta priva, però, di qualsivoglia pregio artistico. L'edificio che ospitò il luogo di culto è oggi identificabile grazie alle architetture esterne, caratterizzate da due lesene laterali che incorniciano la facciata rettangolare (faccia quadra). Nel passato, come tramanda il Masciotta, la piccola chiesa venne adibita ad Oratorio per gli studenti del Collegio Sannitico (poi Convitto Mario Pagano). Negli anni trenta del secolo scorso, la chiesina, bisognosa di manutenzione, fu messa in vendita per sostenere le spese legate alla costruzione del nuovo seminario diocesano con sede nel Capoluogo. Essa fu, quindi, venduta nel 1929 (contratto definitivamente concluso nel 1931) a tal Diodato Mancini, che vi aprì una drogheria impegnandosi a non destinare mai lo stabile ad usi sconvenienti e volgari. Per decenni ivi ebbe sede uno storico negozio di abbigliamento ed alla data odierna l'immobile è inutilizzato, pertanto sarebbe da appurare se quella clausola di vendita sia stata trasmessa anche ai successivi acquirenti (ndr).
Fu in questi umidi locali che il quadro della Maddalena, titolare dell'edificio sacro, subì ulteriori compromissioni tanto da giungere a noi bisognoso di opportuni restauri, versando lo stesso in un non eccellente stato di conservazione.

Le due "Maddalene"
Nulla indurrebbe a dubitare che l'attuale sia la Maddalena inclusa nella donazione del 1829, eppure "non tutti i conti tornano". Quello che potrebbe sembrare un semplice modo di dire, proprio del 
Maddalena penitente
Cattedrale di Campobasso
(foto Mario Gravina)
linguaggio quotidiano, cela in concreto un'imprevedibile verità: sono realmente "i conti", o meglio le misure, a far porre dei legittimi interrogativi. La "Santa Maria Maddalena con angeli che la portano in gloria", esposta nella Santissima Trinità di Campobasso, misurava palmi 6 x 10, ovvero cm 265 x 159, mentre il dipinto attualmente conservato negli uffici parrocchiali è alto 197 cm ed è largo 174 cm. Indubbiamente è plausibile che gli interventi di restauro ed intelaiatura abbiano potuto ridurne le dimensioni, ma come mai il quadro risulta cresciuto? Istintivamente viene da pensare ad un errore di misurazione, ma in realtà si tratta di un ulteriore storia nella Storia!
La curiosa discrepanza, rilevabile anche nella mancata rispondenza iconografica, è dovuta al fatto che il vescovo di Bojano (si presume intorno al 1844, datazione del documento dell'Archivio di Stato di Napoli che riporta l'episodio) ebbe a protestare per le "soverchie nudità dell'immagine della Maddalena collocata in uno dei due cappelloni della chiesa matrice di Campobasso" (S. Sbardella). L'alto prelato ottenne dal Re che "il quadro istesso fosse spedito in Napoli e che se ne surrogasse altro più adatto della stessa misura". Michelangelo Ziccardi, sindaco di Campobasso, si recò nella capitale e, assistito dal Direttore del Real museo, procedette nel 1844 alla sostituzione, riportando in città la "nuova" Maddalena.

La Maddalena penitente
"La lettura dei caratteri stilistici di quest'opera non potrebbe che rilevare la sua inclinazione verso una matrice classicista, dove toni di temperata intensità sentimentale ed espressiva si uniscono al sapiente uso di una ragionata articolazione compositiva di stampo marattesco. Questo insieme di elementi, uniti alla predilezione per una pittura limpida e giocata sui toni tenui del cromatismo giordanesco, invitano a guardare con insistenza alla produzione di uno dei grandi esponenti della cultura figurativa napoletana del tardo Seicento, Paolo De Matteis, e al contempo, alla pittura del giovane allievo di questi, Giovan Battista Lama8 " (S. Sbardella)
Galatea, di Paolo De Matteis, 1692
Galleria di Brera, Milano (fonte internet)
Affascinante ed inconfutabile è il confronto tra la Galatea (1682) del De Matteis, della Pinacoteca di Brera con sede a Milano, e la "Maddalena" di Campobasso. La disposizione delle figure all'interno delle due scene è quasi sovrapponibile, anche se alla postura frivola e sensuale della ninfa si contrappone l'atteggiamento di Maria Maddalena, più composto e consono al contesto religioso. Molte delle figure che affollano il quadro di Brera scompaiono, mentre altre vengono opportunamente trasformate. E' ravvisabile un irrigidimento accademico delle forme e del colore tipico della produzione sacra, caratteristico della maturità artistica di Giovan Battista Lama. Dall'osservazione delle opere di quest'ultimo appare che vi sia più di una semplice e casuale affinità linguistica con la Maddalena penitente.
Appare evidente che il dipinto originale fosse più grande e che esso sia stato rimaneggiato ben prima di essere inviato in Molise. Si intuisce, infatti, la presenza di altro/altri personaggi sulla destra dell'osservatore: si intravede un drappeggio ed alcuni sguardi sono rivolto verso qualcuno fuori campo. Semplicemente angeli o forse un Cristo? Del Resto anche nel Trionfo di Galatea del De Matteis, la nereide guarda verso Aci, il bellissimo pastore da lei amato, che occupa una parte della scena.
Incuriosisce il demonietto che offre alla Santa una corona d'oro, simbolo di potere, in contrapposizione alla corna di spine, simbolo di umiltà, offertale dall'angelo. Il volto bonario, quasi innocente del diavoletto, incarna l'aspetto accattivante della tentazione: non un truce spirito dannato, ma un simpatico povero diavolo.


