"Il documento fotografico arricchito del colore avvicina -coinvolgendo i sensi e le emozioni- ai volti, ai luoghi, alla distruzione ed alla cruda sofferenza" (dal catalogo della Mostra).
Parte seconda
Paolo Giordano
Fermo restando quanto premesso, ma nella piena consapevolezza che la tragicità della guerra si potesse avvertire anche mediante il colore, durante il primo conflitto mondiale furono commissionate numerose fotografie policrome, destinate sia agli archivi che alla propaganda.
L'intento era forse quello di far percepire le vicende belliche come qualcosa di tragicamente attuale, nonché vicino, e non come la narrazione di un evento che si sta svolgendo altrove.
L'intento era forse quello di far percepire le vicende belliche come qualcosa di tragicamente attuale, nonché vicino, e non come la narrazione di un evento che si sta svolgendo altrove.
Le immagini esposte nella Mostra campobassana, rese ancor più suggestive dalla retroilluminazione, sono da ritenersi autentiche opere d'arte. Tutte, indistintamente, hanno ispirato variegate emozioni e sensazioni in quanti le hanno ammirate, rendendo quasi impossibile scriverne in maniera esaustiva. L'esperienza dai più condivisa è sicuramente quella di aver viaggiato in uno spazio senza tempo, reso ancor più irreale proprio dal vedere a colori un'epoca, non solo lontana ma che, essendo in stato di guerra doveva essere obbligatoriamente in bianco e nero. La sovversione, quasi rivoluzionaria, di quanto sancito dalle regole della fotografia proietta il visitatore in una dimensione onirica, seducente e affascinante, attraverso cui entrare nella Storia. Ci si ritrova quasi in un'esperienza medianica di transfert, in una condizione empatica con i personaggi ritratti, a loro volta fluttuanti in una condizione di atemporalità. I volti fotografati sembrano a noi contemporanei! I giovani senegalesi delle truppe coloniali francesi, oltre a far trapelare una simpatica vitalità (è ironico quel pettine infilato tra i capelli?) sono resi ancor più attuali dalle tristi vicende dei tanti che, partendo anche da terre che hanno conosciuto il giogo europeo, intraprendono viaggi della speranza alla ricerca di una vita migliore.
Le espressioni tese, gli occhi impauriti, i pigli fieri e dignitosi, gli sguardi sgomenti o sorpresi dei giovani prigionieri (di entrambi gli schieramenti) fanno dimenticare la loro appartenenza nell'apparire tra loro fratelli, figli di uno stesso dio minore. Ibernati nella loro giovane età, ispirano un sentimento di tenerezza che induce a dimenticare come tra essi potrebbe celarsi addirittura qualche avo dei visitatori.
Dormi sepolto in un campo di grano…
Come l'Alighieri nell'Inferno della sua Commedia, definita Divina, fu guidato dallo spettro di Virgilio, così il pubblico della Mostra sembrerebbe venir condotto negli inferi della Grande Guerra dal suono delle canzoni di Fabrizio de Andrè.
Non si hanno prove che il cantautore genovese abbia avuto modo di ammirare queste autocromie, eppure in "Trincea francese" (1916) sono proprio dei papaveri rossi "a far veglia dall'ombra dei fossi" (La Guerra di Piero, 1964). Chi sa quanti Pierre erano presenti tra soldati che, incuriositi ("fintamente" se si considerano i tempi necessari ad uno scatto) osservano l'obiettivo, facendo capolino dai loro rifugi scavati in trincea.
Le espressioni tese, gli occhi impauriti, i pigli fieri e dignitosi, gli sguardi sgomenti o sorpresi dei giovani prigionieri (di entrambi gli schieramenti) fanno dimenticare la loro appartenenza nell'apparire tra loro fratelli, figli di uno stesso dio minore. Ibernati nella loro giovane età, ispirano un sentimento di tenerezza che induce a dimenticare come tra essi potrebbe celarsi addirittura qualche avo dei visitatori.
