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lunedì 13 ottobre 2014

APPROFONDIMENTI ARALDICI SUGLI STEMMI CAMPOBASSANI DEI MOLISE E DEI MONFORTE - GAMBATESA.

APPROFONDIMENTI ARALDICI SUGLI STEMMI CAMPOBASSANI
DEI MOLISE E DEI MONFORTE - GAMBATESA.

di Paolo Giordano e Salvatore Scivales.


ARCHEO MOLISE
OTTOBRE DICEMBRE 2013





E’ opportuno coinvolgere ed interessare un pubblico sempre più vasto all’Araldica (Scienza del Blasone), una dottrina ancora incredibilmente attuale per lo studio della Storia e delle Società. Cogliamo l'occasione di farlo presentando un argomento utile ad approfondire la conoscenza degli stemmi feudali presenti sulle porte della cinta muraria della città di Campobasso.

“Altro stemma di altra famiglia vedesi sull’arco di porta San Paolo”. E’ così che abilmente aggira l’ostacolo Antonino Mancini (Mancini 1942). Identica è la scelta di Vincenzo Eduardo Gasdia (Gasdia 1960), seguito a ruota da padre Eduardo Di Iorio (Di Iorio 1978). Entrambi gli studiosi non si sbilanciano, né tantomeno si avventurano nel tentativo di giungere ad un’attribuzione: “sull’arco di porta San Paolo si può vedere un altro stemma, che non è né della municipalità né di casa Monforte”.
A provocare “un danno” è sicuramente il Touring Club (Touring Club 2005) che osa laddove altri si astennero. Nelle pagine riservate a Campobasso si legge: “porta San Paolo (stemma Monforte-Gambatesa)”.
stemma su Porta San Paolo
 a Campobasso
Nella certezza che fosse un’affermazione infondata, poiché ben altre erano le insegne di questi feudatari, restava, comunque, ignota la paternità dell’arme campobassana che nessuno degli autori citati descrive: “alla banda caricata di tre scudetti”, ovvero con una fascia obliqua contenente tre scudi e sormontata da una precisa data, cioè l’anno 1374.
Di Sicuro un’attenta ricerca nell’articolato mondo dei blasoni avrebbe consentito di pervenire molto prima alla sua corretta identificazione.
stemma coniugale
Monforte - Molisio
La traccia fondamentale per un’indagine storico-araldica è stata offerta dai lavori di consolidamento del Castello di Campobasso. Scrive l’allora soprintendente Mario Pagano (Mario Pagano 2006) che “nel 1991, durante lo smontaggio di una scarpa eretta a ridosso dell’originaria cortina quattrocentesca” furono rinvenuti frammenti di protomaiolica (antico prodotto meridionale in ceramica rivestita con smalto) e di vasellami. Su uno di questi ultimi c’è uno stemma coniugale con i simboli delle due famiglie. Lo sposo a destra (sinistra per chi guarda) “alla croce accantonata da 4 rose”, la sposa a sinistra (destra per chi guarda) “alla banda caricata da tre scudi”: lo stesso che domina da porta San Paolo! 
Fatte le debite riflessioni, aiutati dalla data e da altri dettagli come la grande “R”, che firma uno dei reperti del maniero, non si può che identificare gli sposi in Riccardo Gambatesa (se I o II ne ragioneremo in seguito) e Tommasella di Molisio, ultima rampolla della sua stirpe ad esser stata Signora di Campobasso. I discendenti di Rodolfo de Moulins si fregiavano, però, di una “sbarra di azzurro” senza alcun altro simbolo, ma il mondo dell’araldica è ben complesso, per cui nel corso dei secoli saranno intercorse chi sa quali variazioni, le cui cause sono tutte da scoprire.
Una curiosità da rilevare è la presenza in Campobasso di un altro manufatto simile a quello di porta San Paolo, però con “sbarra”, ubicato in vico I Sant’Andrea. Si tratta forse di un semplice errore del lapicida oppure esso era collocato su una struttura che presentava un elemento speculare, come lascerebbe supporre la sua particolare inclinazione.
stemma Vico Sant'Andrea
Campobasso
 Una conferma, infine, per tutto il nostro ragionamento si trova a Cercemaggiore, nel Convento di Santa Maria della Libera, ed è il noto stemma coniugale (Vannozzi, Miele 1980, Millemetri 2011) che “celebra” le nozze tra Alberico Carafa e Giovannella di Molise. Ancora una partitura con a “destra” le insegne del marito ed a “sinistra” quelle della moglie.
Al termine di questo processo deduttivo, quindi, asseriamo, senza tema di smentita che su porta San Paolo campeggia l’emblema dei Molise. Inoltre visitando, tra i tanti, il sito dell’archivio storico di Crotone ci si imbatte nell’antica famiglia aristocratica crotonese dei Nola de Molise avente “d’oro, alla banda “torchina” caricata da tre scudi”: in parole povere un vessillo identico a quello di donna Tommasella. 


