Pensieri



Questo sito utilizza cookie di Google per erogare i propri servizi e per analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo agente utente sono condivisi con Google, unitamente alle metriche sulle prestazioni e sulla sicurezza, per garantire la qualità del servizio, generare statistiche di utilizzo e rilevare e contrastare eventuali abusi.

giovedì 29 settembre 2011

Palazzo Cannavina a Campobasso, una dimora storica svuotata dei suoi arredi e "messa sul mercato" immobiliare. Un pezzo di Storia patria in vendita


il Quotidiano del Molise del 27/09/2011

di Paolo Giordano

Palazzo Cannavina
(ex Salottolo già dei duchi Carafa)

Martedì 13 settembre un grido di allarme si è ripetuto di bocca in bocca: “stanno svuotando palazzo Cannavina!” Di fatto gli attuali proprietari di quello che fu il palazzo ducale dei Carafa, passato poi ai Salottolo ed infine alla famiglia Cannavina, procedevano legittimamente alla vendita di alcuni, se non di tutti, gli arredi. Nessuno può e vuole indagare su quel che è realmente accaduto, però è opportuno riflettere sul destino di una delle più importanti e ricche dimore campobassane.
Donna Giulia Petrella, sorella dell’alto magistrato e senatore Ugo (titolare dell’omonima via cittadina) sposò l’illustre avvocato Leopoldo Cannavina, figlio del deputato Ferdinando, che fu anche presidente della Gran Corte Criminale di Napoli. Lei, ricca e potente, aggiunse ai possedimenti Cannavina l’abitazione all’epoca ubicata in via Borgo (poi appunto Cannavina).  Già da questa minima cronistoria, siamo nella seconda metà del milleottocento, si comprende quante inestimabili “ricchezze” fossero custodite in quelle vetuste stanze. Ne fornisce valida testimonianza anche Nicoletta Pietravalle nel suo “Molise: Antichi Interni”.
la bandiera tricolore con la
scritta "independenza"
Lavori d’acciaio traforato personalizzati con nomi e dediche. Una ricca raccolta fotografica del Trombetta. Lettere delle corrispondenze con il senatore, nonché accademico della Crusca e dei Lincei, Francesco D’Ovidio e di quella con Antonio Ranieri (amico del Leopardi) che chiedeva dati e notizie su Gabriele Pepe. Un tricolore con la scritta “independenza”: proveniente dall’estero o mero errore? Vessillo che fu sventolato da Ferdinando Cannavina sulle barricate napoletane del 1848. Una pianola testimone di sfarzosi balli e che aveva suonato anche il valzer “Sangue Sannita” del maestro compositore molisano De Angelis. Forse proprio lei aveva allietato sua maestà Giuseppe Napoleone durante i festeggiamenti del 23 settembre 1807. Ma questi oggetti sono ben poca cosa rispetto alla sicuramente ricca biblioteca, ai sontuosi e ricercati arredi, al raffinato mobilio che faceva bella mostra di sé nelle ampie stanze dai soffitti artisticamente decorati.
Ancora… quadri, stampe, argenti, reperti archeologici, cimeli guerreschi tra cui il cannocchiale di Nelson, donato dai figli dell’ammiraglio al patriota molisano Tito Barbieri. Infine oggetti sacri conservati in prevalenza nella cappella privata che fu già dei Salottolo (come ravvisabile dallo stemma).
Menzione merita la cucina rimasta intatta dai tempi di donna Giulia. Vastissima ed interamente decorata in nero e marrone con piastrelle in ceramica: le “regiòle”.
la cucina di donna Giulia
Pare che il tutto sia in viaggio per Firenze! Il vero “pugno nello stomaco” è che girovagando su internet si è scoperto che: “vendesi a Campobasso centro storico immobile di prestigio 1.000 mq–trattativa riservata”. Nessuno può proferire verbo sulle scelte degli eredi ma certamente è allarmante la perdita di un pezzo di storia patria! Forse vi si sarebbe potuto inaugurare un museo, una biblioteca, un caffè letterario… e chi più ha fantasia proponga! Non sappiamo se gli amministratori abbiamo avuto abboccamenti, se si sia pensato a porre un vincolo con diritto di prelazione. Speriamo che si siano tentate tutte le vie perché il palazzo restasse integro. Confidiamo che i suoi acquirenti sappiano far godere la collettività dell’antico edificio.
Certamente, però, non si potrà più tollerare il piagnisteo di chi lamentosamente continuerà a dichiarare che Campobasso è povera di Storia.