Maddalena penitente, "le due corone offerte alla Santa"(foto Mario Gravina)

La Madonna di Costantinopoli
Se, quindi, per la Maddalena si può accettare con ragionevole certezza l'attribuzione al Lama, così come ben motivato da Silvia Sbardella, per la Madonna di Costantinopoli si può solo ipotizzare una qualche paternità.
Madonna di Costantinopoli
particolare raffigurante
San Giovanni Battista
(foto Mario Gravina)
"La Madonna col Bambino, San Giovanni e San Pietro" di palmi 8 ½ x 7 ½  (cm 224 x 198) era stata in un primo momento destinata (su scelta del pittore oratinese Isaia Salati) alla chiesa matrice di Oratino, per poi essere donata alla Santissima Trinità di Campobasso. Del dipinto, inventariato da Vincenzo Camuccini (chiamato nel 1824 a riordinare il Reale museo borbonico) con il n° 1127, non si dispone di notizie relative né all'autore né, tantomeno, all'originaria provenienza, ed è sinteticamente definito quale "copia d'Imparato" (Girolamo Imparato, 1549-1607). "Stilisticamente l'opera può essere inquadrata nell'ambito del panorama artistico-figurativo della pittura partenopea degli ultimi decenni del cinquecento: la composizione sobria e quasi schematica lascia trasparire la predilezione per un linguaggio di chiara matrice devozionale, depurato da ogni tentativo di artificio, dove invenzione ed estro creativo cedono il passo ad una pittura sacra più equilibrata ed impregnata di quello che Leone de Castris definisce in maniera sintetica realismo devoto" (S. Sbardella)
Madonna di Costantinopoli
particolare raffigurante San Pietro
(foto Mario Gravina)
Lo stile e l'impaginazione compositiva riconducono alla ricca produzione di pale d'altare che contraddistinse, per tutta la seconda metà del XVI secolo, la florida bottega di Silvestro Buono e Giovan Bernardo Lama: la Madonna col Bambino e santi Giovanni Battista e Domenico, realizzata dal Lama per della chiesa di San Lorenzo a Napoli, sembra frutto del medesimo modello preparatorio.
Ma se si confronta la Madonna di Costantinopoli con alcune opere, di fine cinquecento, dell'Imparato (l'Annunciazione della chiesa del Gesù di Lecce e la Trinità di Montecassino) è possibile constatare assonanze stilistiche ed iconografiche tutt'altro che trascurabili.
A quale dei due artisti, se non a qualche loro discepolo, potrebbe essere attribuita la "Madonna" di Campobasso?
Ipotizza Silvia Sbardella che, addirittura, potrebbe "essere il frutto di un lavoro di collaborazione tra i due pittori, che ebbero modo di incontrarsi quando Imparato, agli esordi della sua carriera, compiva il suo apprendistato proprio nella bottega del Buono".
La Madonna di Costantinopoli (le cui attuali misure sono cm 220 x 185) è in ottimo stato di conservazione essendo stata restaurata dal laboratorio PF Restauri, prima di essere nuovamente esposta nella Cattedrale di Campobasso. Ironia del fato vuole che nell'antica cinquecentesca chiesa della Trinità, compromessa dal sisma del 1805, vi fosse una grande cappella "della famiglia Pistilli, con cona indorata, con quattro colonne di mezzo rilievo, con nicchia in mezzo e statua indorata di Santa Maria di Costantinopoli" (Luigi Nauclerio, 1688).

L'iconografia della vergine Odigìtria,
Il titolo di Madonna di Costantinopoli è legato all'immagine della "Madre di Dio", detta Odigìtria, così com'era rappresentata nell'icona di Maria venerata a Costantinopoli nella chiesa degli odigos (guide). Nome derivante, secondo una delle tante versioni interpretative, dalla presenza di un monastero che ospitava le guide incaricate di accompagnare, ad una fonte miracolosa, coloro che erano affetti da malattie agli occhi perché riacquistassero la vista. 
Madonna di Costantinopoli,
particolare (foto Mario Gravina)
Detta icona era costituita da una testa di Madonna con il Bambino, dipinta su tavola in Palestina con la tecnica dell'encausto, ed era considerata un ritratto della Vergine realizzato dall'evangelista Luca, ritenuto ritrattista della Madonna. L'opera, giunta a Costantinopoli, venne "completata" divenendo una tavola raffigurante l'intera figura di Maria.
Il tipo iconografico di Santa Maria di Costantinopoli9 ritrae la Madonna (con l'abito rosso simbolo della natura divina) che indica il Figlio come "via, verità e vita". Nel dipinto di Campobasso il Bambino non viene espressamente "indicato", ma la Madre, con il suo amorevole abbraccio, poggiando teneramente la fronte su quella del Cristo bambino, lo mostra ai fedeli che vengono catturati dal suo profondo ed eloquente sguardo.
Spicca sul manto blu, che rappresenta il Cielo, la stella ad otto punte, emblema di perfezione (essendo questo un numero perfetto). La stella è un  attributo prettamente mariano: Ella è la Stella mattutina e la Stella Maris (stella del mare), segno di speranza e di costante riferimento spirituale per i cristiani, al pari della stella polare per i naviganti. Con tale titolo, simile appunto a quello di Odigitria, la Vergine Maria è invocata come guida e protettrice di chi viaggia o cerca il proprio sostentamento sul mare.
Una ricorrente caratteristica illustrativa della Madonna di Costantinopoli è la rappresentazione di una città turrita, e cinta di mura, in preda alle fiamme causate da un imponente incendio, presumibilmente conseguenza di un assedio di Saraceni. Alcuni angeli versano dal cielo acqua per domare il fuoco distruttore: i roghi del peccato che bruciano l'anima vengono estinti grazie all'intercessione della Vergine.
L'opera campobassana, pienamente rispondente all'iconografia classica, è arricchita dalla presenza dei Santi Giovanni Battista e Pietro, contraddistinti dai loro rispettivi simboli.
Il primo rivolto verso l'osservatore, ha ai piedi l'agnello. Indossa un manto rosso (colore del martirio) ed è avvolto da una veste di peli di cammello (con cui si copriva nel deserto il Battista, come narrano i Vangeli). Egli regge la croce con il cartiglio riportante la frase "Ecce Agnus Dei", il suo dito indice è elevato ad indicare il Mistero l'Incarnazione del Figlio di Dio.
Il secondo santo, con l'abito bianco (colore della purezza), ha sulle spalle un mantello ocra giallo/oro (lo splendore della santità). I due colori sono quelli della Chiesa (gli stessi della bandiera vaticana) di cui egli è rappresentazione metaforica.
Pietro regge le doppie chiavi, quella d'oro che può aprire il cielo e quella d'argento che può serrarlo (Purgatorio IX canto) e, contemplando la Vergine, mostra il libro della Parola di cui è custode, come lo è la Chiesa che rappresenta.

