Pensieri



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martedì 20 novembre 2012

LE RELIQUIE. Retaggio anacronistico del passato o validi supporti per la nostra fede?



scena da "La dolce vita"

 di Paolo Giordano

La scena iniziale de “La dolce Vita” di Fellini, in cui una statua del Redentore sorvola Roma in elicottero, sembra voler anticipare il passaggio di reliquie di Santi avutosi nel Molise in questi ultimi mesi.
Tale fenomeno sarà la risposta ad una crescente esigenza di spiritualità?
O un tour propagandistico per richiamare l’attenzione, in un Sud da sempre recettivo a questi temi che potrebbero sembrare anacronistici? Ognuno risponderà in base alle più profonde convinzioni personali.
Il termine reliquia indica, principalmente, le spoglie mortali o una parte di esse, appartenute ad una persona venerata come santo o semplicemente famosa. Se ne può, quindi, parlare anche in ambito laico, come nei casi di conservazione di ciocche di capelli o di calchi di parte del corpo di personaggi illustri. La dottrina della chiesa è ferma nel dichiarare che non si è dinnanzi ad atti assimilabili a pratiche magiche o superstizioni. Questi avrebbero efficacia di per se stessi, mentre le reliquie sono solo una testimonianza che rimanda a persone “che in vita si sono distinte per l’esercizio delle virtù cristiane in forma eroica o hanno dato la vita a causa della fede”.
Reliquiario in
Santa Maria della Croce
a Campobasso
I Santi non sono altre divinità, bensì “alleati” che intercedono nella richiesta di una “Grazia”, che viene comunque (caso mai) concessa esclusivamente da Dio. L’approccio sbagliato di troppi fedeli rende comprensibili i casi in cui, all’interno della comunità cristiana, si è tentato di annullare del tutto la devozione verso le reliquie. Esempio eclatante, ancora attualissimo, è la novella di Frate Cipolla in cui “promette a certi contadini di mostrar loro la penna dell'agnolo Gabriello; in luogo della quale trovando carboni, quegli dice esser di quegli che arrostirono san Lorenzo”.(Boccaccio, Decameron, giornata VI, novella X). Non c’è stata, però, una flessione nell’affezione a tale culto e del resto, nei secoli, per conservare i resti mortali dei Santi si sono realizzati reliquiari, altari, cappelle ed, addirittura, chiese: San Pietro e San Paolo –in Roma- sorsero sulle tombe degli Apostoli.
Il transito in Molise “di alcuni santi” permette anche di approfondirne la storia e di comprenderne la vita.
Nella formazione ed istruzione dei Cristiani, particolarmente in un’epoca di secolarizzazione e di progresso tecnologico (grazie al quale si accede facilmente alle più svariate forma di conoscenza), è importante confrontarsi con queste figure di testimoni della Fede, riscoprendone l’esempio e studiandone le opere. Il catechismo della Chiesa Cattolica rispetta e tutela le forme di pietà e religiosità popolare (art. 1674-1675). Tali pratiche, pur se non basilari per la fede cristiana, sono rispettabilissime nella misura in cui concorrono al miglioramento dell’essere umano. I non credenti ed i modernisti ritengono che queste manifestazioni siano l’inizio della fine dell’istituzione ecclesiastica. Una “fine” “iniziata” troppi secoli fa per essere realmente “finale”!
E’ necessario, comunque, che si curi la formazione trasmettendo i giusti insegnamenti, affinché si possano evitare episodi come quello che si narra accaduto in una chiesa napoletana.
La leggenda racconta di un fedele che, non ricevendo la grazia richiesta a San Gennaro, capovolgendo completamente i termini del discorso, si rivolse alla statua del Cristo dicendo: “Gesù! Ditecelo voi a san Gennaro che mi facesse la grazia!”




reliquiario in Santa Maria della Croce
 a Campobasso

Aperture domenicali esercizi commerciali, nuovo capitolo. Dal 25 novembre 2012 la raccolta di firme per l'abolizione delle liberalizzazioni.