la Cappella dei Salottolo

la Maternità nella Cappella
con lo stemma
della famiglia Salottolo

  









  

un sontuoso salone

 

la camera da letto

mercoledì 28 settembre 2011

Inaugurazione del ciclo pittorico nell'Antica Cattedrale di Bojano. Foto dell'autore dei dipinti, il maestro Rodolfo Papa, con il cardinal Angelo Bagnasco

Per una strana dimenticanza, segnalata da più parti, oltre a non essere stato riportato nella lapide commemorativa, il maestro Papa non appare nemmeno nei servizi fotografici e televisivi regionali.
Poiché abbiamo "scoperto" le prove sia dell'esistenza dell'artista e sia della sua presenza in Regione provvediamo a pubblicarle.

monsignor Angelo Spina (vescovo di Sulmona),
il professor Rodolfo Papa
e sua eminenza cardinal Angelo Bagnasco

monsignor Spina, Papa, il cardinal Bagnasco
e monsignor Bregantini, arcivescovo di Campobasso


Il cardinal Angelo Bagnasco ed il maestro Rodolfo Papa
 si stringono la mano alla presenza
di sua eccellenza Bregantini
e di numerosi fotografi

Inaugurato alla presenza del cardinal Bagnasco il ciclo pittorico di Rodolfo Papa nell'Antica Cattedrale di Bojano. Affissa una lapide commemorativa con una grave mancanza: il nome dell'artista!


Il Quotidiano del Molise del 27/09/2011

di Paolo Giordano

Il 25 settembre 2011 è stato un giorno memorabile, uno di quelli che restano indelebili nella storia. La città di Bojano ha ospitato il cardinal Bagnasco, presidente della conferenza episcopale italiana. L’alto prelato ha inaugurato solennemente il ciclo pittorico realizzato dal professor Rodolfo Papa da Roma. A memoria dell’evento è stata apposta una lapide, prediligendo l’italiano anziché il latino più usato in tali circostanze. In essa si citano praticamente tutti: il cardinal Bagnasco, l’arcivescovo Bregantini, l’allora arciprete Spina, l’attuale arciprete Di Filippo ed il Popolo tutto. Per una dimenticanza che appare inspiegabile, quanto tutt’altro che casuale, manca il nome dell’artista. Uno strano modo di consegnare l’accaduto ai posteri!
Tra 20, 40, 100 anni nessuno darà più un volto ai nomi incisi su quel marmo. Forse come tanti, prima di loro, nessuno saprà chi essi furono. Non è da escludere che la targa deperirà o verrà addirittura rimossa. L’opera pittorica, invece, resisterà fintanto che resterà in piedi l’antica cattedrale e con essa sopravviverà il nome dell’autore epurato dal lapicida. Non sappiamo se c’è un responsabile e chi egli sia. Ignoriamo se questo sia il modo corretto di redigere le iscrizioni. Certo ben leggendo sembra quasi che gli autori siano i parroci succedutisi, poiché l’opera è stata “iniziata” da uno e “portata a termine” dall’altro. La matematica sicuramente non è un’opinione, ma non lo è neanche la lingua italiana!

la lapide incriminata

mercoledì 14 settembre 2011

"lucchetti d'amore" in Villa Flora a Campobasso al pari di Ponte Milvio e Ponte Vecchio


                               Il Quotidiano del Molise del Molise
                              del 30/08/2011


Le nuovissime generazioni sono spesso bersaglio di strali ed invettive: o perché troppo ciniche nel programmare il proprio futuro o perché troppo aride, mancando di sogno e fantasia. Eppure in un angoletto nascosto di Campobasso i giovani testimoniano di volare ancora sulle ali del romanticismo, mossi dall’entusiasmo che i sentimenti generano alla loro età.
Ad imitazione di quanto accade su ponte Vecchio a Firenze o su ponte Milvio a Roma gli innamorati appendono un lucchetto con le loro iniziali, per poi buttare in acqua le chiavi. A Firenze il simbolo del legame amoroso indissolubile veniva bloccato sulla cancellata del monumento del Cellini. Questa usanza, iniziata forse dai militari dell'Accademia di San Giorgio alla Costa, risale a non più di venti anni or sono. Poiché tale abitudine è stata avversata dall’amministrazione comunale, i lucchetti vengono attualmente messi sulle inferriate del vicino lungarno degli Archibusieri. Più recente è invece l’uso praticato a Roma di incatenare quell’originale simbolo d’amore sul lampione centrale di Ponte Milvio. Nel capoluogo molisano, invece, è la recinzione che circonda la vasca di Villa Flora ad aver ispirato i giovani fidanzati. Le chiavi verranno, poi, gettate tra i pesci rossi e le ninfee che quest’anno sono incredibilmente sbocciate nella vasca. Questo fiore, ritenuto dagli antichi afrodisiaco, è anche simbolo dellamore platonico e purtroppo –però– dell’amore non corrisposto.


