Articolo pubblicato sul numero 12, mese di dicembre 2016, de "IL BENE COMUNE", anno XVI.
La "Madonna di Costantinopoli" e la "Maddalena
penitente" nella Cattedrale di Campobasso.
prima parte
Le
due opere, uniche superstiti del ricco patrimonio pittorico che decorò nel XIX
secolo la chiesa della Santissima Trinità, "raccontano" alle nuove
generazioni le vicende ottocentesche del Duomo cittadino.
di Paolo Giordano
Campobasso nel 1583 (raccolta Rocca biblioteca Agelica, Roma) |
Ai tre dipinti citati si deve aggiungere
la "Madonna di Costantinopoli" che, dagli inizi del 2012, è stata
nuovamente esposta nella Cattedrale di Campobasso, per volontà del soprintendente
di quella che all'epoca si chiamava Soprintendenza per i beni storici artistici
ed etnoantropologici, il dottor Daniele Ferrara, sollecitato a sua volta dall'interessamento
dello studioso Filippo Pece.
L'opera in questione, un olio su tavola
(cm 220 x 185), scuola napoletana fine XVI secolo, unitamente all'olio su tela
raffigurante la Maddalena Penitente (cm 197 x 174), scuola napoletana XVIII
secolo, conservato negli uffici parrocchiali, faceva parte di una donazione di
ben 14 quadri, provenienti dal Real Museo Borbonico, destinati ad adornare la
chiesa della Trinità in Campobasso.
L'interessante storia di questi dipinti,
un autentico spaccato sociale, politico e religioso, è stata dettagliatamente
descritta nell'articolo di Silvia Sbardella "Tra donazioni e sparizioni-le
vicende ottocentesche dei dipinti della chiesa della Santissima Trinità di
Campobasso", pubblicato su "Napoli Nobilissima", maggio-agosto
2004.
Due "terremoti", agli inizi
del 1800, sconvolsero le nostre terre. Il primo fu un autentico movimento
tellurico che si verificò il 26 luglio 1805, devastando il Molise e danneggiando
il suo patrimonio edilizio inclusi, ovviamente, edifici pubblici e di culto. Il
secondo fu un evento politico, la conquista da parte dei Francesi del Sud
Italia ed i successivi governi dei Napoleonidi (Giuseppe Bonaparte e Gioacchino
Murat) che ridisegnarono l'assetto politico-istituzionale dell'allora regno di
Napoli: si pensi su tutto all'eversione della Feudalità ed alla divisione del
regno in 13 (poi 14) Province.
Campobasso divenne, così, capoluogo del
Molise (realtà la cui crescita economica e culturale era in atto già da tempo) e,
quindi, sede dell'Intendenza. L'intendente, primo rappresentante dello Sato
nella provincia, aveva il compito, in una forma di Governo che potenziava le
amministrazioni locali ampliandone i poteri, di sovrintendere al controllo ed
al coordinamento di tutti gli organismi pubblici, gestendo le risorse
finanziarie e provvedendo alla pubblicazione ed applicazione di leggi, decreti
ed ordinanze.
E' in questo contesto che si attuò un
processo evolutivo oramai non più contenibile, cioè l'espansione della città di
Campobasso al di fuori delle anguste mura del borgo medioevale. Il 25 agosto
1814 Gioacchino Murat autorizzò, affidandone le sorti a Bernardino Musenga, "la costruzione del Borgo Gioacchino fuori l'antico
recinto delle mura… verso la strada di Napoli" (Bernini Carri - Samnium,
1958).
In una "semplice" cittadina
del contado, divenuta Capoluogo di Provincia, necessitava progettare un nuovo
centro direzionale, identificandone i punti socio-amministrativi di riferimento.
Apparve, pertanto, subito determinante riqualificare la chiesa della Santissima
Trinità2 la cui
ubicazione era oltremodo strategica trovandosi essa tra il nucleo antico e la
città moderna. Tale luogo di culto, fortemente voluto agli inizi del 1500 dai
Di Capua,3 subentrati
alla famiglia Gambatesa-Monforte nel dominio della città, era nel decennio
francese in corso di ricostruzione dopo i danni del sisma del 1805. Un glorioso
passato ed un avvincente futuro si incontravano in una struttura "in cui l'intera popolazione si
riconosceva e nella cui valorizzazione si sarebbe identificato il nuovo volto
della città" (S. Sbardella).
