La "Madonna di Costantinopoli" e la "Maddalena penitente" nella Cattedrale di Campobasso.
seconda parte
Le due opere, uniche superstiti del
ricco patrimonio pittorico che decorò nel XIX secolo la chiesa della Santissima
Trinità, "raccontano" alle nuove generazioni le vicende ottocentesche
del Duomo cittadino.
di
Paolo Giordano
la
chiesa della Santissima Trinità in Campobasso da "La Patria, geografia dell'Italia, anno 1899" |
"Negli
ultimi anni del secolo XIX, dopo un'aspra battaglia tra le autorità civili e
religiose, il mite vescovo Felice Gianfelice, affiancato dal can. Minadeo, mediante
anche l'opera del benemerito sindaco Bucci, riottenne il possesso della
Santissima Trinità. Mentre fervevano i necessari preparativi di restauro e
ripulitura della nostra chiesa e precisamente il 27 settembre 1888, essa ospitò
Giacomo Dalla Chiesa allora semplice funzionario di Stato di Sua Santità,
futuro cardinale di Bologna e poi eletto papa con il nome di Benedetto XV. Egli
fu mandato da papa Leone XIII per indagare sui fatti della apparizione dell'Addolorata
a "Cesa tra Santi" in Guasto di Castelpetroso. Da pontefice si
ricordò della bella ospitalità ricevuta e delle strettezze economiche in cui
versava la nostra chiesa trinitaria¸ perciò inviò la sua offerta personale di £
20.000 per i restauri della medesima". (Giuseppe di Fabio)
Il 31 dicembre 1899 la chiesa della Trinità
venne finalmente riaperta al culto. Probabilmente in essa erano ancora tutte
visibili le profonde "ferite" inferte da decenni di profanazioni e,
se per i cattolici campobassani poteva trattarsi "di una memorabile vittoria contro l'anticlericalismo"
(F. Pece), di sicuro non c'era da rallegrarsi per gli irreparabili danni subiti
dal patrimonio artistico e culturale cittadino.
Come già osservato forse solo quattro
opere, delle 14 giunte da Napoli, dovevano essere sopravvissute alle
spoliazioni di fine ottocento: il Natale,
San Girolamo, Santa Maria Maddalena e
la Madonna di Costantinopoli.
Merita, a questo punto, aprire una
parentesi per richiamare l'attenzione su un altro dipinto presente nella
Cattedrale che, se pur non collegato in alcun modo alla donazione borbonica, è
comunque un'importante testimonianza delle vicende storico-artistiche locali.
Si tratta di un'Incoronazione della
Vergine, di scuola napoletana (XVII secolo), che quasi sicuramente era
quella posta "in testa all'altare
principale" (Luigi Nauclerio, 1688) della chiesa cinquecentesca distrutta
dal terremoto del 1805. La tela, quindi, è un autentico cimelio "sopravvissuto"
a cataclismi umani e naturali.
Tornando alle vicissitudini
ottocentesche, va evidenziato che la chiesa della Trinità subì un ulteriore mutamento
di destinazione d'uso quando ospitò, durante il conflitto ‘15-‘18, un ospedale
di guerra. Infine fu, nel 1927, elevata a Cattedrale con i conseguenti interventi
di ristrutturazione ed ampliamento voluti dal Vescovo Alberto Romita, il primo
della diocesi Bojano - Campobasso.
La testimonianza di padre Eduardo Di
Iorio
L'Incoronazione
della Vergine, Cattedrale di Campobasso (foto Mario Gravina) |
Negli anni 70 del 1900 solo due delle
quattro opere superstiti facevano ancora mostra di sé nelle navate della
Chiesa: "una santa che riceve la
corona di spine ed una vergine col bambino… Due dipinti, che prima dei restauri del 1972-73 erano nelle pareti del
tempio, hanno le dimensioni di m. 2½ x 2. Uno rappresenta una Santa sul tipo di
Maria Maddalena, che riceve da un Angelo la corona di Spine, mentre altri due Angioletti
di più piccole dimensioni sostengono la colonna della flagellazione, Nel lato
inferiore a sinistra (sic) vi è un'anima
tra le fiamme purificatrici. Il secondo dipinto su tavola raffigura la Madonna
col bambino, avente ai lati S. Giovanni Battista con cartiglio: Ecce Agnus Dei
e San Pietro con le Chiavi. Ai piedi di Maria si vedono due piccolissimi Angeli
che dalle loro brocche versano acqua ristoratrice sul popolo. Ai due lati
superiori nelle parti estreme sono dipinti due Angeli con strumenti musicali."