martedì 13 settembre 2011

Domenico Filippone, il progettista napoletano della G.I.L. di Campobasso, ed il suo stretto legame con il capoluogo del Molise. Egli progettò anche la mai realizzata Casa Littoria


di Paolo Giordano

Domenico Filippone
al suo tavolo da lavoro
“Illustre sig. Podestà apprendo con vivo compiacimento del restauro del castello Monforte e della sistemazione del Sacrario dei caduti. Io sono un ammiratore di quel castello. L’idea di glorificare i caduti innalzandone la Memoria sul più alto colle della città è veramente geniale. E’ mia opinione che Campobasso meriti una più approfondita conoscenza da parte degli italiani. Nel mio volume “le zone verdi della moderna urbanistica italiana” ho illustrato anche il centro di Campobasso, citandolo come esempio”.
Questo scritto del 07/09/1936 dell’architetto Domenico Filippone testimonia un rapporto intimo e profondo con il capoluogo molisano.
Il progettista dell’ex G.I.L. nacque a Napoli nel 1903. Laureatosi nel 1926 fu docente universitario a Roma, dove iniziò la professione realizzando alcuni importanti edifici. Partecipò, vincendoli, a concorsi per piani regolatori in diverse città italiane. E’ sua la paternità di piani di ricostruzione del secondo dopoguerra e della sistemazione urbanistica della zona Dantesca in Ravenna. Nel 1946 si trasferì in Venezuela, invitato dal Governo come esperto e consulente del piano regolatore di Caracas. Oltre allo sviluppo urbanistico della capitale si occupò della bonifica dell’entroterra malarico, conseguendo notevoli successi professionali. Ai suoi studi si deve l’introduzione di sistemi innovativi sia nella tecnica costruttiva e sia in merito all’evoluzione culturale del popolo. I cittadini, opportunamente istruiti, partecipavano alla realizzazione delle proprie abitazioni.
plastico della Casa Littoria
Scrittore, giornalista, docente universitario si occupò costantemente di temi sociali e problematiche architettoniche. Una delle peculiarità dei suoi lavori è la ricerca dell’armonia con la natura poiché “non si deve sapere dove finisce la casa e comincia il giardino”.
A Campobasso, oltre alla G.I.L., sono suoi il progetto case INCIS e quello (non realizzato) per la Casa Littoria. L’architetto Filippone aveva individuato in piazza della Vittoria, su suolo donato dal Comune e quindi più conveniente anche dal punto di vista economico, l’area su cui sarebbe potuta sorgere la struttura. Il terreno, oltre ad essere in zona centrale, avrebbe consentito la costruzione del palazzo, affiancato da una torre, posto a sfondo delle due arterie principali (il Corso e via Roma). Il complesso monumentale, con un sagrato per le adunate, non avrebbe interrotto o condizionato il traffico tra via Corso Vittorio Emanuele e via Petrella. Il vicino palazzo Di Penta ne sarebbe divenuto parte integrante. Campobasso avrebbe avuto un centro moderno e funzionale con linee architettoniche intonate al carattere “rivoluzionario” del fascismo. Si prevedeva anche un portico che avrebbe dato molta vita a palazzo e piazza, offrendo un efficace luogo di convegno rispondente anche a necessità propagandistiche. L’accentramento di tutti i servizi al pubblico, e dei vari Enti del Partito, costituiva, poi, un’assoluta novità nella costruzione delle Case Littorie. La torre “forte”, più che agile, avrebbe risposto alle esigenze panoramiche di una città priva di campanili aguzzi e dominata dalla sagoma maschia del Castello.
La guerra e la conseguente caduta del Regime furono le cause della morte di questo progetto. Resta, però, memoria dell’affascinate dibattito su una diversa concezione di sviluppo urbanistico per Campobasso. Contemporaneamente appare una beffa del destino che l’ex G.I.L. sia stata condanna alla demolizione proprio in virtù dell’intento di accorpare tutti gli uffici Regionali.
Domenico Filippone si spense in Venezuela il 4 maggio 1970, poco prima di intraprendere il viaggio del definitivo ritorno in Italia.

la Casa Littoria di Campobasso
progetto di Domenico Filippone