il Quotidiano del Molise
del 13/11/2012


di Paolo Giordano

Domenica 25 novembre Confesercenti e Federstrade, con la condivisione della C.E.I., inizieranno la raccolta di firme per proporre in Parlamento una legge di iniziativa popolare per abolire la liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali. 
La norma introdotta dal decreto Salva Italia ha tolto alle Regioni la podestà di disciplinare i calendari d’apertura, in base alle esigenze territoriali, con la speranza di portare benefici ad un’Economia sempre più in crisi. Il risultato finale è stato sia il calo dei consumi che dell’occupazione: neppure per gli operatori della grande distribuzione l’aumento dei costi è stato compensato da quello delle vendite. Oltre a ciò si sottrae la domenica all’Uomo, svuotando il “settimo giorno” della sua valenza di “riposo ed unità per i nuclei familiari”. 
E’ appunto per questo che la C.E.I., anche per restituire dignità al lavoro, appoggia l’iniziativa. L’arcivescovo di Campobasso-Bojano Giancarlo Bregantini (presidente della commissione per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace) auspica che il 25 i parroci radunino i commercianti delle loro parrocchie per raccogliere le firme sui sagrati, da sempre luoghi di incontro tra i cristiani ed il Territorio. Non sarà una battaglia confessionale, ma una scelta antropologica. Del resto l’Europa insegna: in Germania, Francia, Spagna, Belgio e Olanda di domenica le saracinesche restano chiuse. 
I Cristiani, comunque, dovrebbero conoscere i fondamentali della propria Fede! Il Catechismo della Chiesa Cattolica proclama chiaramente che come Dio cessò il 7° giorno da ogni lavoro, così anche la vita dell’uomo è ritmata da lavoro e riposo. L’istituzione del Giorno del Signore (dies domini = domenica) offre la possibilità di godere di riposo e tempo libero per curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa. In tale giorno ci si dedicherà ad opere di misericordia e/o si potranno distendere corpo e mente. 
I fedeli sono chiamati a vigilare affinché legittime giustificazioni non creino abitudini pregiudizievoli per la religione, la vita familiare, la salute. Nel tempo libero i cristiani dovranno ricordasi dei bisognosi e di coloro che non possono riposarsi a causa della povertà o della miseria. Non bisognerà trascurare le opere di bene e gli umili servizi di cui necessitano malati, infermi ed anziani. Andranno coltivate anche le attenzioni per parenti ed amici, dedicandosi inoltre a meditazioni, riflessioni e studio per la crescita della vita interiore. E quando certuni lavori impediranno ciò ci si riserverà in altri momenti il sufficiente e necessario tempo di libertà.
In conclusione “nonostante le rigide esigenze dell’economia, i pubblici poteri vigileranno per assicurare ai cittadini un tempo destinato al riposo ed al culto divino. I datori di lavoro hanno un obbligo analogo nei confronti dei loro dipendenti” (cap.1 art. 3, 2184-2188).







mercoledì 10 ottobre 2012

"Il Molise preunitario". Monografie municipali tratte da "Il Regno delle Due Sicilie" descritto ed illustrato da Filippo Cirelli.

"L’internauta" Cosimo chiedeva la datazione della fotografia di Campobasso nella  home page  offrendo così spunto per parlare di un interessante testo del 1858. 
A corredo de "Il Regno delle due Sicilie" il curatore Filippo Cirelli realizzò delle litografie tra cui quella di Campobasso.
Il libro è stato riprodotto in edizione anastatica nel 2001 dalla "Palladino Editore" di Campobasso.
Nella certezza di compiere un atto gradito agli autori di questa pregevole iniziativa, e con l'intento di evitare inesattezze, si pubblica la prefazione al volume a firma dello studioso  Mauro Gioielli, direttore della collana comprendente “il Regno...” di Filippo Cirelli.




II Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato fu un impegnativo progetto editoriale, ideato e curato da Filippo Cirelli. Il programma dell’opera intendeva “di ciascun Comune dire l’origine, le vicende, la prosperità o il decadimento, l’agricoltura, le arti, l’industria, il commercio, il numero, l’indole, i costumi, la civiltà degli abitanti”; secondo uno schema ambizioso che prevedeva un’analisi quanto più completa possibile delle città e dei paesi del reame napoletano.
Purtroppo l’opera, che iniziò a stamparsi nel 1853, restò incompiuta e cessò le Pubblicazioni per la scomparsa di Cirelli e per la fine del reame napoletano.
Il Regno... descritto ed illustrato ripercorse e ampliò le linee di indagine che alcuni decenni prima avevano mosso altri lavori, come la Descrizione di Giuseppe Del Re o il Dizionario di Lorenzo Giustiniani; ma fu anche ispirato, in linea generale, da studi di anteriori di alcuni secoli, come la cinquecentesca Descrittione di Scipione Gazzella e quella seicentesca di Eugenio Caracciolo. Rispetto alle pubblicazioni precedenti, una parziale “novità” introdotta da Cirelli fu quella di riservare giusto spazio al folklore. Egli intuì “che le tradizioni popolari sono elemento primario per chiarire e documentare la vita ed il processo spirituale di una terra” In effetti, nel Regno si trova una anticipazione di quelle ricerche che verso la fine dell’Ottocento vedranno impegnati, dall’Abruzzo alla Sicilia, studiosi come Antonio De Nino, Gennaro F'inamore, Vittorio Imbriani, Salvatore Salomone-.Marino, Giuseppe Pitré.
Il primo fascicolo del volume XIV del Regno delle due Sicilie descritto ed illustrato fu riservato al “Molise”. Tale fascicolo comprende sette monografie municipali Sepino, Sanguiliano, Cercepiccola, Morcone, Sassinoro, Casacalenda, Isernia. Le prime tre furono redatte da Celestino Mucci nel 1853-54, la quarta da Domenico Piombo nel 1855, la quinta da Serafino de Giorgio nel 1853, la sesta da Giuseppe Mancini e la settima da Stefano Jadopi, entrambe nel 1858 Purtroppo, quest’ultima monografia è tronca, si interrompe bruscamente con la frase incompiuta: “affreschi simboleggianti fatti della”. La parte mancante non apparve sul seguente fascicolo riguardante il Molise, che mai venne stampato.
Nel Regno dovevano trovare posto anche altri contributi molisani, che non fecero in tempo a vedere luce per l’interruzione delle pubblicazioni. Pasquale Albino, infatti, su invito di Cirelli, aveva lavorato ad una monografia su Campobasso, mentre Daniele Perugini ne aveva predisposta una su Pontelandolfo.

                                                                       Mauro Gioielli

Oggetto non identificato in corso Mazzini a Campobasso! Ribattezzato "on line" nei più disparati modi. E pensare che nei pressi sorgeva la monumentale fontana di Cacciapesce!

