Il Quotidiano del Molise del 22 settembre 2010 |
di Paolo Giordano
Fiorentina Cirelli al lavoro |
Fiorentina Cirelli è un’esperta
restauratrice e, pur se l’anagrafe non lo
testimonia, ha quasi 30 anni di attività sulle spalle. Ha familiarità
con i più svariati materiali e conosce tecniche vecchie e nuove per recuperare
le opere d’arte. Entrare nel suo laboratorio è come partecipare alle
rievocazioni di antichi mestieri, ma qui tutto è oltremodo contemporaneo. Il
suo lavoro resta obbligatoriamente un’attività artigianale, poiché la manualità
non può in alcun modo essere sostituita dall’uso di macchine. Le è compagno
d’avventura il marito Pietro, anch’egli restauratore, con cui regolarmente
condivide oneri ed onori.
Il mondo del restauro è pura vocazione oppure è accessibile a tutti?
Sicuramente si tratta di una vera e propria vocazione. Bisogna considerare che sempre più nuove tecnologie supportano e qualificano il nostro lavoro, ma è innegabile che passione, sensibilità e pazienza certosina siano doti indispensabili. Poi vengono lo studio, la conoscenza di tecniche, di stili, nonché il costante aggiornamento. Necessita, inoltre, una naturale propensione all’arte. Non siamo artisti, poiché non creiamo, ma dobbiamo ragionare come se lo fossimo. Calandoci nel contesto storico in cui un’opera è stata realizzata per comprenderne, quanto più possibile, l’ispirazione dell’autore. Tutto ciò serve per intraprendere questa professione.
Il patrimonio artistico molisano non è povero come si crede. Tra le
ricchezze della nostra terra lei ha curato un illustre malato: l’ottecentesca scultura di San Giorgio
realizzata da Emilio Labbate per la Chiesa Patronale di Campobasso.
Ci siamo trovati dinanzi al
gruppo equestre più imponente sul territorio regionale: largo 78 cm ed alto e
lungo 2 metri. Già dal trasporto sono apparse le prime difficoltà! Il cavallo è
composto da più pezzi uniti con grossi chiodi. Presentava importanti problemi
di conservazione: mutilo in più punti ed attaccato dai tarli con conseguente
cattiva coesione delle parti. Molti erano i danni da atti vandalici. Una volta
disinfestato e consolidato con resine abbiamo ricostruito particolari come gli
occhi, utilizzando le tecniche dell’epoca. Infine, riportata alla luce la
policromia originale, coperta da sporco e numerosi strati di ridipinture, ci
siamo concentrati su come restituire un’uniformità
di visione cromatica. Il risultato finale è stato entusiasmante! L’unico
cruccio è il non sapere dove sia finita la testa del drago che manca del tutto.
La costante riduzione di finanziamenti ha progressivamente diminuito le commesse pubbliche, per cui è divenuta determinante la committenza privata. C’è in Molise una cultura del restauro? Come stima il patrimonio su cui è urgente intervenire?
Qui
da noi non si è ancora sviluppata una cultura del restauro. Altrove enti,
banche, privati, associazioni e fondazioni finanziano gli interventi. In Molise
il fenomeno è circoscritto ad alcune chiese in cui i parrocchiani si fanno
carico di recuperare le statue dei loro Santi protettori. È determinante il forte
coinvolgimento emotivo. Manca invece una diffusa coscienza sociale, che porti
al recupero di reperti importanti per tutta la collettività, come ad esempio gli arredi tombali, che sono determinanti
per lo studio dell’evoluzione dei popoli. Il nostro territorio dispone di un
vastissimo patrimonio sepolto che attende di venire alla luce. Comunque, tanto
della ricchezza di questa piccola terra è proprio sotto i nostri occhi: palazzi
e chiese dalle belle architetture, che versano purtroppo in precarie
condizioni; statue e dipinti di gran
valore artistico, abbandonati a se stessi. Molto è chiuso per motivi di
sicurezza e troppi sono i cantieri, e le aree di scavo, che procedono a fatica
per mancanza di fondi. Sarebbe bello se dei mecenati, consegnassero il proprio nome ai posteri,
sponsorizzando il restauro di monumenti da loro “adottati” proporzionalmente alle disponibilità
economiche.
“Nessuno accende una lucerna e la mette in luogo nascosto o sotto il moggio, ma sopra il lucerniere, perché quanti entrano vedano la luce” Cosa prova quando oggetti preziosi, tornati all’originario splendore, vengono chiusi in un deposito o in cassaforte?
L’ultimazione di un restauro genera sempre una grande emozione. Il
desiderio è quello di riuscire a trasmettere e, quindi, condividere questo
stato d’animo. La conclusione di un lavoro dovrebbe essere il primo passo verso
la giusta valorizzazione del reperto. E’ innegabile un profondo “dolore” quando
un’opera non viene opportunamente valorizzata all’interno di idonee strutture.
Erroneamente, però, si genera l’ingiusta polemica verso gli organi preposti
che, non potendo esporre i “tesori” al pubblico, sono costretti a tenerli
“nascosti” per tutelarli e proteggerli. Il vero problema è la carenza di musei
e pinacoteche. La speranza è che le varie amministrazioni studino sinergicamente
dei progetti, come ad esempio la ristrutturazione di storici palazzi
abbandonati, al fine di consegnare alla comunità degli spazi espositivi. Anche
enti o privati, in possesso di edifici in disuso, potrebbero farne dono per
tale scopo. Insomma si è da tempo conclusa l’epoca in cui solo il Pubblico si
faceva carico dei beni artistici, architettonici ed archeologici. Oggi tutta la
società deve sentirsi coinvolta nella
tutela dell’inestimabile patrimonio di cui l’Italia dispone.