L'irrimediabile scomparsa di una ricca donazione
Di tutta la ricca donazione ottocentesca sono state consegnate ai posteri solo queste due opere.
Madonna di Costantinopoli
 particolare della città in fiamme
(foto Mario Gravina)
Nel contempo ci piace credere di aver fornito, con il nostro lavoro, un minimo contributo affinché ad esse venga sempre più concessa la dovuta attenzione, facendole divenire oggetto di appassionati ed approfonditi studi. E', comunque, difficile, pur se a distanza di 150 anni, accettare la scomparsa degli altri 12 quadri. Per quelli fagocitati dal periodo buio (per la chiesa della Trinità) a cavallo dell'unità d'Italia, non ci si dovrebbe che rassegnare…. ma è la totale perdita di ogni memoria degli altri due, ancora visibili negli anni 30 del 1900, a lasciare oltremodo perplessi. E' facile supporre che il San Girolamo (cm 185 x 132 "all'origine") possa essere stato agevolmente trasferito altrove, ma il Natale, a causa delle sue grosse dimensioni (cm 238 x 582) avrebbe dovuto necessariamente lasciare una qualche traccia di sé.
Oramai, per ragioni meramente generazionali, non vi è più alcuna possibilità di raccogliere testimonianze dirette sulla presenza di quei dipinti: probabile che si siano deteriorati con il tempo, o che siano stati ricollocati. Forse venduti o depezzati, ricavando più opere da una solo iniziale.
Un aiuto potrebbe venire da foto di interni della "Trinità", o di altre chiese, per confrontare quanto in esse contenuto. Mancherebbero, inoltre, inventari visivi del patrimonio storico-artistico locale. Gli archivi dei grandi fotografi molisani o sono difficilmente consultabili (presso Alinari molte fotografie Trombetta non sono digitalizzate) oppure sono in attesa di conoscere il loro destino (che ne sarà mai della preziosa produzione Chiodini?)
La speranza è che questo excursus, oltre ad incuriosire verso la storia e l'arte cittadine, riesca ad aprire, con un plurisecolare ritardo, nuove prospettive di "indagini" su quella che fu, negli ultimi due secoli, la ricchezza culturale del "Capoluogo della Provincia di Molise".


Si ringraziano, per la disponibilità e per l'amicizia dimostrata, il professor don Michele Tartaglia, arciprete di Campobasso, parroco di Santa Maria Maggiore (Chiesa Cattedrale); il dottor Daniele Ferrara direttore del Polo Museale del Veneto; il professor Rodolfo Papa, Accademico Pontificio, Presidente della Accademia Urbana delle Arti; Stefano Vannozzi, restauratore, studioso e ricercatore nonché il dottor Mario Gravina esperto amante dell'arte fotografica.
  

Bibliografia

Silvia Sbardella, Tra donazioni e sparizioni le vicende ottocentesche dei dipinti della chiesa della Santissima Trinità di Campobasso, Napoli Nobilissima, quinta serie – volume V – fascicoli III-IV- maggio agosto 2004
Amedeo Trivisonno, Memorie, 1989
Angelo Tirabasso, Breve Dizionario Biografico del Molise, 1932
Alfonso Fillipponi, Orazione Inaugurale per la nuova Chiesa della SS. Trinità aperta in Campobasso a' 14 ottobre 1829, 1829
AA.VV., Oratino, pittori scultori e botteghe artigiane tra XVII e XIX secolo, 1993
Corrado Carano, Sognando il Rinascimento. Amedeo Trivisonno, pittore Molisano, 1992
Filippo Pece, La Cattedrale di Campobasso, 2006
Giuseppe Di Fabio, I vescovi di Bojano e di Campobasso-Bojanio, 1997
Giuseppe Di Fabio, Storia della chiesa della SS. Trinità in Campobasso, 1999
Giuseppe Di Fabio, Nuovo Seminario Diocesano di Campobasso, 2003
Michele Ruccia, Mons. Alberto Romita vescovo di Bojano-Campobasso, 1942
Padre Eduardo di Iorio, Campobasso – itinerari di storia e di arte, 1978
Padre Eduardo di Iorio, Campobasso nel 1688, 1981
Gianbattista Masciotta, Il Molise dalle origini ai nostri giorni,, volume II, 1915



note

8 Giovan Battista Lama ( Napoli 1673 ca. - 1748) fu attivo prevalentemente nel regno di Napoli. Oltre che nell'allora capitale, le sue opere sono presenti ad Aversa, Lecce, Bari, Monopoli, Sorrento, e Belvedere Marittimo (CS). La sua formazione pittorica si collocò nell'ambito della scuola di Luca Giordano, sebbene più saldi punti di contatto siano individuabili con Paolo De Matteis. L'influsso di quest'ultimo è oltremodo evidente tanto che, nel passato, al De Matteis furono attribuite alcune opere riconosciute oggi, con certezza, del Lama.  Risale, probabilmente,  al 1700 il vero e proprio esordio come pittore "pubblico". In quell'anno, infatti, morì Nicola Russo, autore del ciclo di decorazione della prestigiosa cappella Sannazzaro nella chiesa di S. Maria del Parto a Napoli ed al Lama vennero commissionati, a completamento dell'opera, alcuni Putti reggifestone su tela per l'arco che immette nella cappella posta dietro all'altare maggiore. In questi dipinti, tra i primi tramandatici dalle fonti, emergono con chiarezza i segni precoci di quella sensibilità rococò che è uno dei tratti caratteristici della sua produzione. In alcuni lavori, inoltre, è ravvisabile un'anticipazione rispetto al gusto dell'Arcadia che si affermerà, anche a Napoli, in un breve volgere di anni. L'evidente consonanza con le tematiche dell'Arcadia può essere considerata, nel caso del Lama, come termine dialettico di ispirazione rispetto al fortissimo polo d'attrazione che si venne costituendo a Napoli, sin dagli anni venti del Settecento, attorno alla figura del Solimena. In questo periodo vanno collocate due tele, conservate al Kunsthistorisches Museum di Vienna, Agar nel deserto ed Il sacrificio di Isacco, in cui è evidente la suggestione dell'intensità espressiva di Solimena, sebbene tradotta in un linguaggio più dimesso. È di fondamentale importanza ricordare il viaggio che nel 1723 il Lama fece a Roma, insieme al cognato De Matteis e con il pittore G. Mastroleo, in occasione del quale ebbe modo di frequentare e confrontarsi con la bottega di Carlo Maratta.
Dopo aver recepito dal Solimena -ma anche dal marattismo romano- un'istanza di fondamentale chiarezza formale di matrice classica, egli recuperò l'eleganza compositiva di De Matteis e perfino l'aerea luminosità di Luca Giordano, con un risultato di estrema raffinatezza.
Giovan Battista Lama seppe mantenere sempre una posizione di grande apertura e di dialogo critico tanto rispetto alla pittura contemporanea, quanto a quella della tradizione, dimostrando con ciò la sua piena comprensione della difficile lezione del suo maestro Luca Giordano. Secondo la testimonianza di alcuni discepoli l'artista volle essere sepolto nella chiesa di Montecalvario, ma della sua tomba non esiste però alcuna traccia, probabilmente essa andò perduta nei restauri ottocenteschi della chiesa.
(fonte Rossella Faraglia "Giovan Battista Lama" - www.treccani.it/enciclopedia)