Il Quotidiano del Molise
del 09 ottobre 2012

di Paolo Giordano

Dell’acceso dibattito, generato dall’elemento di arredo urbano posto all’incrocio tra corso Mazzini e via Garibaldi in Campobasso, merita menzione quanto affermato su facebook da Luca L.: “è l’erede della fontana di Cacciapesce!”.
In effetti la monumentale fontana, oggi relegata in fondo a Corso Bucci, senza acqua né illuminazione, originariamente era ubicata proprio in questa area della città: una rara, ed ai più sconosciuta, fotografia ce ne offre testimonianza. Essa fu smontata per consentire la realizzazione del Seminario Diocesano. Il vescovo monsignor Alberto Romita ne consigliò lo spostamento oltre che per favorire i lavori di costruzione anche a causa della vasca antistante alla Fontana stessa che, quindi, “serviva da pubblico lavatoio e la vasca è fonte di malattie con grosso pericolo per l’igiene pubblica. E’ antigienica, coperta di maleodoranti alghe, ottima cultura per larve di zanzara. La zona si bonificherebbe anche moralmente, poiché tra la fitta vegetazione e gli alti alberi vi si danno convegno coppiette di innamorati.” Cosa direbbe oggi l’alto prelato del non meglio identificato oggetto sorto sulla rotonda accanto alla Caserma dei Carabinieri?
L’ufo in questione è stato definito: sarcofago, acquasantiera, barbecue, bidet, impluvium, tinozza per favorire i pediluvi estivi, “callara per la salsa”, cubo da discoteca, ehm... orinatoio e chi più ce ne ha, ce ne metta! Brutto… è brutto, e pare (con delusione dei trafficanti) che non sia neanche di rame, bensì semplicemente “ramato”. Quel che indigna maggiormente il popolo degli internauti è il suo costo che non si suppone certo ridotto e contenuto. Ma amministratori e progettisti tirano dritto, sicuri del fatto loro e non curanti di critiche e sberleffi, ben guardandosi dall’affrontare un confronto e spiegare di che si tratti realmente.
thermopolium
scavi di Ercolano
Ebbene, carissimi lettori, ve lo diremo noi! Siamo dinanzi ad un “thermopolium”, antico luogo di ristoro in uso presso i Romani, dove era possibile acquistare cibi pronti per il consumo. In un locale di piccole dimensioni v’era con un bancone con incassate grosse anfore di terracotta contenenti le vivande: insomma l’antesignano dei moderni fast food.
I campobassani, quindi, prigionieri di una città sempre più congestionata, bloccati nel traffico di punta, potranno ristorarsi di bevande e cibarie, ingannando così i tempi di lunga ed estenuante attesa.

 il thermopolium di Campobasso

scavi di Pompei



giovedì 4 ottobre 2012

ADA TROMBETTA, vestale paziente e devota. Novant'anni vissuti tra ricordi e sete di conoscenza.

Il Quotidiano del Molise
del 03/10/2012



di Paolo Giordano

“L’arte molisana deve essere conosciuta prima ancora che studiata” (A. Monciatti). E’ forse questa la frase che meglio sintetizza i 90 anni di Ada Trombetta compiuti il 21 settembre 2012. La sua famiglia è da sempre legata alla storia, alla cultura, alle arti visive… alla Fotografia.
Il capostipite, nonno Antonio, ed il suo “erede”, papà Alfredo, non hanno nulla da invidiare agli Alinari. Il peso di tale lignaggio probabilmente ha rischiato di offuscare (ad occhi profani) la luce propria di cui risplende l’ultima discendente, che invece “conquista” di persona il Molise: gira, viaggia, scopre, scala, cataloga, fotografa.
Anche quando usa materiale paterno lo fa “stampando inediti” come nel caso di “1943-1944… e fu guerra anche nel Molise”, le cui immagini sono “vetrini” mai sviluppati. 
Ada tra le macerie del 1943
L’adolescente Ada, la professoressa Trombetta, la non più giovane Preside senza mai far vanto del suo appartenere al gentil sesso, ha prodotto libri pregevoli e di vario genere (finanche antropologici) frutti di lunghe capillari indagini sul territorio, incontrando, ascoltando ed intervistando le più disparate categorie: dai parroci ai sindaci, ma soprattutto gli anziani, detentori delle più preziose memorie. Con i suoi scritti ha “fotografato”… meritevolmente “congelato l’attimo”, consegnandoci degli archivi unici da cui acquisire conoscenza anche di opere andate distrutte o rubate.
E’ grazie a lei che alcune di esse sono state salvaguardate, come la Madonna del Piede di Isernia, ed altre recuperate, come la madonna di Costantinopoli di Pietracatella. Decine (se non centinaia) di fotografie provano che la Trombetta è da sempre testimone di accadimenti pubblici e familiari. 
Ada ed il fratello Antonio
 al matrimonio di Bigi
Lo fa nel ruolo di protagonista quando ritira premi e benemerenze o presenta i suoi lavori; è invece “non protagonista” in quelle manifestazioni dove la si incontra in divisa da giovane italiana o in veste di studentessa ed infine compare, quasi “folletto” curioso il cui capino spunta nella selva di corpi, in occasioni private come il matrimonio di Bigi, uno degli intellettuali che nei decenni frequentarono la casa paterna. Un’emblematica curiosità! Il soprintendente per i Beni storici artistici ed etnoantropologici, Daniele Ferrara, in tempi non sospetti ben lungi dalla sua nomina in Molise, scoprì la nostra Terra proprio con “Arte nel Molise attraverso il medioevo” scovato in una casa veneziana. E’ stato, quindi, un atto dovuto la conferenza che il 19 aprile 2012 il Ministero per i Beni Culturali le ha dedicato nella Biblioteca Albino in occasione della settimana della Cultura (14-22/04/2012).
Gli studi pionieristici della Trombetta hanno consentito alla produzione artistica medioevale molisana di affrancarsi dall’essere un’appendice di quella abruzzese. Relativamente alla scultura lignea, ad esempio, molte fotografie devozionali, come la Madonna della Libera di Campobasso, sono quelle “prodotte” da Ada, l’ultima ad aver studiato da vicino opere poste in luoghi anche inaccessibili, avviandone -in alcuni casi- il processo di recupero e valorizzazione. 
Sant'Angelo in Grotte:
opere di misericordia
 (cripta San Pietro in  Vincoli)
da "Arte nel Molise...."
Per quel che riguarda la pittura e la relativa committenza i suoi libri hanno contribuito a dare impulso a quel processo con cui si sta sempre più affermando che il Molise (Periferia) era fattivamente collegato al Centro politico e culturale (prevalentemente Napoli) da un prolifico interscambio e, quindi, non riduttivamente una povera ed improduttiva terra ai confini della realtà. Prove ne sono raffinati cicli pittorici (tra i tanti Rocchetta a Volturno, Sant’Angelo in Grotte, Jelsi e San Giorgio di Campobasso) dove sono evidenti non solo gli influssi ma anche le indiscutibili “somiglianze” con produzioni di alto e qualificato livello. All’instancabile Ada Trombetta, quindi, oltre agli auguri per il suo genetliaco deve andare l’eterna gratitudine (e non solo dei molisani) per l’operato di una vita intera in cui ha, tra l’altro, proficuamente “seminato”. Infatti già sono sbocciati i primi frutti in un miriade di appassionati e studiosi che, ricalcando le sue orme, bramano di dare opportuno lustro e giusto onore alla piccola ventesima regione.

