Pensieri



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martedì 9 aprile 2013

Porta San Paolo a Campobasso, svolta decisiva nelle indagini per l'attribuzione dello stemma. L'emblema appartiene inconfutabilmente alla Famiglia de Molisio.


Il Quotidiano del Molise
del 03/12/2011


di Paolo Giordano


Cercemaggiore il Castello
(Orfanotrofio "Mater Orphanorum")
Lo stemma di porta San Paolo a Campobasso, per secoli non attribuito a nessuna famiglia nobiliare, appartiene ai de Molisio
Già nel maggio 2010 sostenemmo, con convinzione ed argomentazioni, che quelle sono le insegne dei discendenti di Rodolfo de Moulins. Tale interpretazione non fu da tutti condivisa. 
Eppure si deve proprio all’architetto Franco Valente (all’epoca non del tutto convito dal nostro “ragionamento”) una svolta decisiva nelle “indagini”. Con l’indiscutibile correttezza dello studioso, pur se in “conflitto” con le sue iniziali convinzioni, ci ha segnalato un emblema presente nel convento di Cercemaggiore. 
Stemma coniugale
Alberico Carafa-Giovannella di Molise
Si tratta di uno stemma partito verticalmente che testimonia un’unione coniugale. 
Il Lui, a sinistra per chi guarda, è certamente un Carfa. La Lei, come nel caso di Campobasso, si fregiava di un blasone con tre scudetti su banda. Gli sposi sono Alberico Carafa e Giovannella, figlia ed erede di Paolo di Molise. A lei, già sposa, nel 1478 il re Ferrante d’Aragona affidò il borgo di “Cerca Maggiore”. Il feudo rimarrà poi a lungo tra i possedimenti dei Carafa.
La chiesa di Santa Maria della Libera, in Cercemaggiore, edificata dal 1412, anno del ritrovamento della preziosa statuetta lignea, subì gravi danni a seguito del terremoto del 15 dicembre 1456.
Probabilmente qui si unirono in matrimonio i due nobili o, a testimonianza del loro impegno nella ricostruzione, lasciarono semplicemente una “firma”. Infatti è stata tramandata ai posteri la benevolenza dei Carafa verso la chiesa ed il convento, nonché il loro prodigarsi nel porre riparo ai danni causati dal cataclisma. Ulteriori indagini sapranno spiegarci il perché della presenza in loco del simbolo coniugale. 
Quel che adesso importa è evidenziare che si conferma inconfutabilmente l’attribuzione del non più misterioso scudo incastonato su porta San Paolo a Campobasso.


lo stemma su Porta San Paolo a Campobasso






Cercemaggiore
"Il Castello"

Cercemaggiore Torre di Caselvatica

lunedì 8 aprile 2013

Nicola II di Monforte in un'incisione ottocentesca di Carlo Biondi. Ma quali erano le sembianze del conte Cola? Un don Rodrigo dal volto poco rassicurante o un affascinante giovane in armi dai fluenti capelli corvini?

Il Quotidiano del Molise
del 08 aprile 2013

di Paolo Giordano

In Santa Maria Maggiore, “l’antica Santa Maria del Monte situata sulla vetta del colle, si conservano due tele con la “Sacra Famiglia” e la “Annunciazione” sulle quali, fra gli oranti, si crede siano raffigurati alcuni membri della famiglia feudale del tempo”. A questa descrizione di Giambattista Masciotta fa eco Vincenzo Eduardo Gasdia scrivendo che “nella chiesa di Santa Maria Maggiore si conservava una sacra conversazione con Vergine e putto tra sante. A’ piedi emerge dalla tela in atto di rivolgersi all’osservatore la testa ed il collo d’un don Rodrigo (in vesti di velluto) dal colletto di merletto bianco: dicono che sia il ritratto del conte Cola che per sua devozione fece dipingere il quadro per la cappella del castello, e dicono pure che le donne della tela riproducono le sembianze di persone della famiglia comitale: cinque almeno!”
Cartolina del Trombetta
Il Campobasso, com’egli era chiamato dalle genti oltramontane, avrebbe avuto un viso poco rassicurante. Nessun afflato mistico e, con occhio scrutatore, guardava il pubblico invece dei santi. Dimostrava poco più di 30 anni, mustacchi e pizzetto tendenti al nero, labbra carnose, espressione arcigna e volitiva, fisico asciutto ed incarnato abbronzato: un vero guerriero.
Apparentemente dissimile la figura tramandataci dal Trombetta. In una nota cartolina datata 23/04/903 appare il profilo di un giovane in armi, con lunghi capelli cadenti sulle spalle. Il suo un volto bello, fiero ed indomito ma di “maniera”, che ricorda gli stereotipi del mondo classico, rispondendo ai gusti estetici del tempo. 
Di questo disegno, stranamente,  non si trova riproduzione né nel lavoro del Gasdia, né in quello del Croce (autorevole studioso e conoscitore del Monforte-Gambatesa). E’ probabile che entrambi abbiamo ritenuto di pura fantasia tale opera e, quindi, storicamente poco attendibile.
E’ grazie ad un altro appassionato cultore della materia, che si è pervenuti ad un’interessante “scoperta”. 
Nella biblioteca personale di Giovanni Fanelli, titolare di “Scripta Manent” (ovvero il chiosco dei libri in piazza Pepe a Campobasso) è stato possibile consultare un estratto della “Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli, ornata de loro rispettivi ritratti”, compilata da diversi letterati ed edita (dal 1822) da Nicola Gervasi, “mercante di stampe”. Carmine Modestino da Paterno è autore della scheda sul conte “Niccola II di Campobasso”. Ad arricchire i volumi le incisioni raffiguranti i vari personaggi, realizzate da Carlo Biondi, artista italiano attivo nella Napoli del XIX secolo. 
Incisione ottocentesca di Carlo Biondi
(archivio Fanelli)
Cola di Monforte appare proprio così come lo ha immortalato il Trombetta. Stessa anche la didascalia: VII ed ultimo Conte di Campobasso. 
Il Biondi, però, grazie anche alla differente tecnica, riesce forse a  tramandarci meglio i tratti somatici di un autentico condottiero, rude quanto occorre, conoscitore del mondo e dell’arte della guerra. Virile nell’accezione più nobile del termine, cioè uomo valoroso e forte, portatore di principi antichi. 
Quale fu la fonte d’ispirazione? 
La risposta potrebbe fornircela il ritrovamento di quel dipinto che il Gasdia vide agli inizi del 1900 e che già all’epoca era in deperimento. Esso sarà sicuramente andato perso o distrutto. 
Pare che l’arciprete Tarantino non l’abbia portato in Cattedrale, insieme agli altri arredi, durante il trasferimento dalla chiesa dei Monti, abbandonandolo al suo infausto destino. 
Ma, poiché “spes ultima dea”, ci auguriamo che in qualche deposito o sacrestia ci sia ancora quella “sacra conversazione” di cui, come sostiene l’autore di “Storia di Campobasso”, sarebbe determinante stabilire la data di realizzazione. Traendo “conforto da quella, potremmo veramente dire di possedere il ritratto, quanto alla testa, dell’infelice capitano del Molise, conte di Campobasso e sire di Commercy.”