Dormi sepolto in un campo di grano…
Come l'Alighieri nell'Inferno della sua Commedia, definita Divina, fu guidato dallo spettro di Virgilio, così il pubblico della Mostra sembrerebbe venir condotto negli inferi della Grande Guerra dal suono delle canzoni di Fabrizio de Andrè.
immagine dal catagolo Mostra |
In una delle sale della Galleria è stata allestita, dal Centro per la Fotografia Vivan Maier, un'area in cui poter affiggere liberamente, in un'ottica di sinergica condivisione e di fattiva interazione, ogni tipo di testimonianza (lettere, cartoline e documenti) sul periodo del conflitto.
L'obiettivo, pienamente raggiunto, senza alcun condizionamento interpretativo ma solo con prove documentali, ha permesso un'ampia riflessione sui fatti e su coloro che ne furono protagonisti, sia immolandosi quale carne da cannone, sia mandando al macello migliaia di vittime, il cui sangue dissetò le aride zone di guerra.
Massimo Vitale. Con l'animo che vince ogni battaglia - I molisani nella grande Guerra (1917-1918). Enzo Nocera Editor. Campobasso, 2007.
Guardando i fotodipinti di uomini, donne, bambini, fantaccini, ufficiali, soldati impegnati nelle più svariate attività, prigionieri, conquistatori, corteggiatori, medici, moribondi e morti… il Virgilio si domanda "dove sono i generali, che si fregiarono nelle battaglie, con cimiteri di croci sul petto?" (La Collina, 1971). Sembrerebbe, però, che i graduati siano stati deliberatamente omessi… vi è solo un romantico capitano francese, in una tenuta tutt'altro che da battaglia, che posa per gli intervenuti in rappresentanza di tutta la categoria.
GiuseppeSerpone, soldato 212 Fanteria 1° reparto Zappatori zona di guerra
In questa stanza delle memoria si racconta, attraverso il rapporto epistolare con la consorte M. Antonia
Cofelice, la vicenda del giovane Giuseppe Serpone da Toro, strappato ai suoi affetti, trascinato lontano dalla sua terra, per combattere una guerra di cui ben poco comprendeva. Rende ancora più tragica la sua storia, il parallelismo con le lettere che il Generale Luigi Cadorna, Capo di Staro Maggiore dell'esercito italiano, scambiò con la propria moglie. Alle semplici ma concrete riflessioni del soldato Giuseppe, fanno da controcanto, quale rovescio della stessa medaglia, le parole della più alta carica militare di quel momento storico.
Da un lato la non consapevolezza di cosa riservasse il futuro, la meraviglia dinanzi alla scoperta del mondo, "montagne così alte non ho visto mai", la fame, la fatica, il desiderio di tornare a casa, lo sgomento per la diserzione di un compaesano, il dolore per aver appreso della morte del cognato, l'attesa di una licenza, il bisogno di denaro per i francobolli e per il pane "… di più voi mi dite come me la passo in questa parte? Io vi dico che me la passo come Iddio vuole, che se io vi mande a dire qualche cose voi non lo credete e per questo e meglio che non vi mando a dire niente, che se il buon Iddio me la franco la pelle quando ritorno allora vi acconterò tutte le passione, ma non tutte però se no ve ne andate col cervello".
La furia della battaglia e la convivenza quotidiana con la morte diventano delle costanti nei pensieri di Giuseppe "07/09/1916… la giornata della assunta io mi trovavo in prima linea, e il giorno seguente fui anche ferito con una pallottola nella testa… ma fortuna che ciaveva il cappello di ferro e la pallottola andò strisciando e mi ferì dentro il collo e debbo ringraziare ad Iddio, e alla vergine dell'Assunta che forse ella non volle, a pure mio destino non è fatto per moriri in guerra".