9 Costantinopoli fu la capitale dell'Impero romano d'Oriente, voluta da Costantino il Grande a cavallo del Bosforo e del Corno d'Oro, sul luogo dell'antica Bisanzio. La città ebbe fin dai primi tempi un culto tutto particolare, per la Madre di Dio, la Vergine Theotokos.
Nel V secolo, Teodosio II (408 - 450) eresse a Costantinopoli tre piccole basiliche mariane in luoghi detti Blacherne, Chalcopratia (mercato del bronzo) ed Odeghi (guide). La denominazione Odigitria, da odos, "via", significa "Colei che indica la via". Per alcuni il nome deriverebbe dal fatto che i condottieri (odigoi) si recavano in questo monastero a pregare, mentre per altri dal nome della via della città imperiale in cui vi era la Chiesa detta "delle guide". L'immagine venerata agli Odeghi rappresentava la Vergine col Bambino in braccio. Secondo la leggenda si sarebbe trattato di una delle tre icone dipinte da San Luca quando la Vergine era ancora in vita, e sarebbe stata portata da Eudosia, moglie dell'imperatore Teodosio il Giovane, dalla Terra Santa fino a Costantinopoli. Questa celebre raffigurazione fu considerata la protettrice della città e di tutto l'impero d'Oriente. Per volontà degli imperatori essa sfilava alla testa dei loro cortei trionfali, come guida ed indicatrice della via, avvalorando in questo modo il titolo di "Odigitria".
Le lotte iconoclaste del 700, e la presa di Costantinopoli da parte di Maometto II nel 1453, determinarono l'importazione delle iconografie, care al popolo cristiano d'Oriente, nei territori dell'Italia Meridionale. Anche usi, tradizioni, costumanze liturgiche ed architettura bizantina fecero sentire il proprio influsso, innestandosi nella cultura storica e popolare del Sud. Non poche furono la Immagini della Madonna di Costantinopoli la cui devozione si sviluppò in vari centri della Puglia (Bari, Acquaviva delle Fonti), Abruzzo e Molise (Ortona e Portocannone), Campania (Ischia, Terranova e Felitto), ma fu soprattutto Napoli ad essere antesignana del culto verso la vergine Odigìtria
fonti (cir.campania.beniculturali.it - www.diocesidicapua.it - www.mariadinazareth.i)

mercoledì 10 ottobre 2018

La "Madonna di Costantinopoli" e la "Maddalena penitente" nella Cattedrale di Campobasso, I parte


 

Articolo pubblicato sul numero 12, mese di dicembre 2016, de "IL BENE COMUNE", anno XVI.


La "Madonna di Costantinopoli" e la "Maddalena penitente" nella Cattedrale di Campobasso.

prima parte

Le due opere, uniche superstiti del ricco patrimonio pittorico che decorò nel XIX secolo la chiesa della Santissima Trinità, "raccontano" alle nuove generazioni le vicende ottocentesche del Duomo cittadino.

di Paolo Giordano


Campobasso nel 1583
 (raccolta Rocca biblioteca Agelica, Roma)
A cavallo tra il secondo ed il terzo decennio del 1900 il pittore Amedeo Trivisonno fu chiamato ad affrescare la Chiesa della Trinità, nel Capoluogo Regionale, elevata in quegli stessi anni a Cattedrale. Il 29 giugno 1927, infatti, con la Bolla "Ad rectum et utile"1 era stata trasferita la sede episcopale da Bojano a Campobasso. Nelle sue "Memorie" egli descrive tutto il suo stato di tensione per la prova a cui veniva sottoposta la sua arte: "diciamo a questo giovane scontento/ che se la sua mano ancora incerta/ farà sgarbo, tosto in un momento/ la sua pittura tutta andrà coperta.". Era insomma un momento decisivo per la sua carriera: donare ai posteri un'opera immortale o precipitare nell'oblio qualora la sua pittura fosse andata "tosto... tutta coperta". A rendere ancor più ardua la sfida era la presenza nella chiesa di alcuni "quadri di pregevole fattura rappresentanti il Natale, San Girolamo e Santa Maria Maddalena. Il Trivisonno non escludeva che qualcuna di quelle opere potesse attribuirsi a Luca Giordano" (C. Carano - Sognando Il Rinascimento).
Ai tre dipinti citati si deve aggiungere la "Madonna di Costantinopoli" che, dagli inizi del 2012, è stata nuovamente esposta nella Cattedrale di Campobasso, per volontà del soprintendente di quella che all'epoca si chiamava Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici, il dottor Daniele Ferrara, sollecitato a sua volta dall'interessamento dello studioso Filippo Pece.
L'opera in questione, un olio su tavola (cm 220 x 185), scuola napoletana fine XVI secolo, unitamente all'olio su tela raffigurante la Maddalena Penitente (cm 197 x 174), scuola napoletana XVIII secolo, conservato negli uffici parrocchiali, faceva parte di una donazione di ben 14 quadri, provenienti dal Real Museo Borbonico, destinati ad adornare la chiesa della Trinità in Campobasso.
L'interessante storia di questi dipinti, un autentico spaccato sociale, politico e religioso, è stata dettagliatamente descritta nell'articolo di Silvia Sbardella "Tra donazioni e sparizioni-le vicende ottocentesche dei dipinti della chiesa della Santissima Trinità di Campobasso", pubblicato su "Napoli Nobilissima", maggio-agosto 2004.