stemma coniugale Cercemaggiore
 (foto Franco Valente)

A questo punto la naturale successiva fase di studio ci riconduce al di lei consorte. Chi era costui? Riccardo I o il nipote di questi, Riccardello, generato dalla figlia Sibilia? E di conseguenza lo stemma dei Monforte di Campobasso è realmente il “loro” oppure è, come da tempo sospettiamo, l’arme esclusiva della famiglia Gambatesa?
La famiglia Monforte, che vantava origini francesi (Monfort) esibiva “d’argento al leone d’azzurro tenente con le branche anteriori uno scudetto d’oro caricato di 5 code d’ermellino di nero”.  
Eppure in nessuna delle nostre Terre si trova un simile stemma. Nelle città che furono dei Monforte-Gambatesa, invece, è ripetutamente scolpita “la croce d’argento accantonata di rose su fondo d’oro” (Croce 2001) ovvero “di rosso alla croce scorciata di oro, accantonata da 4 rose dello stesso” (Padiglione 1914). 
Al di la dei “colori” il dato rilevante è che solo nel “Contado di Molise” risulta diffuso lo scudo con croce e rose. A Campobasso ve ne sono ben 4: Porta Sant’Antonio Abate, atrio del Comune (proveniente dalla distrutta Porta San Leonardo?), arco dell’ingresso sul ponte levatoio del Castello e pietre angolari inglobate nel torrione meridionale dello stesso. A Tufara se ne possono ammirare “uno sulla porta del centro storico ed uno sul campanile della locale parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo”(De Benedittis ne "Il Castello di Tufara" AA.VV. 1990).
Stemma Monforte Gambatesa
atri del comune di Campobasso
Infine a Santa Maria della Strada (Matrice) è conservata un’acquasantiera con scudo a testa di cavallo contenente l’oramai celebre croce accantonata. Necessiterebbe sicuramente “allargare” le ricerche, appurando, ad esempio, quali fossero le insegne di Federico Monforte detto Gambatesa, feudatario di Rocca d’Evandro, che nel 1528 osò ribellarsi a Carlo V (Gleijeses 1981). Quel suo castello fu preso dalle bande del Maramaldo ed il tesoro di Montecassino, ivi nascosto, divenne preda degli assalitori. Filiberto Campanile (Campanile 1610) ritiene, però, che costui non abbia relazione alcuna con i “nostri” Monforte Gambatesa.
Facendo un passo indietro stupisce alquanto che finanche lo “storico della Famiglia Monforte”, il vescovo illuminista Alessandro Maria Kalefati (Kalefati 1778), nella sua opera, riprodotta nel 2013 in copia anastatica, ignori le quattro rose in favore del “leone”.  
Non è da escludere che l’episcopo non abbia mai visitato il Molise. All’alto prelato fa eco, a distanza di più d’un secolo, il Trombetta che, in una sua famosa cartolina, affianca appunto il leone, con scudo e code d’ermellino, ad un ritratto del conte Cola (presumibilmente ispirato all’incisione ottocentesca del napoletano Carlo Biondi). 
cartolina trombetta
con ritratto del conte Cola e lo stemma
 "Monfort" di Francia