Purtroppo, invece, il ventunenne Serpone morì il sette luglio 1917 a Plezzo, sul Carso, per le ferite riportate in combattimento colpito da una pallottola esplosiva. Riposa nel Sacrario Militare Italiano di Caporetto.
Il cognato Mercurio Cofelice (14/02/1889-27/06/1916), soldato del 4° Reggimento Bersaglieri, era in precedenza deceduto pugnando sul Monte Mrzli.
Dall'altro la visione "eroica" di un militare di professione che, pur rammaricandosi paternalisticamente per le giovani vite spezzate, lascia trasparire tutta l'enfasi di chi è fermamente convito che il suo dovere consista principalmente nell'offrire, con gesto incondizionato, la propria esistenza alla patria ed al re. Egli si compiace delle magnifiche truppe, piene di entusiasmi e di eroico slancio. Per il generale la morte in battaglia è gloriosa e quale miglior sepoltura potrebbe esservi, qualora effettuata in fosse comuni, se non tra le ossa dei compagni d'arme eroicamente caduti?
Entusiasta dei guerrieri pronti al sacrificio e desiderosi di abbandonare i letti d'ospedale per riprender le armi; sprezzante con i codardi, pronto a stupirsi come un bimbo per i tributi di affetto del popolo, affascinato dalla maestosità della natura "ieri mattina bellissima escursione sulle alture conquistate sulla destra dell'Isonzo. Si sentiva tuonare, in lontananza. Il cannone di una batteria austriaca". Rigoroso nel rifiutare licenze e favoritismi "al figlio del custode", raccomandatogli ripetutamente dalla moglie a cui non disdegna, però, di raccontare note di costume "pranzammo dal re nella sua molto modesta villa. Si direbbe che Sua Maestà simuli la semplicità".
Almeno dagli scritti si direbbe uomo saggio e riflessivo "Stamane andai sull'altipiano di Asiago al monte Lemerle, ultimo punto che fu furiosamente attaccato dal 15 al 18 agosto, Che spettacoli orrendi! C'erano molti cadaveri ancora da seppellire. Oh la guerra! E pensare che si potrebbe rimaner tutti tranquilli in pace se gli uomini non fossero sempre invasi dal prurito di prendersi la roba degli altri!".
Comunque sia il maresciallo d'Italia Luigi Cadorna, sul quale ognuno trarrà le personali valutazioni, morì a 78 anni a Bordighera, nella "Pensione Jolie", poi divenuta "Hotel Britannique", il 21/12/1928 per cause naturali.
GiuseppeSerpone, soldato 212 Fanteria 1° reparto Zappatori zona di guerra
In questa stanza delle memoria si racconta, attraverso il rapporto epistolare con la consorte M. Antonia
G. Serpone (fonte Internet) |
Da un lato la non consapevolezza di cosa riservasse il futuro, la meraviglia dinanzi alla scoperta del mondo, "montagne così alte non ho visto mai", la fame, la fatica, il desiderio di tornare a casa, lo sgomento per la diserzione di un compaesano, il dolore per aver appreso della morte del cognato, l'attesa di una licenza, il bisogno di denaro per i francobolli e per il pane "… di più voi mi dite come me la passo in questa parte? Io vi dico che me la passo come Iddio vuole, che se io vi mande a dire qualche cose voi non lo credete e per questo e meglio che non vi mando a dire niente, che se il buon Iddio me la franco la pelle quando ritorno allora vi acconterò tutte le passione, ma non tutte però se no ve ne andate col cervello".
La furia della battaglia e la convivenza quotidiana con la morte diventano delle costanti nei pensieri di Giuseppe "07/09/1916… la giornata della assunta io mi trovavo in prima linea, e il giorno seguente fui anche ferito con una pallottola nella testa… ma fortuna che ciaveva il cappello di ferro e la pallottola andò strisciando e mi ferì dentro il collo e debbo ringraziare ad Iddio, e alla vergine dell'Assunta che forse ella non volle, a pure mio destino non è fatto per moriri in guerra".