Napoli: terremoto del 26 luglio 1805
Natura e Politica "cambiarono" il Molise
Due "terremoti", agli inizi del 1800, sconvolsero le nostre terre. Il primo fu un autentico movimento tellurico che si verificò il 26 luglio 1805, devastando il Molise e danneggiando il suo patrimonio edilizio inclusi, ovviamente, edifici pubblici e di culto. Il secondo fu un evento politico, la conquista da parte dei Francesi del Sud Italia ed i successivi governi dei Napoleonidi (Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat) che ridisegnarono l'assetto politico-istituzionale dell'allora regno di Napoli: si pensi su tutto all'eversione della Feudalità ed alla divisione del regno in 13 (poi 14) Province.
Campobasso divenne, così, capoluogo del Molise (realtà la cui crescita economica e culturale era in atto già da tempo) e, quindi, sede dell'Intendenza. L'intendente, primo rappresentante dello Sato nella provincia, aveva il compito, in una forma di Governo che potenziava le amministrazioni locali ampliandone i poteri, di sovrintendere al controllo ed al coordinamento di tutti gli organismi pubblici, gestendo le risorse finanziarie e provvedendo alla pubblicazione ed applicazione di leggi, decreti ed ordinanze.
E' in questo contesto che si attuò un processo evolutivo oramai non più contenibile, cioè l'espansione della città di Campobasso al di fuori delle anguste mura del borgo medioevale. Il 25 agosto 1814 Gioacchino Murat autorizzò, affidandone le sorti a Bernardino Musenga, "la costruzione del Borgo Gioacchino fuori l'antico recinto delle mura… verso la strada di Napoli" (Bernini Carri - Samnium, 1958).
In una "semplice" cittadina del contado, divenuta Capoluogo di Provincia, necessitava progettare un nuovo centro direzionale, identificandone i punti socio-amministrativi di riferimento. Apparve, pertanto, subito determinante riqualificare la chiesa della Santissima Trinità2 la cui ubicazione era oltremodo strategica trovandosi essa tra il nucleo antico e la città moderna. Tale luogo di culto, fortemente voluto agli inizi del 1500 dai Di Capua,3 subentrati alla famiglia Gambatesa-Monforte nel dominio della città, era nel decennio francese in corso di ricostruzione dopo i danni del sisma del 1805. Un glorioso passato ed un avvincente futuro si incontravano in una struttura "in cui l'intera popolazione si riconosceva e nella cui valorizzazione si sarebbe identificato il nuovo volto della città" (S. Sbardella).

La Chiesa Madre necessita di  adeguati Arredi
Nel 1823 la nuova chiesa era di fatto completata nelle sue parti essenziali ed essendo prossima la conclusione dei lavori, ci si pose il problema degli arredi interni, nello specifico di come arricchire le 
Francois Gérard: Gioacchino Murat 
nude pareti. L'intendente Spinelli (appartenete ad un'illustre famiglia di Fuscaldo) espresse epistolarmente al vescovo di Bojano, monsignor Gennaro Pasca (sollecitandone l'interessamento e trovando positivo e fattivo riscontro da parte dell'alto prelato), l'opportunità di decorare il nuovo tempio "con tre o quattro quadri di buoni autori", oltre al reperimento dei necessari altari, facendone richiesta a sua maestà Ferdinando I (i Borbone erano tornati a regnare nel nuovo stato denominato "Regno delle due Sicilie" recependo, però, parte delle riforme introdotte dai Francesi). L'intendente auspicava di ricevere in dono dei quadri e che, al peggio, il Comune provvedesse all'acquisto degli altari, attingendo in entrambi i casi ai beni provenienti da chiese soppresse, sia della Capitale che di altre città del Regno.
Fino all'agosto 1824 la questione rimase dormiente. Il problema fu risollevato da Nicolangelo Petitti, direttore dei lavori della Santissima Trinità. Egli, subentrato al defunto Musenga (morto il 24/10/1823), con lettera dell'otto agosto indirizzata al Comune evidenziava che "gli edifici consegnati al culto divino debbono alla solidità accoppiare la magnificenza, ed alla bellezza la semplicità, onde esprimere con questi caratteri tutto il bello ed il sublime della nostra Augusta religione. La chiesa della Santissima Trinità… manca di questi ornati". Il più gran cruccio del Petitti era che "l'infelice" Bernardino Musenga fosse morto "sventuratamente" senza lasciare traccia alcuna di quale idea avesse in mente "per adornare quest'edificio e renderlo Augusto". Il geniale progettista di sicuro aveva pensato con che "genere di ornati" abbellire la chiesa, ma l'assenza di disposizioni "assai noiamento ha arrecato: ed è difficile potersi dar riparo."
La mancanza di un testamento artistico-architettonico da parte del Musenga spinse lo Spinelli a "tornare alla carica" (agosto 1824) chiedendo la concessione "di alcuni de' quadri meno necessari del Museo Borbonico", questa volta spalleggiato dal marchese Ruffo, ministro di Casa reale, il quale esortò il sovrano, in maniera velata e discreta, affinché concedesse quanto richiesto dai molisani.
Il 2 settembre 1824 Ferdinando I stabilì di destinare alla principale chiesa campobassana alcuni quadri presenti nel magazzino del Real museo borbonico. Ovviamente, a questo punto, necessitava conoscerne il numero e le dimensioni. Ne furono richiesti 10 (il 31/10/1824) "della lunghezza ciascuno di palmi 16 in 20 e della lunghezza di palmi 8 in 12", praticamente circa 4-5 metri di altezza per 2-3 metri di larghezza (un palmo corrispondeva a 0,26 m). La cortese e quasi immediata risposta (6/12/1824) fu però poco incoraggiante: ne abbiamo di meno alti e più larghi! Poiché, però, i richiedenti si erano espressamente dichiarati disposti, comunque, ad accontentarsi del materiale disponibile, sembrò si fosse oramai prossimi alla conclusione di tutta l'operazione con il trasferimento di 11 quadri dalla Capitale a Campobasso.
Pasquale Mattej: Campobasso (1856)
Ma contro ogni previsione, il 16 dicembre 1824, il donativo venne bloccato!
Cosa era accaduto? Nel 1824 erano stati portati a termine i lavori di costruzione dell'ala orientale del Palazzo dei Regi Studi, sede del Real museo borbonico e, pertanto, si era programmato un riordino del museo stesso ad opera di Vincenzo Camuccini, che in passato si era occupato della tutela del patrimonio artistico dello Stato Pontificio. Ogni spostamento, quindi, veniva giocoforza sospeso per poter procedere ad un accurato inventario, ad una attenta classificazione e ad una meticolosa valutazione delle opere conservate, "non si dee credere che non vi sia nulla di buono (tra i quadri di scarto), perché vi sono sempre cose non dispregevoli e da non gettarsi via".
Nel 1826 venne, in primo luogo, stilata dal Camuccini una relazione sulle condizioni della pinacoteca del Real museo e poi si provvide a redigere un elenco di opere che, innanzitutto, sarebbero state destinate alla decorazione dei palazzi reali. Con le restanti, a fronte di opportuna richiesta da parte degli interessati, si sarebbe provveduto a restituire decoro e dignità alle chiese spogliate dalle soppressioni napoleoniche.
In quello stesso anno il nuovo sindaco di Campobasso, Domenico Mazzarotta, tentò di sbloccare la situazione inviando a Napoli Michelangelo Ziccardi ed il pittore oratinese Isaia Salati4, in veste di incaricati dal Comune, per dare compimento all'impegno preso a suo tempo dal Re, ma "il colpo di mano" non ebbe esito positivo.
Essendo nel 1829 i lavori di costruzione della Santissima Trinità oramai conclusi, ed alla luce dell'inconfutabile volontà dimostrata dal sovrano di voler donare alla nuova chiesa quanto promesso, il segretario generale dell'intendenza di Molise, l'abruzzese Giambattista Chiarini, mise in atto una strategia vincente. Egli incaricò Florindo Guacci di recasi, in nome e per conto del Comune di Campobasso, a Napoli al fine di "ritirare i quadri promessi". Il Chiarini ne informò contemporaneamente anche il ministro di Casa reale e, nel contempo, fece pervenire -attraverso il Guacci- una lettera confidenziale ad un proprio amico, funzionario del Real museo borbonico (tal de Crescenzi), invitandolo a perorare la causa in corso.
Campobasso Capoluogo del Molise
La nuova missione sortì un effetto immediato per quel che riguardava i tempi, ma purtroppo tutto sembrò andare a rotoli una volta recatisi a visionare le opere "dacchè di quadri disponibili ve ne erano pochissimi e tutti di cattiva qualità, atteso le scelte fattesi da quasi tutte le Comuni del Regno". Inoltre, presso il Real museo, non esisteva alcuna disposizione ministeriale in merito alla donazione, per cui bisognava procurarsi almeno "qualche commendatizia pel Capo di Ripartimento del Ministero di Casa Reale f.r. Dr. Luigi Pasca, dal quale dipendeva la cosa". Ed ecco che il Guacci trasformò l'apparente sconfitta in totale vittoria! Grazie alla mediazione del cognato, Salvatore Melchionna (Capo di Ripartimento della Pubblica Istruzione), stretto amico del Pasca, egli fu tempestivamente ricevuto e le sue istanze furono subito attentamente valutate. Luigi Pasca chiese 4 giorni per poter studiare il problema. Il 9 luglio 1829 incaricò il direttore del Museo, Michele Arditi, di verificare se si potesse tener fede all'impegno preso sin dall’autunno del 1824.
Il 22 luglio Guacci comunicò con soddisfazione al Chiarini che il Re (Francesco I succeduto al padre Ferdinando) aveva ordinato la consegna non di 10, bensì di 12 quadri che egli stesso avrebbe potuto scegliere tra quelli che, pur se nei depositi, non era concesso a tutti di vedere.