La
Chiesa Madre necessita di adeguati Arredi
Nel 1823 la nuova chiesa era di fatto
completata nelle sue parti essenziali ed essendo prossima la conclusione dei
lavori, ci si pose il problema degli arredi interni, nello specifico di come
arricchire le
nude pareti. L'intendente Spinelli (appartenete ad un'illustre
famiglia di Fuscaldo) espresse epistolarmente al vescovo di Bojano, monsignor
Gennaro Pasca (sollecitandone l'interessamento e trovando positivo e fattivo
riscontro da parte dell'alto prelato), l'opportunità di decorare il nuovo tempio
"con tre o quattro quadri di buoni
autori", oltre al reperimento dei necessari altari, facendone
richiesta a sua maestà Ferdinando I (i Borbone erano tornati a regnare nel
nuovo stato denominato "Regno delle due Sicilie" recependo, però, parte
delle riforme introdotte dai Francesi). L'intendente auspicava di ricevere in
dono dei quadri e che, al peggio, il Comune provvedesse all'acquisto degli
altari, attingendo in entrambi i casi ai beni provenienti da chiese soppresse,
sia della Capitale che di altre città del Regno.
Francois Gérard: Gioacchino Murat |
Fino all'agosto 1824 la questione rimase
dormiente. Il problema fu risollevato da Nicolangelo Petitti, direttore dei
lavori della Santissima Trinità. Egli, subentrato al defunto Musenga (morto il 24/10/1823),
con lettera dell'otto agosto indirizzata al Comune evidenziava che "gli edifici consegnati al culto divino
debbono alla solidità accoppiare la magnificenza, ed alla bellezza la
semplicità, onde esprimere con questi caratteri tutto il bello ed il sublime
della nostra Augusta religione. La chiesa della Santissima Trinità… manca di
questi ornati". Il più gran cruccio del Petitti era che "l'infelice" Bernardino
Musenga fosse morto "sventuratamente"
senza lasciare traccia alcuna di quale idea avesse in mente "per adornare quest'edificio e renderlo
Augusto". Il geniale progettista di sicuro aveva pensato con che "genere di ornati" abbellire
la chiesa, ma l'assenza di disposizioni "assai
noiamento ha arrecato: ed è difficile potersi dar riparo."
La mancanza di un testamento artistico-architettonico
da parte del Musenga spinse lo Spinelli a "tornare alla carica"
(agosto 1824) chiedendo la concessione "di
alcuni de' quadri meno necessari del Museo Borbonico", questa volta
spalleggiato dal marchese Ruffo, ministro di Casa reale, il quale esortò il
sovrano, in maniera velata e discreta, affinché concedesse quanto richiesto dai
molisani.
Il 2 settembre 1824 Ferdinando I stabilì
di destinare alla principale chiesa campobassana alcuni quadri presenti nel
magazzino del Real museo borbonico. Ovviamente, a questo punto, necessitava
conoscerne il numero e le dimensioni. Ne furono richiesti 10 (il 31/10/1824) "della lunghezza ciascuno di palmi 16
in 20 e della lunghezza di palmi 8 in 12", praticamente circa 4-5
metri di altezza per 2-3 metri di larghezza (un palmo corrispondeva a 0,26 m). La cortese e quasi immediata risposta (6/12/1824) fu
però poco incoraggiante: ne abbiamo di meno alti e più larghi! Poiché, però, i
richiedenti si erano espressamente dichiarati disposti, comunque, ad
accontentarsi del materiale disponibile, sembrò si fosse oramai prossimi alla
conclusione di tutta l'operazione con il trasferimento di 11 quadri dalla
Capitale a Campobasso.
Pasquale Mattej: Campobasso (1856) |
Cosa era accaduto? Nel 1824 erano stati
portati a termine i lavori di costruzione dell'ala orientale del Palazzo dei
Regi Studi, sede del Real museo borbonico e, pertanto, si era programmato un
riordino del museo stesso ad opera di Vincenzo Camuccini, che in passato si era
occupato della tutela del patrimonio artistico dello Stato Pontificio. Ogni
spostamento, quindi, veniva giocoforza sospeso per poter procedere ad un
accurato inventario, ad una attenta classificazione e ad una meticolosa
valutazione delle opere conservate, "non
si dee credere che non vi sia nulla di buono (tra i quadri di scarto), perché vi sono sempre cose non dispregevoli
e da non gettarsi via".