Purtroppo, invece, il ventunenne Serpone morì il sette luglio 1917 a Plezzo, sul Carso, per le ferite riportate in combattimento colpito da una pallottola esplosiva. Riposa nel Sacrario Militare Italiano di Caporetto.
Il cognato Mercurio Cofelice (14/02/1889-27/06/1916), soldato del 4° Reggimento Bersaglieri, era in precedenza deceduto pugnando sul Monte Mrzli.
Dall'altro la visione "eroica" di un militare di professione che, pur rammaricandosi paternalisticamente per le giovani vite spezzate, lascia trasparire tutta l'enfasi di chi è fermamente convito che il suo dovere consista principalmente nell'offrire, con gesto incondizionato, la propria esistenza alla patria ed al re. Egli si compiace delle magnifiche truppe, piene di entusiasmi e di eroico slancio. Per il generale la morte in battaglia è gloriosa e quale miglior sepoltura potrebbe esservi, qualora effettuata in fosse comuni, se non tra le ossa dei compagni d'arme eroicamente caduti?
Entusiasta dei guerrieri pronti al sacrificio e desiderosi di abbandonare i letti d'ospedale per riprender le armi; sprezzante con i codardi, pronto a stupirsi come un bimbo per i tributi di affetto del popolo, affascinato dalla maestosità della natura "ieri mattina bellissima escursione sulle alture conquistate sulla destra dell'Isonzo. Si sentiva tuonare, in lontananza. Il cannone di una batteria austriaca". Rigoroso nel rifiutare licenze e favoritismi "al figlio del custode", raccomandatogli ripetutamente dalla moglie a cui non disdegna, però, di raccontare note di costume "pranzammo dal re nella sua molto modesta villa. Si direbbe che Sua Maestà simuli la semplicità".
Almeno dagli scritti si direbbe uomo saggio e riflessivo "Stamane andai sull'altipiano di Asiago al monte Lemerle, ultimo punto che fu furiosamente attaccato dal 15 al 18 agosto, Che spettacoli orrendi! C'erano molti cadaveri ancora da seppellire. Oh la guerra! E pensare che si potrebbe rimaner tutti tranquilli in pace se gli uomini non fossero sempre invasi dal prurito di prendersi la roba degli altri!".
Comunque sia il maresciallo d'Italia Luigi Cadorna, sul quale ognuno trarrà le personali valutazioni, morì a 78 anni a Bordighera, nella "Pensione Jolie", poi divenuta "Hotel Britannique", il 21/12/1928 per cause naturali.
Lo stesso identico umore... ma la divisa di un altro colore
Le immagini in mostra nascono con scopi propagandistici e di cronaca, pur se tutte ugualmente sono da ritenersi autentiche produzioni artistiche anche grazie al colore che indiscutibilmente dona loro un valore aggiunto.
Le ambientazioni e gli abbigliamenti trasmettono una sensazione di quasi normalità. Necessita la giusta attenzione per identificare le nazionalità, distinguendo i buoni dai cattivi. Ci si trova spesso semplicemente al cospetto di uomini accomunati da molteplici occupazioni tutt'altro che di natura bellica. Sembra che la guerra assuma una dimensione umana, a tratti cavalleresca, in cui il nemico si sente investito del dovere di curare e assistere lo sconfitto, una volta che questi è divenuto un inerme prigioniero… e lo Spirito Guida torna a cantare "La Guerra di Piero" dove solo la divisa fa la fondamentale, ed irreversibile, differenza. Il nemico uccide per paura non per odio: "Quello si volta, ti vede e ha paura/ Ed imbracciata l'artiglieria/ Non ti ricambia la cortesia".
Nel percorso espositivo non si trasmette, quindi, alcun messaggio precostituito, né, come per la Sala della memoria, si vuole influenzare l'osservatore. Egli deve solo ascoltare ciò che le immagini gli suscitavano nel più profondo dell'animo.