La "Madonna di Costantinopoli"
torna ai campobassani
Madonna di Costantinopoli Cattedrale di Campobasso (foto Mario Gravina) |
Fino al 2012 era solo grazie a questa
descrizione di padre Eduardo Di Iorio (Campobasso, itinerari di storia e di
arte) che agli interessati era consentito "vedere" gli unici quadri
giunti a noi di quelli provenienti dal Real museo Borbonico. E se con la Maddalena "un incontro" poteva
pur sempre essere possibile, su gentile concessione del clero, essendo la
stessa custodita negli uffici parrocchiali, ogni speranza di ammirare la Madonna di Costantinopoli era di fatto
persa, essendo essa conservata in quella extra dimensione, quasi leggendaria,
che risponde al nome di "Deposito della Sovrintendenza".
Si deve all'interessamento del professor
Filippo Pece, che trovò pieno riscontro nell'entusiasmo e nella passione
professionale dell'allora sovrintendete Daniele Ferrara, se l'olio su tavola raffigurante
la Vergine Odigitria è tornato al culto ed alla visione di fedeli
e turisti.
Impossibile prescindere, per la presente
"cronaca", e per la lettura delle due opere, dall'articolo di Silvia
Sbardella "Tra donazioni e sparizioni-le vicende ottocentesche dei dipinti
della chiesa della Santissima Trinità di Campobasso", pubblicato su
"Napoli Nobilissima", maggio-agosto 2004.
Le chiesetta in via Ferrari
l'ex Chiesetta della Maddalena |
La tela raffigurante la Maddalena penitente fu per un certo lasso di tempo ospitata
nella chiesa omonima, ubicata in via Ferrari a Campobasso: la parte finale di
detta strada, che va ad allargarsi a mo' di piazzetta, prende appunto il
toponimo di largo della Maddalena. Qui era ancora officiata, fino ai primi
decenni del 1900, una chiesetta priva, però, di qualsivoglia pregio artistico.
L'edificio che ospitò il luogo di culto è oggi identificabile grazie alle
architetture esterne, caratterizzate da due lesene laterali che incorniciano la
facciata rettangolare (faccia quadra). Nel passato, come tramanda il Masciotta,
la piccola chiesa venne adibita ad Oratorio per gli studenti del Collegio
Sannitico (poi Convitto Mario Pagano). Negli anni trenta del secolo scorso, la
chiesina, bisognosa di manutenzione, fu messa in vendita per sostenere le spese
legate alla costruzione del nuovo seminario diocesano con sede nel Capoluogo. Essa
fu, quindi, venduta nel 1929 (contratto definitivamente concluso nel 1931) a
tal Diodato Mancini, che vi aprì una drogheria impegnandosi
a non destinare mai lo stabile ad usi sconvenienti e volgari. Per decenni ivi ebbe
sede uno storico negozio di abbigliamento ed alla data odierna l'immobile è
inutilizzato, pertanto sarebbe da appurare se quella clausola di vendita sia
stata trasmessa anche ai successivi acquirenti (ndr).
Fu in questi umidi locali che il quadro della
Maddalena, titolare dell'edificio sacro, subì ulteriori compromissioni tanto da
giungere a noi bisognoso di opportuni restauri, versando lo stesso in un non eccellente
stato di conservazione.