Il Masciotta (Masciotta 1914) nelle notizie feudali relative a Tufara tralascia totalmente il prenome Monforte: titolari ne furono i Gambatesa la cui signoria finì nel 1465. Per spiegare tale data egli rimanda alle vicende legate ai Gambatesa (poi Gambatesa-Monforte) conti di Campobasso e si riferisce alla cacciata di Nicola II (il conte Cola) da parte del re Ferrante.
Benedetto Croce (Croce 2001), più o meno volutamente spinge ad ulteriori riflessioni instillando il dubbio, poiché scrive quasi indistintamente di Gambatesa, Monforte e Monforte-Gambatesa. Il De Gingins, in un lavoro rimasto inedito (Croce 2001), negò che Cola di Campobasso fosse “di quella famiglia” (Monfort), perché in realtà era un Gambatesa, e che ne aveva preso il nome per rivendicare un’eredità da un “ramo” in via di estinzione. Ma “ciò non è esatto -ribatte Croce- perché il conte di Termoli, al quale si allude, era esso stesso un Gambatesa, e perché questi Gambatesa erano veramente dei Monforte, che, per essersi estinta la famiglia Gambatesa, avevano aggiunto al loro proprio un secondo cognome: Monforte alias Gambatesa, come si trovano chiamati”. Infatti Riccardo di Gambatesa (anni ‘70 del 1200 - 1326), “ostiario e familiare regio”, non ebbe figli maschi. Nominato tutore di Giovannuccio Monforte, maturò verso di lui un così profondo affetto da concedergli la mano della figlia Sibilia. Per salvare dall’estinzione il suo casato chiese ed ottenne, nel testamento, che il nipote Riccardello aggiungesse al proprio cognome quello materno: Riccardo II, figlio di Giovanni fu pertanto il primo Monforte-Gambatesa. Ciò lascia supporre, con ragionevole certezza, che venne fatta propria anche l’Arme di quell’antica ed importante schiatta.
ritratto del Conte Cola
(archivio Giovanni Fanelli)
 Per forza di cose eccoci di nuovo al matrimonio tra Tommasa e Riccardo i cui fasti furono impressi sulla ceramica oggi conservata nel Museo Sannitico. Tra i genealogisti regna una certa confusione. Per Croce e Gasdia egli era Riccardo II (Riccardello) e quindi si dovrebbero raccogliere altre “prove” per dimostrare che questi, oltre al “nomen”, avesse assunto anche il vessillo. Accettando invece la versione del Campanile, del Kalefati o del Masciotta (Campanile 1610, Kalefati 1778, Masciotta 1914), per i quali la figlia di Guglielmo de Molisio sposò Riccardo I, “l’insigne difensore di Genova ai tempi di re Roberto” d’Angiò, si è dinanzi al più classico dei sillogismi: lo sposo è il Gambatesa, lo stemma è il suo, “le quattro rose” sono esclusive dei Gambatesa. Tanto basterebbe per trarre delle conclusioni, ma continuando a consultare il vasto maremagnum offerto da internet si scopre che in Piemonte erano signori di Roure e consignori di Maria dei Gambatesa aventi “di rosso la croce scorciata, accantonata da quattro rose, il tutto d’oro”, così come anche riportato in Padiglione (Padiglione 1914). Potrebbe forse trattarsi di qualche discendente trasferitosi ai confini con la Francia? La croce è “scorciata”, cioè i quattro bracci, uguali, non toccano i lembi dello scudo mentre l’emblema Gambatesa-Monforte ha la croce piena, vale a dire che arriva a toccarne i bordi. Come per i Molise, però, non si può escludere si tratti di una variante generatasi nel tempo. Lo stesso Gasdia li cita tutti e due (Gasdia 1960) associandoli entrambi ai signori di Campobasso