Le Caporal Langelé
Le ambientazioni e gli abbigliamenti trasmettono una sensazione di quasi normalità. Necessita la giusta attenzione per identificare le nazionalità, distinguendo i buoni dai cattivi. Ci si trova spesso semplicemente al cospetto di uomini accomunati da molteplici occupazioni tutt'altro che di natura bellica. Sembra che la guerra assuma una dimensione umana, a tratti cavalleresca, in cui il nemico si sente investito del dovere di curare e assistere lo sconfitto, una volta che questi è divenuto un inerme prigioniero… e lo Spirito Guida torna a cantare "La Guerra di Piero" dove solo la divisa fa la fondamentale, ed irreversibile, differenza. Il nemico uccide per paura non per odio: "Quello si volta, ti vede e ha paura/ Ed imbracciata l'artiglieria/ Non ti ricambia la cortesia".
Nel percorso espositivo non si trasmette, quindi, alcun messaggio precostituito, né, come per la Sala della memoria, si vuole influenzare l'osservatore. Egli deve solo ascoltare ciò che le immagini gli suscitavano nel più profondo dell'animo.
Le Caporal Langelé
Nella disposizione delle foto, tra operazioni tecnico-belliche, scene di quotidianità, distruzione e ricostruzione, partenze e ritorni, bambini che giocano alla guerra, guerrieri stupiti come bimbi, amore,
odio e morte, potrebbe ravvisarsi un itinerario ascetico, che rimanda al progetto divino della redenzione. La prima foto in assoluto raffigura delle donne, operaie in una fabbrica francese di aerei, tra loro se ne distingue una con un fazzoletto dal mistico colore azzurro sul capo. Partendo da questa novella Maria/Eva il susseguirsi dei lightbox conduce, attraverso un irrefrenabile crescendo, fino all'ultima foto, posta fisicamente in alto, alla fine di una scalinata, adagiata su delle lastre in pietra simboleggianti un sepolcro. Essa consegna ai posteri le spoglie martoriate del caporale Langelé, il corpo esanime, completamente nudo, adagiato nella sua miseria umana su un lenzuolo e sorretto da un occasionale catafalco. Un povero cristo sulle cui mani sembra quasi di vedere i fori dei chiodi... un Cristo, simbolo del genere umano immolato in quell'inutile strage,
per il quale, però, non è prevista alcuna resurrezione: "Dove i figli della guerra/ partiti per un ideale/ per una truffa, per un amore finito male/ hanno rimandato a casa/ le loro spoglie nelle barriere/ legate strette perché sembrassero intere." (La Collina, 1971).
Vestitini rossi... i bimbi e la Guerra!
Nel film "Schindler's List" di Steven Spielberg è contenuta una celebre scena che lascia indelebile memoria di sé nell'animo dello spettatore. Essa può essere annoverata tra i più noti ed affascinati esempi dell'uso in contemporanea del bianco e nero e del colore. Una bimba con un cappotto rosso cammina, come presenza atemporale, tra deportati e aguzzini rigorosamente in bianco e nero. Il suo cappottino si rivedrà, spegnendo ogni speranza del pubblico in sala, in un cumulo di cadaveri!
In "14-18 La Guerra a Colori" è individuabile una sezione a parte riguardante proprio i bambini. In realtà si tratta di poche, ma significative foto, il cui forte effetto propagandistico sfugge di primo acchito in virtù del candore dei soggetti ritratti. Ne è protagonista un bambino che indossa, imprevedibile coincidenza, un vestitino rosso!immagine dal catagolo Mostra |
per il quale, però, non è prevista alcuna resurrezione: "Dove i figli della guerra/ partiti per un ideale/ per una truffa, per un amore finito male/ hanno rimandato a casa/ le loro spoglie nelle barriere/ legate strette perché sembrassero intere." (La Collina, 1971).
Vestitini rossi... i bimbi e la Guerra!