Le due "Maddalene"
Nulla indurrebbe a dubitare che l'attuale
sia la Maddalena inclusa nella donazione del 1829, eppure "non tutti i
conti tornano". Quello che potrebbe sembrare un semplice modo di dire, proprio
del
Maddalena penitente Cattedrale di Campobasso (foto Mario Gravina) |
linguaggio quotidiano, cela in concreto un'imprevedibile verità: sono
realmente "i conti", o meglio le misure, a far porre dei legittimi
interrogativi. La "Santa Maria
Maddalena con angeli che la portano in gloria", esposta nella Santissima
Trinità di Campobasso, misurava palmi 6 x 10, ovvero cm 265 x 159, mentre il
dipinto attualmente conservato negli uffici parrocchiali è alto 197 cm ed è
largo 174 cm. Indubbiamente è plausibile che gli interventi di restauro ed
intelaiatura abbiano potuto ridurne le dimensioni, ma come mai il quadro
risulta cresciuto? Istintivamente viene da pensare ad un errore di misurazione,
ma in realtà si tratta di un ulteriore storia nella Storia!
La curiosa discrepanza, rilevabile anche
nella mancata rispondenza iconografica, è dovuta al fatto che il vescovo di
Bojano (si presume intorno al 1844, datazione del documento dell'Archivio di Stato
di Napoli che riporta l'episodio) ebbe a protestare per le "soverchie nudità dell'immagine della
Maddalena collocata in uno dei due cappelloni della chiesa matrice di
Campobasso" (S. Sbardella). L'alto prelato ottenne dal Re che "il quadro istesso fosse spedito in
Napoli e che se ne surrogasse altro più adatto della stessa misura".
Michelangelo Ziccardi, sindaco di Campobasso, si recò nella capitale e,
assistito dal Direttore del Real museo, procedette nel 1844 alla sostituzione,
riportando in città la "nuova" Maddalena.
La Maddalena penitente
"La
lettura dei caratteri stilistici di quest'opera non potrebbe che rilevare la
sua inclinazione verso una matrice classicista, dove toni di temperata
intensità sentimentale ed espressiva si uniscono al sapiente uso di una
ragionata articolazione compositiva di stampo marattesco. Questo insieme di
elementi, uniti alla predilezione per una pittura limpida e giocata sui toni
tenui del cromatismo giordanesco, invitano a guardare con insistenza alla
produzione di uno dei grandi esponenti della cultura figurativa napoletana del
tardo Seicento, Paolo De Matteis, e al contempo, alla pittura del giovane
allievo di questi, Giovan Battista Lama8 " (S. Sbardella)
Galatea, di Paolo De Matteis, 1692 Galleria di Brera, Milano (fonte internet) |
Affascinante ed inconfutabile è il
confronto tra la Galatea (1682) del
De Matteis, della Pinacoteca di Brera con sede a Milano, e la "Maddalena"
di Campobasso. La disposizione delle figure all'interno delle due scene è quasi
sovrapponibile, anche se alla postura frivola e sensuale della ninfa si
contrappone l'atteggiamento di Maria Maddalena, più composto e consono al
contesto religioso. Molte delle figure che affollano il quadro di Brera
scompaiono, mentre altre vengono opportunamente trasformate. E' ravvisabile un
irrigidimento accademico delle forme e del colore tipico della produzione sacra,
caratteristico della maturità artistica di Giovan Battista Lama. Dall'osservazione
delle opere di quest'ultimo appare che vi sia più di una semplice e casuale
affinità linguistica con la Maddalena penitente.
Appare evidente che il dipinto originale
fosse più grande e che esso sia stato rimaneggiato ben prima di essere inviato
in Molise. Si intuisce, infatti, la presenza di altro/altri personaggi sulla
destra dell'osservatore: si intravede un drappeggio ed alcuni sguardi sono
rivolto verso qualcuno fuori campo. Semplicemente angeli o forse un Cristo? Del
Resto anche nel Trionfo di Galatea
del De Matteis, la nereide guarda verso Aci, il bellissimo pastore da lei
amato, che occupa una parte della scena.
Incuriosisce il demonietto che offre
alla Santa una corona d'oro, simbolo di potere, in contrapposizione alla corna
di spine, simbolo di umiltà, offertale dall'angelo. Il volto bonario, quasi innocente
del diavoletto, incarna l'aspetto accattivante della tentazione: non un truce
spirito dannato, ma un simpatico povero diavolo.
La Madonna di Costantinopoli
Se, quindi, per la Maddalena si può
accettare con ragionevole certezza l'attribuzione al Lama, così come ben
motivato da Silvia Sbardella, per la Madonna di Costantinopoli si può solo
ipotizzare una qualche paternità.