Nel 1826 venne, in primo luogo, stilata
dal Camuccini una relazione sulle condizioni della pinacoteca del Real museo e
poi si provvide a redigere un elenco di opere che, innanzitutto, sarebbero
state destinate alla decorazione dei palazzi reali. Con le restanti, a fronte
di opportuna richiesta da parte degli interessati, si sarebbe provveduto a
restituire decoro e dignità alle chiese spogliate dalle soppressioni
napoleoniche.
In quello stesso anno il nuovo sindaco
di Campobasso, Domenico Mazzarotta, tentò di sbloccare la situazione inviando a
Napoli Michelangelo Ziccardi ed il pittore oratinese Isaia Salati4, in veste di incaricati
dal Comune, per dare compimento all'impegno preso a suo tempo dal Re, ma "il
colpo di mano" non ebbe esito positivo.
Essendo nel 1829 i lavori di costruzione
della Santissima Trinità oramai conclusi, ed alla luce dell'inconfutabile
volontà dimostrata dal sovrano di voler donare alla nuova chiesa quanto
promesso, il segretario generale dell'intendenza di Molise, l'abruzzese Giambattista
Chiarini, mise in atto una strategia vincente. Egli incaricò Florindo Guacci di
recasi, in nome e per conto del Comune di Campobasso, a Napoli al fine di "ritirare i quadri promessi".
Il Chiarini ne informò contemporaneamente anche il ministro di Casa reale e,
nel contempo, fece pervenire -attraverso il Guacci- una lettera confidenziale
ad un proprio amico, funzionario del Real museo borbonico (tal de Crescenzi),
invitandolo a perorare la causa in corso.
Campobasso Capoluogo del Molise |
Il 22 luglio Guacci comunicò con
soddisfazione al Chiarini che il Re (Francesco I succeduto al padre Ferdinando)
aveva ordinato la consegna non di 10, bensì di 12 quadri che egli stesso avrebbe
potuto scegliere tra quelli che, pur se nei depositi, non era concesso a tutti
di vedere.
L'elenco
delle opere donate dal Re
L'elenco delle opere donate fu il
seguente:
La Nascita di Gesù; l'Adorazione dei
Magi; la Madonna in un tondo e due Santi nel basso; Santa Maria Maddalena con Angeli
che la portano in gloria; San Girolamo in adorazione; la Madonna col Bambino in
gloria, santa Rosa ed altro Santo; la Madonna col Bambino in gloria e due Santi
nel basso (la Madonna di Costantinopoli ndr); Martirio di Santa Orsola con
molte figure; un Santo Eremita che adora la Madonna col Bambino in gloria;
Cristo alla colonna con manigoldi; San Tommaso con altri religiosi ed un altro
San Tommaso con altri religiosi. Tolti i primi due, le cui dimensioni erano le
maggiori (cm 238 x 582), gli altri si aggiravano tutti tra i 100-300 cm di
altezza ed i 100-250 di larghezza.
La partita sembrava oramai conclusa
quando da Campobasso giunse un'ulteriore richiesta. Antonio Bellini, architetto
della fabbrica della chiesa della Santissima Trinità, aveva espresso il bisogno
di altri due quadri, per l'adornamento delle due volte dei cappelloni laterali.
Il tempismo e la scaltrezza diplomatica
del Chiarini (nominato nel frattempo Intendente del Molise) unitamente all'intuito
strategico del Guacci (in "prima linea" in quel di Napoli),
conseguirono ancora una volta pieno successo. Tra lettere ufficiali di
richiesta e di ringraziamento, missive private personali e capacità relazionali
e dialettiche… nonché qualche opportuna conoscenza, si riuscì ad aumentare il
numero dei quadri di altre due unità, aggiungendo al ricco corredo il Lazzaro
dell'Evangelo ed il Ritorno del Figlio Prodigo (entrambi cm 238x383).
Il prezioso patrimonio pittorico, 3
tavole e 11 tele, venne finalmente trasportato a Campobasso. I dipinti, dopo
esser stati opportunamente restaurati e corredati di nuova ossatura in legno,
furono collocati sulle pareti della navate, nei cappelloni ed i due San Tommaso
trovarono posto in sacrestia.