Jelsi - cripta dell'Annunziata
scene della Passione
(Arte nel Molise...)

San Giorgio (Campobasso)
volta della cappella di San Gregorio
(Arte nel Molise....)

Studi di Storia dell'Arte in omaggio ad ADA TROMBETTA (19 aprile 2012)




di Paolo Giordano

 “L’arte molisana deve essere conosciuta prima ancora che studiata” (A. Monciatti). E’ forse questa la frase che meglio sintetizza i 90 anni di Ada Trombetta. A lei il Ministero per i Beni Culturali ha dedicato una conferenza (19/04/12) tenutasi nella Biblioteca Albino, in occasione della settimana della Cultura (14-22/04/2012).
La Preside Trombetta, “zia Ada”, come con commozione l’ha definita Vincenzo Lombardi, “colei che ha deciso di essere mia suocera senza che glielo avessi chiesto”, come con affetto l’ha salutata Paolo Matrella (suo biografo per la circostanza), nasce a Campobasso il 21/09/1922 in una famiglia indissolubilmente legata alla storia, alla cultura, alle arti visive… alla Fotografia. Il capostipite, nonno Antonio, ed il suo “erede”, papà Alfredo, non hanno nulla da invidiare agli Alinari. Il peso di tale lignaggio probabilmente ha rischiato di offuscare (ad occhi profani) la luce propria di cui risplende l’ultima discendente, che invece “conquista” di persona il Molise: gira, viaggia, scopre, scala, cataloga, fotografa. Anche quando usa materiale paterno lo fa “stampando inediti” come nel caso di “1943-1944… e fu guerra anche nel Molise”, le cui immagini sono “vetrini” mai sviluppati.
L’adolescente Ada, la professoressa Trombetta, la non più giovane Preside senza mai far vanto del suo appartenere al gentil sesso, ha prodotto libri pregevoli e di vario genere (finanche antropologici) frutti di lunghe capillari indagini sul territorio, incontrando, ascoltando ed intervistando le più disparate categorie: dai parroci ai sindaci, ma soprattutto gli anziani, detentori delle più preziose memorie. Con i suoi scritti ha “fotografato”… meritevolmente “congelato l’attimo”, consegnandoci degli archivi unici da cui acquisire conoscenza anche di opere andate distrutte o rubate. E’ grazie a lei che alcune di esse sono state salvaguardate, come la Madonna del Piede di Isernia, ed altre recuperate, come la madonna di Costantinopoli di Pietracatella.
Ada ed il fratello Antonio
al matrimonio di  Bigi
Decine (se non centinaia) di fotografie provano che la Trombetta è da sempre testimone di accadimenti pubblici o familiari. Lo fa nel ruolo di protagonista quando ritira premi e benemerenze o presenta i suoi lavori; è invece “non protagonista” in quelle manifestazioni dove la si incontra in divisa da giovane italiana o in veste di studentessa ed infine compare, quasi “folletto” curioso il cui capino spunta nella selva di corpi, in occasioni private come il matrimonio di Bigi, uno degli intellettuali che nei decenni frequentarono la casa paterna. 
Il soprintendente Daniele Ferrara, in tempi non sospetti ben lungi dalla sua nomina, scoprì la nostra Terra proprio con “Arte nel Molise attraverso il medioevo” scovato in una casa veneziana.
Durante la giornata di studi in omaggio alla poliedrica ricercatrice è intervenuto Nicola Di Pietrantonio illustrando la magnifica facciata del duomo di Termoli, realizzata da un cantiere federiciano itinerante (proveniente dalla vicina Puglia) che utilizzò i più svariati materiali policromi, lapidei e non. Il manufatto doveva essere a dir poco meraviglioso, nonché imponente, con richiami a Notre Dame de Paris ed a Chartres. Il recente ritrovamento della statua ritenuta di San Timoteo, oltre a restituire un dettaglio che si pensava irrimediabilmente perduto, aiuterà ulteriormente nella “lettura” di quanto “scritto” dalle maestranze su quella parete.
Le altre relatrici, tutte giovani e motivate studiose, virtualmente raccolgono, con indiscutibile merito, il testimone della novantenne Ada, continuandone l’operato.
Cristina Rossi analizzando l’ambone di Santa Maria di Canneto ha, con dovizia di particolari, spiegato perché si tratterebbe di un’iconostasi (o pontile), una struttura che, munita di un palco per la lettura del Vangelo, separa il presbiterio dalle navate della chiesa riservate ai fedeli: in Italia uno dei rari esempi è nel duomo di Modena. I bassorilievi sono un vero e proprio film della liturgia, che consentiva ai lontani di comprendere quel che accadeva accanto all’Altare.
Valentina Marino ha evidenziato come gli studi pionieristici della Trombetta abbiano consentito, alla scultura lignea medioevale molisana, di affrancarsi dall’essere un’appendice di quella abruzzese. Alcune fotografie devozionali, come quella della Madonna della Libera a Campobasso, sono quelle “prodotte” da Ada, l’ultima ad aver studiato da vicino opere poste in luoghi anche inaccessibili, avviandone -in alcuni casi- il processo di recupero e valorizzazione.
San Giorgio (Campobasso)
San Gioacchino e Santa'Anna
(Arte nel Molise....) 