Madonna di Costantinopoli particolare raffigurante San Giovanni Battista (foto Mario Gravina) |
"La
Madonna col Bambino, San Giovanni e San Pietro" di palmi 8 ½ x 7 ½
(cm 224 x 198) era stata in un primo momento destinata (su scelta del
pittore oratinese Isaia Salati) alla chiesa matrice di Oratino, per poi essere
donata alla Santissima Trinità di Campobasso. Del dipinto, inventariato da
Vincenzo Camuccini (chiamato nel 1824 a riordinare il Reale museo borbonico)
con il n° 1127, non si dispone di notizie relative né all'autore né, tantomeno,
all'originaria provenienza, ed è sinteticamente definito quale "copia d'Imparato"
(Girolamo Imparato, 1549-1607). "Stilisticamente
l'opera può essere inquadrata nell'ambito del panorama artistico-figurativo
della pittura partenopea degli ultimi decenni del cinquecento: la composizione
sobria e quasi schematica lascia trasparire la predilezione per un linguaggio
di chiara matrice devozionale, depurato da ogni tentativo di artificio, dove
invenzione ed estro creativo cedono il passo ad una pittura sacra più equilibrata
ed impregnata di quello che Leone de Castris definisce in maniera sintetica realismo devoto" (S. Sbardella)
Madonna di Costantinopoli particolare raffigurante San Pietro (foto Mario Gravina) |
Lo stile e l'impaginazione compositiva
riconducono alla ricca produzione di pale d'altare che contraddistinse, per
tutta la seconda metà del XVI secolo, la florida bottega di Silvestro Buono e
Giovan Bernardo Lama: la Madonna col Bambino e santi Giovanni Battista e Domenico,
realizzata dal Lama per della chiesa di San Lorenzo a Napoli, sembra frutto del
medesimo modello preparatorio.
Ma se si confronta la Madonna di Costantinopoli
con alcune opere, di fine cinquecento, dell'Imparato (l'Annunciazione della chiesa del Gesù di Lecce e la Trinità di Montecassino) è possibile
constatare assonanze stilistiche ed iconografiche tutt'altro che trascurabili.
A quale dei due artisti, se non a
qualche loro discepolo, potrebbe essere attribuita la "Madonna" di
Campobasso?
Ipotizza Silvia Sbardella che,
addirittura, potrebbe "essere il
frutto di un lavoro di collaborazione tra i due pittori, che ebbero modo di
incontrarsi quando Imparato, agli esordi della sua carriera, compiva il suo
apprendistato proprio nella bottega del Buono".
La
Madonna di Costantinopoli (le cui
attuali misure sono cm 220 x 185) è
in ottimo stato di conservazione essendo stata restaurata dal laboratorio PF
Restauri, prima di essere nuovamente esposta nella Cattedrale di Campobasso. Ironia
del fato vuole che nell'antica cinquecentesca chiesa della Trinità, compromessa
dal sisma del 1805, vi fosse una grande cappella "della famiglia Pistilli, con cona indorata, con quattro colonne
di mezzo rilievo, con nicchia in mezzo e statua indorata di Santa Maria di
Costantinopoli" (Luigi Nauclerio, 1688).
L'iconografia della vergine Odigìtria,
Il titolo di Madonna di Costantinopoli è legato
all'immagine della "Madre di Dio", detta Odigìtria, così com'era
rappresentata nell'icona di Maria venerata a Costantinopoli nella chiesa degli
odigos (guide). Nome derivante, secondo una delle tante versioni
interpretative, dalla presenza di un monastero che ospitava le guide incaricate
di accompagnare, ad una fonte miracolosa, coloro che erano affetti da malattie
agli occhi perché riacquistassero la vista.
Madonna di Costantinopoli, particolare (foto Mario Gravina) |
Detta icona era costituita da una
testa di Madonna con il Bambino, dipinta su tavola in Palestina con la tecnica
dell'encausto, ed era considerata un ritratto della Vergine realizzato dall'evangelista
Luca, ritenuto ritrattista della Madonna. L'opera, giunta a Costantinopoli,
venne "completata" divenendo una tavola raffigurante l'intera figura
di Maria.