L'elenco delle opere donate dal Re
L'elenco delle opere donate fu il seguente:
La Nascita di Gesù; l'Adorazione dei Magi; la Madonna in un tondo e due Santi nel basso; Santa Maria Maddalena con Angeli che la portano in gloria; San Girolamo in adorazione; la Madonna col Bambino in gloria, santa Rosa ed altro Santo; la Madonna col Bambino in gloria e due Santi nel basso (la Madonna di Costantinopoli ndr); Martirio di Santa Orsola con molte figure; un Santo Eremita che adora la Madonna col Bambino in gloria; Cristo alla colonna con manigoldi; San Tommaso con altri religiosi ed un altro San Tommaso con altri religiosi. Tolti i primi due, le cui dimensioni erano le maggiori (cm 238 x 582), gli altri si aggiravano tutti tra i 100-300 cm di altezza ed i 100-250 di larghezza.
La partita sembrava oramai conclusa quando da Campobasso giunse un'ulteriore richiesta. Antonio Bellini, architetto della fabbrica della chiesa della Santissima Trinità, aveva espresso il bisogno di altri due quadri, per l'adornamento delle due volte dei cappelloni laterali.
Il tempismo e la scaltrezza diplomatica del Chiarini (nominato nel frattempo Intendente del Molise) unitamente all'intuito strategico del Guacci (in "prima linea" in quel di Napoli), conseguirono ancora una volta pieno successo. Tra lettere ufficiali di richiesta e di ringraziamento, missive private personali e capacità relazionali e dialettiche… nonché qualche opportuna conoscenza, si riuscì ad aumentare il numero dei quadri di altre due unità, aggiungendo al ricco corredo il Lazzaro dell'Evangelo ed il Ritorno del Figlio Prodigo (entrambi cm 238x383).
Il prezioso patrimonio pittorico, 3 tavole e 11 tele, venne finalmente trasportato a Campobasso. I dipinti, dopo esser stati opportunamente restaurati e corredati di nuova ossatura in legno, furono collocati sulle pareti della navate, nei cappelloni ed i due San Tommaso trovarono posto in sacrestia.
Era stato pienamente centrato l'obiettivo prefissatosi. La una nuova chiesa era il concreto emblema di quella che potremmo definire una riuscita "ricostruzione post sisma", poiché testimoniava il risorgere dalle macerie del devastante terremoto del 1805. Ma, soprattutto, essa era simbolo della nascita di una nuova città proiettata verso un futuro di sempre maggior progresso politico, economico e sociale. Il 14 ottobre 1829 la chiesa della Santissima Trinità fu solennemente riaperta al culto e, sicuramente dovette apparire al popolo intervenuto meravigliosa ed imponente, proprio grazie al suggestivo patrimonio pittorico ivi esposto, a dispetto delle presunte critiche rivolte al progetto architettonico5.