Era stato pienamente centrato l'obiettivo
prefissatosi. La una nuova chiesa era il concreto emblema di quella che potremmo
definire una riuscita "ricostruzione post sisma", poiché testimoniava
il risorgere dalle macerie del devastante terremoto del 1805. Ma, soprattutto, essa
era simbolo della nascita di una nuova città proiettata verso un futuro di
sempre maggior progresso politico, economico e sociale. Il 14 ottobre 1829 la chiesa
della Santissima Trinità fu solennemente riaperta al culto e, sicuramente
dovette apparire al popolo intervenuto meravigliosa ed imponente, proprio
grazie al suggestivo patrimonio pittorico ivi esposto, a dispetto delle
presunte critiche rivolte al progetto architettonico5.
Il
canonico Alfonso Filipponi "inaugura" la nuova chiesa
Maddalena Penitente (foro Mario Gravina) |
Dal 1829, e per i successivi 30 anni, "alla vista di que' santi oggetti
avvivati in queste tele il vostro spirito già si accende... grida con
trasporto. Io mi sento maggiore di me stesso; io non anelo che le strade del
Cielo". Il Filipponi, nel suo discorso, pur se probabilmente per mero
esercizio retorico, proclamava di confidare che "già l'empio n'è preso da meraviglia, e convinto meco ripete, che
questi segni esterni ajutano la fede, accendono il divino amore, nudriscono la
speranza, concentrano l'attenzione, ci uniscono ai nostri fratelli...".
Non sta a noi stabilire se fossero empi
o meno, ma di sicuro sarebbero dovuti essere "fratelli" (se non in
Cristo... almeno d'Italia) coloro che, nel 1860, trasformarono la Santissima
Trinità in presidio delle milizie mobili, inviate dal nuovo governo per la lotta
al brigantaggio post unitario. La struttura, spentosi il fragore delle
battaglie, non venne comunque più riaperta al culto, bensì fu trasformata in
caserma, attraverso un totale sconvolgimento edilizio tale (le navate furono chiuse
e vi si ricavò un secondo piano) da far passare la tesi che sarebbe stato meno
dispendioso costruirne una nuova piuttosto che sobbarcarsi il costo dei lavori
di recupero. In realtà parrebbe essersi trattato di un deliberato atto di
anticlericalismo, "un inutile
insulto alla religione", poiché i locali ivi ricavati risultarono "freddi, umidi ed oscuri".
Il
vescovo di Bojano aveva nel tempo richiesto, con il dovuto tatto, la
restituzione "della Trinità" ma, all'ennesimo rifiuto, fu abbandonata
ogni forma di diplomazia. In data 17 ottobre 1885 l'arciprete don Carlo Pistilli7 citò in giudizio il Comune
cittadino: il sindaco venne invitato a comparire in Tribunale sia per "rilasciare e consegnare all'istante"
la chiesa e sia per "ridurre il
locale nello stato in cui era prima dell'occupazione" con tutti i suoi
arredi.
La Cattedrale di Campobasso, foto Mario Gravina |
La Santissima Trinità tornò a
disposizione del clero solo nel 1888, quando l’amministrazione comunale accantonò
definitivamente l'idea di trasformarla in teatro. Nel gennaio di quell'anno, infatti,
era stato inaugurato il teatro Margherita.
Del ricco e pregevole corredo pittorico
non rimaneva quasi più nulla ma, soprattutto, non ve ne si trovava alcuna
traccia nei verbali di presa di possesso della chiesa da parte del Comune all'atto
della "confisca". La sola opera ad essere citata risultava un statua
della "della Vergine Assunta".
Superficialità? Approssimazione? Cattiva
fede?
Colpisce, di primo impatto, la
differenza con i governi e gli amministratori precedenti che, pur senza alcun collegamento
dinastico (i Borbone di Napoli ed i Napoleonidi), avevano recepito e conservato
alcune innovazioni introdotte dagli "usurpatori", ritenendole degne
di valore. Lo stesso dicasi della sensibilità dimostrata verso l'arte e la
religione da parte di Intendenti, Sindaci e notabili cittadini.
Di sicuro, alla fine del 1800, buona
parte di quelle opere dovevano essere ancora in città a disposizione di chi se ne
era impossessato e, probabilmente, se ci fosse stata opportuna collaborazione,
le stesse sarebbero potute tornare tutte ad adornare la Chiesa Madre che, per
la seconda volta in meno di un secolo, si trovava a dover risorgere dalle sue stesse
ceneri.