Il tipo iconografico di Santa Maria di Costantinopoli9
ritrae la Madonna (con l'abito rosso simbolo della natura divina) che indica il
Figlio come "via, verità e vita". Nel dipinto di Campobasso il
Bambino non viene espressamente "indicato", ma la Madre, con il suo
amorevole abbraccio, poggiando teneramente la fronte su quella del Cristo
bambino, lo mostra ai fedeli che vengono catturati dal suo profondo ed
eloquente sguardo.
Spicca sul manto blu, che rappresenta il
Cielo, la stella ad otto punte, emblema di perfezione (essendo questo un numero
perfetto). La stella è un attributo
prettamente mariano: Ella è la Stella mattutina e la Stella Maris (stella del
mare), segno di speranza e di costante riferimento spirituale per i cristiani,
al pari della stella polare per i naviganti. Con tale titolo, simile appunto a
quello di Odigitria, la Vergine Maria è invocata come guida e protettrice di
chi viaggia o cerca il proprio sostentamento sul mare.
Una ricorrente caratteristica illustrativa
della Madonna di Costantinopoli è la rappresentazione di una città turrita, e
cinta di mura, in preda alle fiamme causate da un imponente incendio,
presumibilmente conseguenza di un assedio di Saraceni. Alcuni angeli versano
dal cielo acqua per domare il fuoco distruttore: i roghi del peccato che
bruciano l'anima vengono estinti grazie all'intercessione della Vergine.
L'opera campobassana, pienamente
rispondente all'iconografia classica, è arricchita dalla presenza dei Santi
Giovanni Battista e Pietro, contraddistinti dai loro rispettivi simboli.
Il primo rivolto verso l'osservatore, ha
ai piedi l'agnello. Indossa un manto rosso (colore del martirio) ed è avvolto
da una veste di peli di cammello (con cui si copriva nel deserto il Battista, come
narrano i Vangeli). Egli regge la croce con il cartiglio riportante la frase
"Ecce Agnus Dei", il suo dito indice è elevato ad indicare il Mistero
l'Incarnazione del Figlio di Dio.
Il secondo santo, con l'abito bianco (colore
della purezza), ha sulle spalle un mantello ocra giallo/oro (lo splendore della
santità). I due colori sono quelli della Chiesa (gli stessi della bandiera
vaticana) di cui egli è rappresentazione metaforica.
Pietro regge le doppie chiavi, quella
d'oro che può aprire il cielo e quella d'argento che può serrarlo (Purgatorio
IX canto) e, contemplando la Vergine, mostra il libro della Parola di cui è
custode, come lo è la Chiesa che rappresenta.
L'irrimediabile scomparsa di una ricca donazione
Di tutta la ricca donazione ottocentesca sono state
consegnate ai posteri solo queste due opere.
Madonna di Costantinopoli particolare della città in fiamme (foto Mario Gravina) |
Nel contempo ci piace credere di aver fornito, con il
nostro lavoro, un minimo contributo affinché ad esse venga sempre più concessa
la dovuta attenzione, facendole divenire oggetto di appassionati ed
approfonditi studi. E', comunque, difficile, pur se a distanza di 150 anni, accettare
la scomparsa degli altri 12 quadri. Per quelli fagocitati dal periodo buio (per
la chiesa della Trinità) a cavallo dell'unità d'Italia, non ci si dovrebbe che
rassegnare…. ma è la totale perdita di ogni memoria degli altri due, ancora
visibili negli anni 30 del 1900, a lasciare oltremodo perplessi. E' facile
supporre che il San Girolamo (cm 185
x 132 "all'origine") possa essere stato agevolmente trasferito
altrove, ma il Natale, a causa delle
sue grosse dimensioni (cm 238 x 582) avrebbe dovuto necessariamente lasciare
una qualche traccia di sé.
Oramai, per ragioni meramente generazionali, non vi è
più alcuna possibilità di raccogliere testimonianze dirette sulla presenza di
quei dipinti: probabile che si siano deteriorati con il tempo, o che siano
stati ricollocati. Forse venduti o depezzati, ricavando più opere da una solo
iniziale.