Infine Francesca Della Ventura, attraverso l’indagine sulla pittura e la relativa committenza, ha ribadito quel che oramai è una verità di fatto, e cioè che il Molise (Periferia) era fattivamente collegato al Centro politico e culturale (prevalentemente Napoli) da un prolifico interscambio. Prove ne sono i raffinati cicli pittorici di Rocchetta a Volturno, Jelsi e San Giorgio di Campobasso. Con opportuni raffronti ha dimostrato non solo gli influssi, ma anche le indiscutibili “somiglianze” con produzioni di alto e qualificato livello, aprendo affascinati scenari futuri.
Solo la pubblicazione degli atti di questo Convegno potrà rendere giustizia alla qualità e all’ampiezza delle relazioni ascoltate. A noi, per ora, piace constatare che sono già sbocciati i primi frutti della proficua semina, pazientemente condotta da Ada Trombetta, in quasi un secolo di instancabile attività.


Jelsi - cripta dell'Annunziata
Scene della Passione
(Arte nel Molise....)

Jelsi - cripta dell'Annunziata
(Arte nel Molise....)   

mercoledì 3 ottobre 2012

Visite guidate nella casa di ALFREDO TROMBETTA settembre 2012. La riproduzione del vero negli scatti di Trombetta.



Il Quotidiano del Molise
del 25 settembre 2012


di Paolo Giordano

L’imprevedibile mese di settembre 2012 ha ospitato un affascinante evento culturale curato dallo studioso Paolo Matrella: le visite guidate nella casa di Alfredo Trombetta per ricordarne l’arte a 50 anni dalla scomparsa. Entrare nel regno dei Trombetta, un autentico sito storico per il Territorio, è sicuramente suggestivo ed è errata la supposizione di incontrare solo un “fotografo”.
Alfredo Trombetta fu artista ed intellettuale a tutto tondo (pittore, ricercatore, docente, progettista, ispettore per la tutela dei monumenti), ma soprattutto fu polo d’attrazione per la cultura del tempo. Visitare la sua dimora consente, oltre che di ammirare la sua produzione ed i successi tecnico artistici conseguiti, anche di entrare in contatto con decine di personalità della cultura e della storia non solo locali. Jerace, Puchetti, Menotti Bruno, De Lisio, Altobello, Michelangelo Benevento, Bigi, Romeo Musa, Gasdia, Alfonso Perrella (con cui curò un progetto di “itinerari turistici” in Molise) e moltissimi altri frequentarono queste stanze in cui furono accolti con mecenatismo tanti giovani, tra cui Gino Marotta, dal Nostro aiutati a “spiccare il volo”. L’intima amicizia è testimoniata da alcune loro opere di proprietà della famiglia.
Alfredo Trombetta
 Il Trombetta fu un grande esperto della Fotografia tanto da essere autore di articoli su riviste specializzate e di schede enciclopediche (Chirone, Piccola enciclopedia metodica italiana ed. Bemporad). Tantissime sono state le attestazioni per la sua genialità: medaglie, encomi, premi e riconoscimenti ufficiali non ultime le nomine a “Cavaliere” e “Grande Ufficiale” della Corona e “Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro”.
Per l’uomo contemporaneo le fotografie in bianco e nero appaiono solo romanticamente affascinanti, ma per l’epoca era l’unico modo per riprodurre il “vero”. Nell’ammirarle attentamente si scoprono meticolosa ricerca e dirompente sperimentazione. Prova ne è “La Fotografia Artistica”, rivista torinese bilingue distribuita anche in Francia di cui fu collaboratore, che riporta un suo celebre scritto sulle tecniche per fotografare i fiori. Ogni paesaggio immortalato contiene le tonalità necessarie a trasmettere la bellezza della Natura. Al pari degli attori del muto, costretti a coinvolgere gli spettatori con tutto il loro corpo ad eccezione della parola, il fotografo doveva catturare il mondo creando autentici dipinti, rinunciando però proprio al colore. Un discorso a parte, ovviamente, merita la “fotopittura” con cui si superò tale limite.
Alfredo fu un eccellente imprenditore della sua professione, uscì dagli angusti confini regionali esportando i suoi capolavori anche all’estero: nel 1914 una collezione di costumi molisani fu donata al console britannico di Napoli sir J.A.Churchill Sidney e venne, poi, integralmente pubblicata su un numero speciale della rivista londinese “The Studio” con il titolo Paisant Art in Italy. Un curioso aneddoto è legato a questa raccolta di fotografie dipinte donata sia al Re Vittorio Emanuele che alla regina Margherita. Il primo dei due omaggi è tornato, dopo lungo peregrinare, a Campobasso offerto in regalo all’avv. Alberto Pistilli Sipio. E’ stato così possibile ricostruirne “l’impaginazione originale”, al contrario di tanti altri album privati invece del contenuto.
Le Glorie Molisane del Risorgimento Italiano
E’ arduo condensare il genio di Alfredo Trombetta e non si può omettere di parlare dei suoi lavori etno-antropologici (legati anche agli eventi del 1911-primo giubileo dell’Italia Unita) e dei suoi studi/progetti per monumenti come la cartolina pro Croce Rossa del 1913 raffigurante le Glorie Molisane del risorgimento italiano incastonate in una “fusione” di vestigia molisane (Larinum, Saepinum, Venafrum). Spontaneamente viene da chiedersi che fine farà l’immensa ricchezza di Casa Trombetta. Il pensiero vola subito alle fotografie degli ingegni del Di Zinno, forse la serie più nota. Esse, raccolte nella cornice che ospitò il gigantesco ritratto del duca d’Aosta (foto pubblicata su “L’Illustrazione Italiana” in occasione delle presa di Gorizia nel 1916), sono state donate al Comune di Campobasso, ma purtroppo giacciono in una “stanza d’ufficio tra scartoffie” e cancellerie. Si confida, quindi, principalmente nella tenacia della novantenne Ada e nella perseveranza indomita del Matrella, pur avendo però ancora davanti agli occhi la tragedia consumatasi esattamente un anno fa con lo svuotamento, nel totale disinteresse delle Istituzioni, dello storico Palazzo Salottolo/Cannavina!