Il canonico Alfonso Filipponi "inaugura" la nuova chiesa
Maddalena Penitente (foro Mario Gravina)
In tale occasione il canonico Alfonso Filipponi6 pronunciò l'Orazione Inaugurale e, nel rivolgersi ai fedeli presenti, tramandò ai posteri una dettagliata "fotografia" del sacro luogo: "Eccola questa divota popolazione. Oh come negli obbietti di santità qui raccolti in vaga vista dalla sua religione, trova essa mille stimoli e nuove virtù! come mostrasi assorta nelle tele, delle quali fé più belle queste mura l'animo pur troppo religioso del nostro augusto Sovrano! L'illustre pennello dell'artista vuole eccitare in noi l'umiltà? e ci dipinge l'Onnipotente in un presepe; i sentimenti di adorazione? e ci mostra i Magi a piedi di Gesù; gli effetti tremendi del delitto? e ci delinea il Redentore sferzato in una colonna; la fiducia nel Nume? e ci rammenta la Maddalena innanzi ad una Croce; la penitenza? e ci dimostra un Girolamo nella spelonca;la necessità di ricorrere al padre comune, e ci fa parlare dalla tela del figliuol prodigo; l'elemosina e vedasi Lazzaro obbliato fra le cene del crudele Epulone; il premio della virtù, e ci addita Maria, che sen vola per le regioni del Cielo sopra cori di Angioli; la divozione per la madre di Dio, e la Vergine ci si rappresenta là spegnere un incendio distruttore (la Madonna di Costantinopoli ndr), qui portentosa fra le nevi cadute sull'Esquilino nel fervore dell'ardente stagione, più oltre prodiga di grazie verso chi la saluta con Gabriello: Benedetta fra le donne."
Dal 1829, e per i successivi 30 anni, "alla vista di que' santi oggetti avvivati in queste tele il vostro spirito già si accende... grida con trasporto. Io mi sento maggiore di me stesso; io non anelo che le strade del Cielo". Il Filipponi, nel suo discorso, pur se probabilmente per mero esercizio retorico, proclamava di confidare che "già l'empio n'è preso da meraviglia, e convinto meco ripete, che questi segni esterni ajutano la fede, accendono il divino amore, nudriscono la speranza, concentrano l'attenzione, ci uniscono ai nostri fratelli...".
Non sta a noi stabilire se fossero empi o meno, ma di sicuro sarebbero dovuti essere "fratelli" (se non in Cristo... almeno d'Italia) coloro che, nel 1860, trasformarono la Santissima Trinità in presidio delle milizie mobili, inviate dal nuovo governo per la lotta al brigantaggio post unitario. La struttura, spentosi il fragore delle battaglie, non venne comunque più riaperta al culto, bensì fu trasformata in caserma, attraverso un totale sconvolgimento edilizio tale (le navate furono chiuse e vi si ricavò un secondo piano) da far passare la tesi che sarebbe stato meno dispendioso costruirne una nuova piuttosto che sobbarcarsi il costo dei lavori di recupero. In realtà parrebbe essersi trattato di un deliberato atto di anticlericalismo, "un inutile insulto alla religione", poiché i locali ivi ricavati risultarono "freddi, umidi ed oscuri"
La Cattedrale di Campobasso, 
foto Mario Gravina
Il vescovo di Bojano aveva nel tempo richiesto, con il dovuto tatto, la restituzione "della Trinità" ma, all'ennesimo rifiuto, fu abbandonata ogni forma di diplomazia. In data 17 ottobre 1885 l'arciprete don Carlo Pistilli7 citò in giudizio il Comune cittadino: il sindaco venne invitato a comparire in Tribunale sia per "rilasciare e consegnare all'istante" la chiesa e sia per "ridurre il locale nello stato in cui era prima dell'occupazione" con tutti i suoi arredi.
La Santissima Trinità tornò a disposizione del clero solo nel 1888, quando l’amministrazione comunale accantonò definitivamente l'idea di trasformarla in teatro. Nel gennaio di quell'anno, infatti, era stato inaugurato il teatro Margherita.
Del ricco e pregevole corredo pittorico non rimaneva quasi più nulla ma, soprattutto, non ve ne si trovava alcuna traccia nei verbali di presa di possesso della chiesa da parte del Comune all'atto della "confisca". La sola opera ad essere citata risultava un statua della "della Vergine Assunta".
Superficialità? Approssimazione? Cattiva fede?
Colpisce, di primo impatto, la differenza con i governi e gli amministratori precedenti che, pur senza alcun collegamento dinastico (i Borbone di Napoli ed i Napoleonidi), avevano recepito e conservato alcune innovazioni introdotte dagli "usurpatori", ritenendole degne di valore. Lo stesso dicasi della sensibilità dimostrata verso l'arte e la religione da parte di Intendenti, Sindaci e notabili cittadini.
Di sicuro, alla fine del 1800, buona parte di quelle opere dovevano essere ancora in città a disposizione di chi se ne era impossessato e, probabilmente, se ci fosse stata opportuna collaborazione, le stesse sarebbero potute tornare tutte ad adornare la Chiesa Madre che, per la seconda volta in meno di un secolo, si trovava a dover risorgere dalle sue stesse ceneri.

Si ringraziano, per la disponibilità e per il loro operato, il professor don Michele Tartaglia, arciprete di Campobasso parroco di Santa Maria Maggiore (Chiesa Cattedrale), il dottor Daniele Ferrara direttore del Polo Museale del Veneto ed il dottor Mario Gravina esperto amante dell'arte fotografica.
  
Bibliografia
Silvia Sbardella, Tra donazioni e sparizioni le vicende ottocentesche dei dipinti della chiesa della Santissima Trinità di Campobasso, Napoli Nobilissima, quinta serie – volume V – fascicoli III-IV- maggio agosto 2004
Alfonso Fillipponi, Orazione Inaugurale per la nuova Chiesa della SS. Trinità aperta in Campobasso a' 14 ottobre 1829, 1829
Giuseppe Di Fabio, I vescovi di Bojano e di Campobasso-Bojanio, 1997
Giuseppe Di Fabio, Storia della chiesa della SS. Trinità in Campobasso, 1999
Filippo Pece, La Cattedrale di Campobasso, 2006
Corrado Carano, Sognando il Rinascimento. Amedeo Trivisonno, pittore Molisano, 1992
Amedeo Trivisonno, Memorie, 1989
Angelo Tirabasso, Breve Dizionario Biografico del Molise, 1932
Michele Ruccia, Mons. Alberto Romita vescovo di Bojano-Campobasso, 1942
AA.VV., Oratino, pittori scultori e botteghe artigiane tra XVII e XIX secolo, 1993