Nel film "Schindler's List" di Steven Spielberg è contenuta una celebre scena che lascia indelebile memoria di sé nell'animo dello spettatore. Essa può essere annoverata tra i più noti ed affascinati esempi dell'uso in contemporanea del bianco e nero e del colore. Una bimba con un cappotto rosso cammina, come presenza atemporale, tra deportati e aguzzini rigorosamente in bianco e nero. Il suo cappottino si rivedrà, spegnendo ogni speranza del pubblico in sala, in un cumulo di cadaveri!
immagine dal catagolo Mostra |
Il soldatino, perfetto ed agguerrito milite francese, è ora guardia d'onore alla consegna di onorificenze ai suoi piccoli commilitoni, ora cattura, ardito guerriero, un perfido nemico, infine asso dell'aviazione abbatte, dopo un impegnativo duello aereo, un monoplano con le insegne germaniche.
Il combattimento aeronautico, oltremodo suggestivo tanto da essere divenuto una delle immagini simbolo della Mostra, è ovviamente da ritenersi tutt'altro che spontaneo. Dalla cura dei particolari trapelano studio preliminare ed artificio scenico, prevalentemente in considerazione delle difficoltà tecniche che s'incontravano nel produrre uno scatto a colori. E' da ritenersi innegabile che, nella sua apparente innocenza, tale composizione sia risultata maggiormente incisiva nel rendere "giusta" quella guerra, molto più di quanto vi saranno riuscite le tante scene di devastazione, dolore e pianto tramandate ai posteri.
La ragazza di Reims
Ben diverse e meno ciniche le suggestioni ispirate dalla fotografia dal laconico titolo "Ragazza" – Reims, Francia 1917, opera di Fernand Cuville.
E' il ritratto, in una giornata assolata, di una bambina, seduta su uno zaino militare, con in braccio una bambola. Accanto a lei un altro zaino e tre fucili. Alle sue spalle negozi di generi alimentari, si distinguono cacciagione ed ortofrutta. Assale il sospetto che i proprietari di quel materiale di morte siano in luoghi di piacere fuori dalla scena. La piccola, dall'aspetto serafico e dallo sguardo malinconico, abbraccia con dolcezza la sua bambola, accudendola amorevolmente e sognando quella serenità che le hanno brutalmente strappato. Intorno lutti, desolazione, odio, sangue, ma soprattutto la brama di appagare i propri bisogni carnali, fame o sesso che siano.
Oltre all'analisi visiva, viene da chiedersi cosa realmente intendesse comunicare l'autore che, come ampiamente ribadito, non poté certo procedere ad un rapido scatto, dovendo preparare accuratamente la scena, che, al pari di un dipinto, risulta comunque un'opera d'arte.
Lo scopo principale era di rispondere ad un'esigenza di cronaca, ma perché escludere che Cuville intendesse parlare anche di amore? Un sentimento puro ed avvolgente di cui la Ragazza, ancor bambina, aveva fortemente bisogno, nonché una pulsione più viscerale… l'illusione dei soldati di sfuggire alle atrocità della Guerra ed alla Morte rifugiandosi nel calore umano: ...cosa vai cercando in quel portone/ forse quella che sola ti può dare una lezione... Tu la cercherai, tu la invocherai più di una notte... diecimila lire per sentirti dire "micio bello e bamboccione" (F. De André - La Città Vecchia, 1965).Per la fotografia di Cuville, come per tutte le immagini esposte, si rinnova quindi il dialogo tra il fotografo, intenzionato a trasmettere un proprio messaggio, e gli spettatori alla continua scoperta di ispirazioni ed interpretazioni intime e personali. La stessa didascalia, "Ragazza", potrebbe essere sostituita con una varietà di titoli suggestivi tra cui "L'infanzia negata", "La fanciullezza non vissuta" o, semplicemente, "La Ragazza di Reims".
Ben diverse e meno ciniche le suggestioni ispirate dalla fotografia dal laconico titolo "Ragazza" – Reims, Francia 1917, opera di Fernand Cuville.