veduta del borgo antico
di Termoli (1910)

"Dopo il tramonto"
di Alfredo Trombetta

martedì 28 agosto 2012

Nel polittico Quaratesi un pezzo di storia molisana. Questione di dettagli che passano inosservati. Su uno spallaccio del San Giorgio lo stemma dei Monforte di Campobasso


Il Quotidiano del Molise
del 23 aprile 2012

di Paolo Giordano

Non sapremmo dire quanti abbiano notato nel polittico Quaratesi, dipinto nel 1425 da Gentile da Fabriano, un particolare che proietterebbe la nostra “piccola” storia locale in quella più “grande” dalla “S” maiuscola. Tra i santi v’è un San Giorgio con sullo spallaccio dell’armatura un’effige a noi ben familiare: quella dei Monforte. Follia? Delirio? Supponiamo di no! Del resto, pur essendo a quei tempi molto diffuso il culto verso il Santo, il glorioso cavaliere forse annoverava già Campobasso tra le “sue protette”. Infatti prima dell’aprile 1661, anno in cui si istituì la festa di precetto, non risulta che a Campobasso vi fosse un Patrono speciale. In quell’occasione si attestò che “ab immemorabili” San Giorgio era “stato sempre tenuto e stimato per padrone et protittore di detta terra”.
Lo spallaccio, oltre a contenere una croce accantonata da quattro rose, coinciderebbe anche nei colori con quanto asserito da Benedetto Croce: “rosso alla croce in campo d’oro”. Ma che legame potrebbe esserci tra i nobili molisani e l’importante famiglia Quaratesi? E’ basilare osservare che costoro abbandonarono i ghibellini diventando sostenitori della parte guelfa. Quale nostro “conterraneo” ebbe contatti con la Toscana? Nel 1326 Riccardo di Gambatesa è a Firenze dove, caduto gravemente malato in casa di Vanni Bonaccorsi (in hospicio Vanni Bonaccursi civis Florentini), detta testamento. Trasmette a suo nipote, Riccardello Monforte (Riccardo II), figlio della figlia e di Giovanni Monforte, la maggior parte dei suoi beni stabilendo che aggiunga al suo cognome quello dei Gambatesa. Riccardo (Viceré) aveva combattuto in Liguria con re Roberto d’Angiò, quindi con la parte guelfa, la stessa dei Quaratesi. Siamo però a cento anni prima dell’opera di Gentile ed il Gambatesa non ebbe mai legami diretti con Campobasso. Vi fu poi fu Guglielmo (detto Lemmo), nipote di Riccardo II, che “fu dal re Ladislao fatto consigliere di Stato, e suo Viceré in Campagna di Roma e Maremma e fu il III conte di Campobasso” (Dissertazione istorico critica della famiglia Monforte -1778). Di lui si hanno notizie in Città fino al 1422, poi gli successe il figlio Nicola I. Nella predella del Polittico sono raffigurate delle storie dalla vita di San Nicola, quella ai piedi di San Giorgio è il Miracolo dei pellegrini alla tomba del santo: chi vi si reca trova guarigione. Un riferimento al Nicola di Campobasso? Tutto il ragionamento sembrerebbe trasudare fantasia… ma forse la gloria militare ed il coraggio di un irreprensibile cavaliere come Riccardo di Gambatesa, distintosi in tutta Italia per le sue gesta, nonché la rettitudine dei suoi discendenti, unitamente ad un ipotizzabile duraturo legame (anche di sangue) con le genti toscane, avrebbero potuto indurre i committenti a rendere omaggio ai Monforte. Probabilmente per valore ed ardimento in battaglia o forse per saggezza nel buon governo. O addirittura per onorare la sepoltura del Condottiero molisano (della cui tomba non si ha traccia) e la cui memoria potrebbe essere sopravvissuta per generazioni presso chi lo conobbe.