 NOTE
  
1 Sulla facciata della Cattedrale è presente una lapide commemorativa che ricorda l'ingresso del Vescovo, il primo della diocesi di Bojano-Campobasso, nella nuova Sede Episcopale. Con tale trasferimento si concluse una plurisecolare vicenda che aveva contrapposto a lungo l'antica Città di Bojano, che era stata Sannita e poi Romana, alla molto più "giovane" Campobasso, la cui prima citazione ufficiale risaliva al 878 (Chronicon Sancte Sophie). Con il trascorrere del tempo, la posizione più favorevole, sia da un punto di vista economico-amministrativo che climatico (maggiormente salubre, come riportavano le cronache), aveva indotto a progettare lo spostamento dell'Episcopio. L'operazione, però, fu strenuamente avversata da clero e popolo bojanesi. Solo nel 1927 monsignor Alberto Romita riuscì in ciò in cui i suoi predecessori avevano fallito! Il testo della lapide, ripulita alla fine del 2015, recita: Summo civium gaudio/ Campibassi episcopus dioecesis primus/ Albertus Romita/ postridie idus octobres MCMXXVII/ anno quinto fascalis imperii/ hoc templum adiit/ R.P.pot. [con sommo gaudio dei cittadini, Alberto Romita, vescovo di Campobasso il primo della diocesi (ad esserlo), fece ingresso in questo tempio il 16 ottobre 1927, anno quinto dell'era fascista. Renato Pistilli podestà].
  
2Nel concedere l'autorizzazione ad espandere la città fuori dalle antiche mura Gioacchino Murat aveva anche emanato un decreto con cui ordinava, in riferimento ai lavori di costruzione della chiesa matrice, di "doversi nel bilancio del Comune stanziare ogni anno una somma proporzionata alle sue risorse fino al completamento dell'opera".
  
3 La chiesa della Santissima Trinità fu costruita extra moenia, per volere di Andrea Di Capua, in un'epoca in cui la popolazione viveva ancora tutta arroccata sulle falde del monte dominato dall'antico castello. Ospitò da subito la Congrega dei Trinitari, istituita quale contrappeso al potere esercitato da quella più antica dei crociati. La prima congrega era costituita prevalentemente dalle nuove famiglie stanziatesi di recente nel territorio, l'altra, invece, che faceva capo alla chiesa di Santa Maria della Croce, era composta da "autoctoni". La convinzione comune vorrebbe i primi tutti colti e benestanti, mentre i secondi appartenenti ai ceti meno abbienti, da sempre residenti in Campobasso. Ma risulterebbe poco credibile pensare che fino al 1504 (riconosciuta come la data di fondazione della S.S. Trinità) a Campobasso non vi fossero famiglie di antico ed elevato lignaggio, nonché appartenenti a ceti abbienti (basti pensare al ricco mercante Cola Ferracuto di cui scrive il Gasdia ne "il più facoltoso Campobassano del XV secolo"). La contrapposizione, più che sociale fu dunque politica e, con il tempo, diede vita ad un drammatico progressivo aumento della violenza che portò ad una vera e propria guerra tra le due fazioni cittadine. Dalle lotte tra Trinitari e Crociati prende vita la storia dell'amore contrastato tra la trinitaria Delicata Civerra ed il crociato Fonzo Mastrangelo.

4 Al pittore oratinese Isaia Salati (1787-1864) fu affidato mandato, anche dal Decurionato del suo paese natale, di rilevare nel Real museo borbonico (presso cui risulta abbia lavorato come "impiegato") il quadro.. o i quadri che sua maestà aveva deciso di donare alla chiesa madre di Oratino. Egli riuscì ad ottenerne ben due che, però, non furono mai consegnati e, successivamente, ironia della sorte, vennero riassegnati proprio alla Santissima Trinità di Campobasso. Da un documento datato agosto 1827 si apprende che le due opere erano una "Madonna del Rosario e Santi nel basso" e "Madonna con Bambino ed i Santi Giovanni Battista e Pietro", ovvero proprio la Madonna di Costantinopoli esposta nella Cattedrale del Capoluogo.
  
5 A costruzione ultimata la chiesa risultò più bassa dell'antica, poco luminosa e, a giudizio di alcuni, squilibrata. Le critiche furono numerose e feroci tanto che, secondo una tradizione non confermata, avrebbero spinto il progettista Musenga al suicidio. Nulla però suffraga questa ipotesi anche se è sicuramente inconfutabile che il Musenga, in quegli anni, fosse estremamente assorbito e sfiancato dai tanti impegni lavorativi. Sarebbe plausibile quindi un suo crollo psicofisico. Una tradizione orale, raccolta dal pittore Amedeo Trivisonno, e da questi trasmessa all'arciprete don Pasquale Pizzardi, narra che quando re Ferdinando II venne in visita ufficiale a Campobasso (12/09/1832), dopo aver visitato la Santissima Trinità, avrebbe esclamato con la sanguigna ironia che lo contraddistingueva, "agg' vist' 'a chiesa. Mi piace. Avit' fatt' nu bell' scatulone per i cavalli". Molto probabile, però, che tale racconto sia di pura fantasia e che le tante critiche in realtà celassero il tentativo di damnatio memoriae ai danni di un personaggio, tanto amato quanto odiato, ma di sicuro eccellente e qualificato progettista, qual fu appunto Bernardino Musenga.
  
6 Il sacerdote Alfonso Filipponi (1785-1856), parroco di San Leonardo, "fu uomo di grande ingegno, letterato di specchiata fama, cultore delle muse e della filosofia, che per oltre un trentennio insegnò nel Collegio Sannitico. L'essere stato attaccato al vecchio regime borbonico, non gli ha fatto godere fra i campobassani quella popolarità che altri, meno degni di lui hanno goduto. Ottimo scrittore, purista ed abile porgitore fece si che fosse l'oratore ufficiale di tutte le grandi circostanze. E fra i tanti elogi che recitò degnissimo di nota è quello di Michelangelo Ziccardi." Fu anche autore di quattro tragedia. "Merito non ultimo suo fu l'esser stato il pioniere dell'insegnamento agricolo nella provincia, propugnando nella Società Economica il progetto dell'insegnamento popolare agrario." (Angelo Tirabasso).

7 "Carlo Pistilli fu arciprete di Campobasso dal 1874 al 1906. Istituì, con grandi sacrifici, l'asilo di mendicità, nell'antico convento dei cappuccini inaugurato il 1880" (Angelo Tirabasso)