Stemma Riccardo Gambatesa
(immagine Federico Bona)
In nostro favore, a fugare ogni dubbio, un testimone d’eccezione nella persona di Federico Bona, fondatore e gestore del sito “Blasonario della famiglie subalpine”. Egli, da noi interpellato, ha senza dubbi o incertezze tempestivamente risposto ad un nostro quesito: “i feudi di Roure e di Maria nel Nizzardo furono di Riccardo di Gambatesa Siniscalco di Piemonte”. Del resto approfondendo lo studio della sua biografia si constata che costui, oltre che giustiziere dell’Abruzzo Ulteriore, fu siniscalco di Folcarquier e di Provenza. Originaria di questa provincia era la nobile Caterina, con cui contrasse matrimonio, acquisendo un sempre più saldo legame con quell’area geografica.
Una doverosa osservazione è che solo con Nicola II “Monforte Gambatesa Molise De Cabannis” (Gasdia 1960) scompaiono in via definitiva tutti gli altri cognomi. Probabilmente perché il conte Cola, personaggio tanto grande quanto ambizioso, l’unico a poter reggere il confronto con il suo illustre avo, cercò di nobilitare ancor più la sua origine ricollegandosi ai Monfort (francesi) elidendo, ingiustamente, il cognome Gambatesa che comunque non era davvero secondo a nessuno. Tanta fu, infatti, la fama di Riccardo di Gambatesa, conosciuto quale virtuoso e “savio signore”, vincitore in battaglia dei Savoia e dei Visconti, che in qualità di vicario (viceré) difese con somma abilità bellica, ed elevate capacità di comando, Genova da un assedio che il Villani (http://www.treccani.it/enciclopedia/riccardo-gambatesa_(Dizionario-Biografico) non esitò a paragonare a quello di Troia.
Lo stemma dei Monforte di Campobasso, quindi, non è il blasone di un ramo cadetto e, pertanto di minor lignaggio, di una discendenza d’oltralpe, bensì è la firma lasciata nella Storia da una Famiglia tutta Molisana, quella dei Gambatesa, che la Storia stessa ha contribuito a scrivere.



Si ringraziano Franco Valente e Stefano Vannozzi per le piacevoli chiacchierate, i preziosi suggerimenti e gli amichevoli nonché stimolanti dissensi. I costruttivi confronti con i due studiosi hanno, anche se indirettamente, contribuito alla la genesi di questa nostra riflessione.


Bibliografia:

AA.VV., 1990, Il Castello di Tufara, Lanciano.
AA.VV., 2011, Millemetri, la rivista di Cercemaggiore n° 2, Cercemaggiore.
Croce, Benedetto. Ristampa 2001. Croce: Cola Di Monforte, conte di Campobasso, Campobasso.
Padiglione Carlo. 1914, Trenta Centurie di Armi gentilizi, Napoli.
Di Iorio, Eduardo. 1978, Campobasso itinerari di storia e di arte, Campobasso.
Filiberto Campanile. 1610, L’armi, overo insegne de’ nobili, Napoli.
Gasdia, Vincenzo Eduardo Gasdia. 1960, Storia di Campobasso, volume II, Verona.
Gleijeses, Vittorio, 1981, Castelli in Campania, Napoli.
Kalefati, Alessandro Maria. 1778, Dissertazione istorico-critica della famiglia Monforte dei conti di Campobasso, Napoli.
Mancini, Antonino. 1942, Campobasso nel 1742, Campobasso.
Masciotta, Giambattista. 1914,: Il Molise  volume II, Napoli.
Miele, Michele. 1980, La chiesa del Convento di Santa Maria della Libera di Cercemaggiore,
Napoli
Pagano, Mario. 2006, Il più antico pavimento di piastrelle in protomaiolica nel regno di Napoli dal castello di Campobasso, di Riccardo II Gambatesa Monforte, Campobasso.
Touring Club Italiano. 2005, Abruzzo e Molise vol n°22, Milano.


Sitografia:

http://www.archiviostoricocrotone.it/doc/nola_molise.html

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