E' il ritratto, in una giornata assolata, di una bambina, seduta su uno zaino militare, con in braccio una bambola. Accanto a lei un altro zaino e tre fucili. Alle sue spalle negozi di generi alimentari, si distinguono cacciagione ed ortofrutta. Assale il sospetto che i proprietari di quel materiale di morte siano in luoghi di piacere fuori dalla scena. La piccola, dall'aspetto serafico e dallo sguardo malinconico, abbraccia con dolcezza la sua bambola, accudendola amorevolmente e sognando quella serenità che le hanno brutalmente strappato. Intorno lutti, desolazione, odio, sangue, ma soprattutto la brama di appagare i propri bisogni carnali, fame o sesso che siano.
Oltre all'analisi visiva, viene da chiedersi cosa realmente intendesse comunicare l'autore che, come ampiamente ribadito, non poté certo procedere ad un rapido scatto, dovendo preparare accuratamente la scena, che, al pari di un dipinto, risulta comunque un'opera d'arte.
Lo scopo principale era di rispondere ad un'esigenza di cronaca, ma perché escludere che Cuville intendesse parlare anche di amore? Un sentimento puro ed avvolgente di cui la Ragazza, ancor bambina, aveva fortemente bisogno, nonché una pulsione più viscerale… l'illusione dei soldati di sfuggire alle atrocità della Guerra ed alla Morte rifugiandosi nel calore umano: ...cosa vai cercando in quel portone/ forse quella che sola ti può dare una lezione... Tu la cercherai, tu la invocherai più di una notte... diecimila lire per sentirti dire "micio bello e bamboccione" (F. De André - La Città Vecchia, 1965).Per la fotografia di Cuville, come per tutte le immagini esposte, si rinnova quindi il dialogo tra il fotografo, intenzionato a trasmettere un proprio messaggio, e gli spettatori alla continua scoperta di ispirazioni ed interpretazioni intime e personali. La stessa didascalia, "Ragazza", potrebbe essere sostituita con una varietà di titoli suggestivi tra cui "L'infanzia negata", "La fanciullezza non vissuta" o, semplicemente, "La Ragazza di Reims".
foto Marisa Pia Boscia |
Di rado, come invece accade per questo evento, si riesce a mantenere sempre vivo il dialogo tra le opere in mostra ed i visitatori che osservano, commentano, riflettono o fotografano. Tanto ciò è vero che, in una fotografia scattata al vernissage, s'intravede una mano, forse quella di una madre che indica ai figli la tenera bimba di Reims. Quel dito rimanda, in un virtuoso processo di associazioni, alla Creazione michelangiolesca della Cappella Sistina. Tra le tante atrocità della Guerra, qui testimoniate, sembra che una mano divina punti l'indice verso quella sua indifesa creatura sofferente… saprà Essa accarezzare quel cuore spezzato, restituendo pace al Mondo devastato, oppure resterà nell'oscura indifferenza, giudicando severamente (e condannando) la miseria umana che ha provocato anche il dolore dell'innocente?
Massimo Vitale. Con l'animo che vince ogni battaglia - I molisani nella grande Guerra (1917-1918). Enzo Nocera Editor. Campobasso, 2007.
Centro per la fotografia Vivan
Maier. 14-15 La Guerra a Colori. Catalogo della Mostra a cura di Federico
Mininni. CM Stampa. Campobasso, 2018.
Paolo Giordano. La Grande
Guerra rivista coi colori della storia.
Il Quotidiano del Molise, 6 gennaio 2019
Paolo Giordano. La Ragazza
di Reims fascino e suggestione de La Guerra a Colori.
Il Quotidiano del Molise, 14 gennaio 2019.
FOTOCRAZIA, Evoluzione e
rivoluzione nel futuro, nel presente e nel passato del fotografico. http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/
Albo dei Caduti della Grande
Guerra. http://www.cadutigrandeguerra.it/Default.aspx
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