Si ringraziano, per la disponibilità e
per il loro operato, il professor don Michele Tartaglia, arciprete di
Campobasso parroco di Santa Maria Maggiore (Chiesa Cattedrale), il dottor
Daniele Ferrara direttore del Polo Museale del Veneto ed il dottor Mario
Gravina esperto amante dell'arte fotografica.
Bibliografia
Silvia Sbardella, Tra
donazioni e sparizioni le vicende ottocentesche dei dipinti della chiesa della
Santissima Trinità di Campobasso, Napoli Nobilissima, quinta serie – volume
V – fascicoli III-IV- maggio agosto 2004
Alfonso Fillipponi, Orazione Inaugurale per la nuova Chiesa della SS. Trinità
aperta in Campobasso a' 14 ottobre 1829, 1829
Giuseppe Di Fabio, I
vescovi di Bojano e di Campobasso-Bojanio, 1997
Giuseppe Di Fabio, Storia
della chiesa della SS. Trinità in Campobasso, 1999
Filippo Pece, La
Cattedrale di Campobasso, 2006
Corrado
Carano, Sognando il Rinascimento. Amedeo
Trivisonno, pittore Molisano, 1992
Amedeo
Trivisonno, Memorie, 1989
Angelo Tirabasso, Breve
Dizionario Biografico del Molise, 1932
Michele
Ruccia, Mons. Alberto Romita vescovo di
Bojano-Campobasso, 1942
AA.VV.,
Oratino, pittori scultori e botteghe artigiane tra XVII e XIX secolo, 1993
1 Sulla facciata della Cattedrale è presente una lapide
commemorativa che ricorda l'ingresso del Vescovo, il primo della diocesi di
Bojano-Campobasso, nella nuova Sede Episcopale. Con tale trasferimento si
concluse una plurisecolare vicenda che aveva contrapposto a lungo l'antica Città
di Bojano, che era stata Sannita e poi Romana, alla molto più
"giovane" Campobasso, la cui prima citazione ufficiale risaliva al
878 (Chronicon Sancte Sophie). Con il trascorrere del tempo, la posizione più
favorevole, sia da un punto di vista economico-amministrativo che climatico
(maggiormente salubre, come riportavano le cronache), aveva indotto a
progettare lo spostamento dell'Episcopio. L'operazione, però, fu strenuamente
avversata da clero e popolo bojanesi. Solo nel 1927 monsignor Alberto Romita
riuscì in ciò in cui i suoi predecessori avevano fallito! Il testo della lapide,
ripulita alla fine del 2015, recita: Summo civium gaudio/ Campibassi episcopus
dioecesis primus/ Albertus Romita/ postridie idus octobres MCMXXVII/ anno
quinto fascalis imperii/ hoc templum adiit/ R.P.pot. [con sommo gaudio dei
cittadini, Alberto Romita, vescovo di Campobasso il primo della diocesi (ad
esserlo), fece ingresso in questo tempio il 16 ottobre 1927, anno quinto dell'era
fascista. Renato Pistilli podestà].
2Nel concedere l'autorizzazione ad espandere la città
fuori dalle antiche mura Gioacchino Murat aveva anche emanato un decreto con
cui ordinava, in riferimento ai lavori di costruzione della chiesa matrice, di
"doversi nel bilancio del Comune
stanziare ogni anno una somma proporzionata alle sue risorse fino al completamento
dell'opera".
3 La chiesa della Santissima Trinità fu costruita extra
moenia, per volere di Andrea Di Capua, in un'epoca in cui la popolazione viveva
ancora tutta arroccata sulle falde del monte dominato dall'antico castello.