Un aiuto potrebbe venire da foto di interni della "Trinità",
o di altre chiese, per confrontare quanto in esse contenuto. Mancherebbero,
inoltre, inventari visivi del patrimonio storico-artistico locale. Gli archivi
dei grandi fotografi molisani o sono difficilmente consultabili (presso Alinari
molte fotografie Trombetta non sono digitalizzate) oppure sono in attesa di
conoscere il loro destino (che ne sarà mai della preziosa produzione Chiodini?)
La speranza è che questo excursus, oltre ad incuriosire verso la storia e l'arte cittadine, riesca ad aprire,
con un plurisecolare ritardo, nuove prospettive di "indagini" su
quella che fu, negli ultimi due secoli, la ricchezza culturale del "Capoluogo
della Provincia di Molise".
Si ringraziano, per la disponibilità e per l'amicizia
dimostrata, il professor don Michele Tartaglia, arciprete di Campobasso,
parroco di Santa Maria Maggiore (Chiesa Cattedrale); il dottor Daniele Ferrara
direttore del Polo Museale del Veneto; il professor Rodolfo Papa, Accademico Pontificio, Presidente della
Accademia Urbana delle Arti; Stefano Vannozzi, restauratore, studioso e
ricercatore nonché il dottor Mario Gravina esperto amante dell'arte
fotografica.
Bibliografia
Silvia
Sbardella, Tra donazioni e sparizioni le
vicende ottocentesche dei dipinti della chiesa della Santissima Trinità di
Campobasso, Napoli Nobilissima, quinta serie – volume V – fascicoli III-IV-
maggio agosto 2004
Amedeo Trivisonno, Memorie, 1989
Angelo
Tirabasso, Breve Dizionario Biografico
del Molise, 1932
Alfonso
Fillipponi, Orazione Inaugurale per la nuova Chiesa della SS. Trinità aperta in
Campobasso a' 14 ottobre 1829,
1829
AA.VV., Oratino, pittori scultori e
botteghe artigiane tra XVII e XIX
secolo, 1993
Corrado Carano, Sognando il Rinascimento. Amedeo Trivisonno, pittore Molisano, 1992
Filippo
Pece, La Cattedrale di Campobasso,
2006
Giuseppe Di
Fabio, I vescovi di Bojano e di
Campobasso-Bojanio, 1997
Giuseppe Di
Fabio, Storia della chiesa della SS.
Trinità in Campobasso, 1999
Giuseppe Di
Fabio, Nuovo Seminario Diocesano di
Campobasso, 2003
Michele Ruccia, Mons. Alberto Romita vescovo di Bojano-Campobasso, 1942
Padre Eduardo di Iorio, Campobasso – itinerari di storia e di arte,
1978
Padre Eduardo di Iorio, Campobasso nel 1688, 1981
Gianbattista Masciotta, Il Molise dalle origini ai nostri giorni,, volume II, 1915
note
8 Giovan Battista Lama ( Napoli 1673 ca. - 1748) fu attivo prevalentemente
nel regno di Napoli. Oltre che nell'allora capitale, le sue opere sono presenti
ad Aversa, Lecce, Bari, Monopoli, Sorrento, e Belvedere Marittimo (CS). La sua formazione pittorica si collocò
nell'ambito della scuola di Luca Giordano, sebbene più saldi punti di contatto
siano individuabili con Paolo De Matteis. L'influsso di quest'ultimo è
oltremodo evidente tanto che, nel passato, al De Matteis furono attribuite
alcune opere riconosciute oggi, con certezza, del Lama. Risale, probabilmente, al 1700 il vero e proprio esordio come
pittore "pubblico". In quell'anno, infatti, morì Nicola Russo, autore
del ciclo di decorazione della prestigiosa cappella Sannazzaro nella chiesa di
S. Maria del Parto a Napoli ed al Lama vennero commissionati, a completamento
dell'opera, alcuni Putti reggifestone su tela per l'arco che immette
nella cappella posta dietro all'altare maggiore. In questi dipinti, tra i primi
tramandatici dalle fonti, emergono con chiarezza i segni precoci di quella
sensibilità rococò che è uno dei tratti caratteristici della sua produzione. In
alcuni lavori, inoltre, è ravvisabile un'anticipazione rispetto al gusto
dell'Arcadia che si affermerà, anche a Napoli, in un breve volgere di anni.