i due "stemmi" contrapposti
Il capolavoro di Gentile da Fabriano è attualmente smembrato e conservato in più musei del mondo. E’ la realizzazione più importante del soggiorno fiorentino dell'artista dopo la Pala Strozzi. Insomma, con un singulto d’amor patrio ci piace veramente credere che quello sulla spalla del “nostro” santo Patrono sia realmente il blasone del conte Cola. Lo stemma che da 600 anni ci scruta dall’alto dell’inespugnabile castello, simbolo della tanto amata Campobasso.

La predella con scene della vita di San Nicola

Il San Giorgio di Gentile da Fabriano

disegno del Cobelli 
da "Storia di Campobasso"
di Vincenzo Eduardo Gasdia

Stemma dei Monforte di Campobasso, "rivelazioni" dal passato. La croce con le quattro rose potrebbe essere strettamente collegata alla famiglia "Gambatesa"

Il Quotidiano del Molise
del 22 aprile 2012



di Paolo Giordano

La Storia si scrive documenti alla mano, eppure in attesa (e nella speranza) che qualcosa di nuovo venga scoperto, è quanto mai opportuno esternare dei pensieri che potrebbero attribuirci la paternità di alcune deduzioni… se non rivelazioni.
Stemma da
"dissertazione"
La famiglia Monforte, che vantava origini francesi, aveva come stemma “un leone di azzurro in campo d’argento sostenente uno scudetto di oro caricato di cinque code d’ermellino”. Se ne trovano svariate testimonianze. Quella a noi più vicina è una cartolina del Trombetta, ma possiamo citare lo stemma del vescovo di Tropea (1786-1798) Giovanni Vincenzo Monforte, nonché l’effigie nel libro “Dissertazione istorico-critica della famiglia Monforte” (1778). In  Molise, e solo qui, la nobile casata si fregiava di uno stemma ben diverso: “una croce accantonata da quattro rose abbottonate”. Esso era (ed è) incastonato sul ponte levatoio del Castello di Campobasso e su alcune porte cittadine. Ancora è visibile in diversi punti della città e della regione tutta. La nostra (azzardata?) ipotesi è che in realtà si tratti dello stemma della famiglia Gambatesa, il cui ultimo insigne rappresentante Riccardo, non avendo discendenti maschi adottò di fatto un Monforte, Giovanni, di cui era stato nominato tutore. Questi sposò la di lui figlia Sibilia con cui generò Riccardo II (Riccardello). Il nobile cavaliere Riccardo I, le cui gloriose gesta sono purtroppo poco note ai molisani, consentì al nipote, nel suo testamento redatto in Firenze il 02/10/1326, di assumere anche il cognome Gambatesa. 
Di questa famiglia, sicuramente molto più importante del “nostro ramo” Monforte, non si conoscono le insegne e viene da pensare che proprio perché più titolata, il giovane rampollo divenuto Monforte-Gambatesa abbia fatto proprio lo stemma del nonno. Benedetto Croce parla di Monforte-Gambatesa e fu l’ambizioso Cola a “lasciar cadere” il secondo cognome, quasi a voler eliminare ciò che metteva in ombra la sua casata d’origine. A Tufara vi sono ben due emblemi della gens Monforte, mentre nella vicina “madrepatria” Gambatesa non si trova alcuna traccia. Ciò è apparentemente strano, ma abbastanza comprensibile. Potrebbe trattarsi di una vera e propria damnatio memoriae voluta anche dai di Capoa, “eredi “ dei possedimenti monfortiani dopo il tradimento di Cola e dei suoi discendenti. Però, nella chiesa di San Bartolomeo, sul fonte battesimale, v’è un’arma parlante, cioè contenente una figura che richiama direttamente il nome del paese. E’ ben visibile la data: 1523. Nicola III, ultimo conte di Campobasso, era a quel tempo già defunto come del resto il fratello Angelo IV e quella “gamba-tesa” appare un definitivo affrancarsi dalla gloriosa genìa, in vero estintasi nel 1326 con Riccardo I, ultimo dei Gambatesa.
Sono queste solo farneticazioni? Forse sì! Ma se un domani si dovesse dimostrare con prove concrete quel che oggi noi deduciamo, affidandoci all’intuito… beh, se dovesse accadere è inconfutabilmente nostra la paternità di questa tesi!