Ospitò da subito la Congrega dei Trinitari, istituita quale contrappeso al
potere esercitato da quella più antica dei crociati. La prima congrega era costituita
prevalentemente dalle nuove famiglie stanziatesi di recente nel territorio, l'altra,
invece, che faceva capo alla chiesa di Santa Maria della Croce, era composta da
"autoctoni". La convinzione comune vorrebbe i primi tutti colti e
benestanti, mentre i secondi appartenenti ai ceti meno abbienti, da sempre
residenti in Campobasso. Ma risulterebbe poco credibile pensare che fino al
1504 (riconosciuta come la data di fondazione della S.S. Trinità) a Campobasso
non vi fossero famiglie di antico ed elevato lignaggio, nonché appartenenti a
ceti abbienti (basti pensare al ricco mercante Cola Ferracuto di cui scrive il
Gasdia ne "il più facoltoso Campobassano del XV secolo"). La
contrapposizione, più che sociale fu dunque politica e, con il tempo, diede
vita ad un drammatico progressivo aumento della violenza che portò ad una vera
e propria guerra tra le due fazioni cittadine. Dalle lotte tra Trinitari e
Crociati prende vita la storia dell'amore contrastato tra la trinitaria
Delicata Civerra ed il crociato Fonzo Mastrangelo.
4 Al pittore oratinese Isaia Salati (1787-1864) fu
affidato mandato, anche dal Decurionato del suo paese natale, di rilevare nel
Real museo borbonico (presso cui risulta abbia lavorato come "impiegato")
il quadro.. o i quadri che sua maestà aveva deciso di donare alla chiesa madre
di Oratino. Egli riuscì ad ottenerne ben due che, però, non furono mai consegnati
e, successivamente, ironia della sorte, vennero riassegnati proprio alla
Santissima Trinità di Campobasso. Da un documento datato agosto 1827 si
apprende che le due opere erano una "Madonna del Rosario e Santi nel basso"
e "Madonna con Bambino ed i Santi Giovanni Battista e Pietro", ovvero
proprio la Madonna di Costantinopoli esposta nella Cattedrale del Capoluogo.
5 A costruzione ultimata la chiesa risultò più bassa
dell'antica, poco luminosa e, a giudizio di alcuni, squilibrata. Le critiche
furono numerose e feroci tanto che, secondo una tradizione non confermata,
avrebbero spinto il progettista Musenga al suicidio. Nulla però suffraga questa
ipotesi anche se è sicuramente inconfutabile che il Musenga, in quegli anni,
fosse estremamente assorbito e sfiancato dai tanti impegni lavorativi. Sarebbe
plausibile quindi un suo crollo psicofisico. Una tradizione orale, raccolta dal
pittore Amedeo Trivisonno, e da questi trasmessa all'arciprete don Pasquale
Pizzardi, narra che quando re Ferdinando II venne in visita ufficiale a
Campobasso (12/09/1832), dopo aver visitato la Santissima Trinità, avrebbe
esclamato con la sanguigna ironia che lo contraddistingueva, "agg' vist' 'a chiesa. Mi piace. Avit'
fatt' nu bell' scatulone per i cavalli". Molto probabile, però, che
tale racconto sia di pura fantasia e che le tante critiche in realtà celassero
il tentativo di damnatio memoriae ai danni di un personaggio, tanto amato
quanto odiato, ma di sicuro eccellente e qualificato progettista, qual fu
appunto Bernardino Musenga.
6 Il sacerdote Alfonso Filipponi (1785-1856), parroco di
San Leonardo, "fu uomo di grande
ingegno, letterato di specchiata fama, cultore delle muse e della filosofia,
che per oltre un trentennio insegnò nel Collegio Sannitico. L'essere stato
attaccato al vecchio regime borbonico, non gli ha fatto godere fra i
campobassani quella popolarità che altri, meno degni di lui hanno goduto.
Ottimo scrittore, purista ed abile porgitore fece si che fosse l'oratore ufficiale
di tutte le grandi circostanze. E fra i tanti elogi che recitò degnissimo di
nota è quello di Michelangelo Ziccardi." Fu anche autore di quattro
tragedia. "Merito non ultimo suo fu
l'esser stato il pioniere dell'insegnamento agricolo nella provincia, propugnando
nella Società Economica il progetto dell'insegnamento popolare agrario." (Angelo
Tirabasso).
7 "Carlo Pistilli fu arciprete di Campobasso dal 1874 al
1906. Istituì, con grandi sacrifici, l'asilo di mendicità, nell'antico convento
dei cappuccini inaugurato il 1880"
(Angelo Tirabasso)
Gentile Paolo questo articolo parla di Salvatore Melchionna, nonno del mio bisnonno, e Florindo Guacci, fratello di sua moglie Flavia. Io sto cercando di ricostruirne la genealogia a salire. Mi potrebbe aiutare? Come fare per contattarla i privato?
RispondiEliminaSono Fulvia
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