L'evidente consonanza con le tematiche dell'Arcadia può essere considerata, nel
caso del Lama, come termine dialettico di ispirazione rispetto al fortissimo
polo d'attrazione che si venne costituendo a Napoli, sin dagli anni venti del
Settecento, attorno alla figura del Solimena. In questo periodo vanno collocate
due tele, conservate al Kunsthistorisches Museum di Vienna, Agar nel deserto
ed Il sacrificio di Isacco, in cui è evidente la suggestione
dell'intensità espressiva di Solimena, sebbene tradotta in un linguaggio più
dimesso. È di fondamentale importanza ricordare il viaggio che nel 1723 il Lama
fece a Roma, insieme al cognato De Matteis e con il pittore G. Mastroleo, in
occasione del quale ebbe modo di frequentare e confrontarsi con la bottega di
Carlo Maratta.
Dopo aver recepito dal Solimena -ma anche
dal marattismo romano- un'istanza di fondamentale chiarezza formale di matrice
classica, egli recuperò l'eleganza compositiva di De Matteis e perfino l'aerea
luminosità di Luca Giordano, con un risultato di estrema raffinatezza.
Giovan Battista Lama seppe mantenere
sempre una posizione di grande apertura e di dialogo critico tanto rispetto
alla pittura contemporanea, quanto a quella della tradizione, dimostrando con
ciò la sua piena comprensione della difficile lezione del suo maestro Luca
Giordano. Secondo la testimonianza di alcuni discepoli l'artista volle essere
sepolto nella chiesa di Montecalvario, ma della sua tomba non esiste però
alcuna traccia, probabilmente essa andò perduta nei restauri ottocenteschi
della chiesa.
(fonte Rossella Faraglia "Giovan Battista
Lama" - www.treccani.it/enciclopedia)
9 Costantinopoli fu la capitale dell'Impero romano
d'Oriente, voluta da Costantino il Grande a cavallo del Bosforo e del Corno
d'Oro, sul luogo dell'antica Bisanzio. La città ebbe fin dai primi tempi un
culto tutto particolare, per la Madre di Dio, la Vergine Theotokos.
Nel V secolo, Teodosio II (408 - 450)
eresse a Costantinopoli tre piccole basiliche mariane in luoghi detti
Blacherne, Chalcopratia (mercato del bronzo) ed Odeghi (guide). La
denominazione Odigitria, da odos, "via", significa "Colei che indica
la via". Per alcuni il nome deriverebbe dal fatto che i condottieri
(odigoi) si recavano in questo monastero a pregare, mentre per altri dal nome
della via della città imperiale in cui vi era la Chiesa detta "delle
guide". L'immagine venerata agli Odeghi rappresentava la Vergine col
Bambino in braccio. Secondo la leggenda si sarebbe trattato di una delle tre
icone dipinte da San Luca quando la Vergine era ancora in vita, e sarebbe stata
portata da Eudosia, moglie dell'imperatore Teodosio il Giovane, dalla Terra
Santa fino a Costantinopoli. Questa celebre raffigurazione fu considerata la
protettrice della città e di tutto l'impero d'Oriente. Per volontà degli
imperatori essa sfilava alla testa dei loro cortei trionfali, come guida ed
indicatrice della via, avvalorando in questo modo il titolo di
"Odigitria".
Le lotte iconoclaste del 700, e la presa
di Costantinopoli da parte di Maometto II nel 1453, determinarono
l'importazione delle iconografie, care al popolo cristiano d'Oriente, nei
territori dell'Italia Meridionale. Anche usi, tradizioni, costumanze liturgiche
ed architettura bizantina fecero sentire il proprio influsso, innestandosi
nella cultura storica e popolare del Sud. Non poche furono la Immagini della
Madonna di Costantinopoli la cui devozione si sviluppò in vari centri della
Puglia (Bari, Acquaviva delle Fonti), Abruzzo e Molise (Ortona e Portocannone),
Campania (Ischia, Terranova e Felitto), ma fu soprattutto Napoli ad essere
antesignana del culto verso la vergine Odigìtria
fonti (cir.campania.beniculturali.it
- www.diocesidicapua.it - www.mariadinazareth.i)
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