venerdì 5 aprile 2013

VIDERO E CREDETTERO: LA BELLEZZA DI ESSERE CRISTIANI. Al "Circolo Sannitico" di Campobasso la Mostra itinerante ideata e prodotta da ITACA.


Il Quotidiano del Molise
del 04 aprile 2013

di Paolo Giordano


Giovanni e Pietro
(Eugène Burnard)
Maria di Màgdala si recò da Simon Pietro e Giovanni dicendo: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro”. I due si recarono al sepolcro. Giovanni giunse per primo, ma non entrò. Giunse anche Simon Pietro che entrò e vide le bende per terra e il sudario, che era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo, e vide e credette.
E’ questo l’episodio a cui si ispira il titolo della mostra itinerante ospitata nel Circolo Sannitico di Campobasso dal quattro all’undici aprile 2013. “Videro e credettero: la bellezza di essere cristiani”, ideata e prodotta da Itaca (società di servizi per cultura e spettacolo) e patrocinata dal Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione (con la concessione del logo dell’Anno della Fede), ha già attraversato l’intera Penisola, dalla Lombardia alla Sicilia, “fermandosi” in più di 300 siti. 
Giovedì quattro, alle ore 18,00, presente l’arcivescovo metropolita mons. Bregantini, anche ai campobassani sarà offerta la possibilità di seguire il coinvolgente percorso costituito da ben 32 pannelli. 
Non è una semplice esposizione, bensì l’autentico cammino dell’Uomo alla ricerca di Dio attraverso un percorso iconografico la cui traiettoria va appunto dal vedere” al “credere”. Fattore decisivo è l’ausilio di “guide” che accompagnino i visitatori. E’ infatti disponibile un servizio di visite guidate per meglio “attraversare” le 5 sezioni in cui è suddivisa la mostra: 1) Un mondo dopo Gesù e senza Gesù. 2) L’antefatto: il cuore dell’uomo. 3) Il fatto: Gesù di Nazareth. 4) Il riconoscimento. 5) Gesù, nostro contemporaneo.
 San Giovanni riposa
sul Petto di Cristo
(maestro Heinrich di Costanza
dal catalogo della Mostra)
Chi è realmente questo Gesù? Solo un grande uomo del passato o una personalità unica ed attuale che parla al cuore dell’uomo? Partendo da un mondo senza Cristo, ricco di aridi deserti interiori, si scopre l’anelito dell’uomo stesso verso l’infinito. Anche i più colti ed i “tecnologici” avvertono la necessità di colmare un’insopportabile vuoto spirituale. Il passo successivo è il riconoscere l’eccezionalità del Figlio di Dio che da 2000 anni si dona incondizionatamente. Che altro fare se non abbandonarsi completamente a colui che, unico, ha parole di Vita Eterna? 
La conclusione, dopo aver trovato risposte non solo “emotive”, ma soprattutto razionali, è in un Presente dove regna il Risorto, vincitore del male e della morte. Un Dio, nostro contemporaneo, pienamente in comunione con i santi, veri protagonisti della trasformazione del Mondo, all’interno dell’esperienza e della realtà della Chiesa, segno e sacramento di salvezza per tutti.
Pittura, scultura cinema, architettura, natura… la Bellezza incarna Gesù ed il suo messaggio.
Le immagini parlano, delineando un itinerario contemplativo. Quando c’è chiusura al Verbo traspare tutta la povertà della visione di un mondo che, incapace di generare vera bellezza, respinge il suo Creatore. 
Ma la vera arte è uno strumento di evangelizzazione che ci conduce a Dio, permettendoci di morire con Gesù e con lui risorgere in una vita nuova, lieta e bella. Tale sarà non per mancanza di durezza, ma perché in essa si riconoscerà, comunque, la presenza della Luce.
Valido sussidio è il catalogo/guida che condensa (per quanto possibile) questa meravigliosa Storia della Salvezza attraverso riflessioni, meditazioni, preghiere e soprattutto pregevoli immagini di quell’Arte che “genera opere destinate ad essere eterne. Non certo l’arte effimera del culto di sé, tipico di questa nostra società” (don Francesco Braschi).