A dimostrazione "postuma" si invita l'internauta a leggere l'articolo qui linkato 

Lo stemma della famiglia Monforte
su porta Sant'Antonio Abate a Campobasso


Stemma dalla cartolina del Trombetta

stemma del Vescovo di Tropea
Giovanni Vincenzo Monforte (1786-1798)

lunedì 27 agosto 2012

Bernardino Musenga: la proposta di Nicola Felice perchè si intitoli un sito cittadino all'artefice della Campobasso Moderna

Il Quotidiano del Molise
del 26 agosto 2012
di Paolo Giordano


La cattedrale di Campobasso
Era il 26/11/2010 quando, in occasione di una convegno su Bernardino Musenga, il dott. Carlo, discendente del celebre architetto, dichiarò: “non riesco ancora a comprendere come Campobasso non l’abbia ricordato intestandogli una strada o una piazza”. Dopo circa due anni, il 20/08/2012 quasi in un’ideale risposta Nicola Felice, studioso, ricercatore, autore di libri d’arte e storia, presidente del Comitato per la memoria della B.C.M., ha presentato al Sindaco di Campobasso una richiesta di intitolazione “di area di circolazione all’architetto Bernardino Musenga”. Non sono certo i cittadini, quindi, a dimenticare i personaggi illustri artefici della storia patria!
“In occasione della fine dei lavori di ricostruzione della cuspide sita sulla torre campanaria della chiesa della S.S. Trinità, realizzata dal Musenga, architetto ed urbanista fra i massimi d’Italia, si propone che allo stesso sia intitolata la villa oggi impropriamente individuata come “villa dei cannoni”, che fu uno degli spazi riprogettati dallo stesso Musenga per la pubblica usufruizione, peraltro ben localizzabile nel piano regolatore da lui firmato nel 1813”. Bernardino Musenga è a tutti gli effetti il Padre della Campobasso Moderna, avendone egli “disegnato” l’impianto e le linee di sviluppo.
Questi sono in breve i termini dell’istanza che, indiscutibilmente, non potrà che essere accolta! Si restituirà, così, lustro ed indennizzo morale ad un Grande il cui operato è precipitato in quell’oblio in cui il Molise, immancabilmente, scaraventa i suoi figli migliori.

MA CHI ERA BERNARDINO MUSENGA?

la Cattedrale di Isernia
L'illuminismo come movimento culturale e filosofico è inquadrabile tra la fine del seicento (1688 cacciata di Giacomo Stuart) e la Rivoluzione Francese (che spazzò via ogni possibilità di progresso concertato). Eppure gli effetti dirompenti dell’Età dei Lumi perdurarono a lungo nei desideri di progresso e di emancipazione umana, nonché in ogni altra forma di pensiero anelante ad “illuminare”, attraverso Ragione e Scienza, la mente degli uomini tragicamente ottenebrata dall’ignoranza e dalla superstizione. In Italia fu Napoli, capitale dell’omonimo Regno, al pari di Parigi, a meglio incarnare il Secolo dei Lumi dando vita ad innovative forme architettoniche ed a nuovi pensieri filosofici, ponendo contemporaneamente le basi dell’economia e del diritto moderno. La città partenopea, in continuità con il passato, brillava ancora di luce propria: era infatti stata nel Rinascimento centro vitale della filosofia naturalistica. Qui si formò il genio di Paolo Saverio di Zinno (1718-1781) e da Napoli giunse a Campobasso, con la famiglia, Bernardino Musenga (1774-1823) che convenzionalmente, in forma riduttiva, viene definito architetto: un titolo acquisito sul “campo” quale summa di tutte le sue numerose e variegate attività. Egli era figlio d’arte, il padre ingegnere operò molto in Molise. Bernardino fu progettista, restauratore e letterato; coniugando gli amori per agricoltura e letteratura compose un inno a Cerere in lingua latina. Illuminista e giacobino sostenne la Repubblica Napoletana e, successivamente, si distinse per attività e fattività durante il periodo napoleonico. Due furono le pietre miliari della sua esperienza professionale e di vita: il terremoto del 1805 e lo sviluppo della città di Campobasso che si apriva al Nuovo. Da una parte bisognava ricostruire la regione devastata dal sisma del 26 luglio, dall’altra traghettare verso la modernità il capoluogo della neonata provincia di Molise la cui popolazione, in fase di sviluppo socio economico, desiderava “uscire” dall’antico borgo medioevale per proiettarsi verso il Futuro. Necessitavano simboli e palazzi pubblici che fossero immagine dell’Autorità, come in passato lo era stato il Castello Monforte, e perciò si doveva progettare una Campobasso extra moenia tagliando di netto con il passato. Musenga vinse una vera e propria sfida con l’ingegnere olandese Vincenzo Wan Rescant. Il fiammingo proponeva più un piano di riqualificazione urbana che di sviluppo, prevedendo l’espansione del tessuto urbano intorno ad una grande piazza esagonale in cui accogliere l’edificio sede dell’Amministrazione (Collegio). Malgrado il parere favorevole del Decurionato (29 settembre 1812) il Ministro degli Interni, Giuseppe Zurlo, “rigettò” quell’idea progettuale. Contrariamente il Nostro immaginò un impianto ben diverso (definibile di primo acchito “coloniale”) con strade parallele ed un susseguirsi di edifici ed orti in una città che doveva essere monumentale, funzionale, unitaria e moderna. Accanto al disegno architettonico anche una serie di regole scritte per consentire gestione ed attuazione del cosiddetto “Borgo Gioacchino”, approvato poi dallo stesso Murat nel 1814, e che per la sua concezione fece guadagnare a Campobasso la definizione di “città giardino”. Ma tutto il Territorio benificò dell’ingegno del Musenga: decine furono le sue perizie, progettò strade, realizzò strutture pubbliche e private, consolidò manufatti compromessi dal terremoto e da altre calamità naturali (l’alluvione del 1811 aveva distrutto i ponti sul Biferno e tantissimi mulini). Merita citare tre suoi importanti luoghi di culto: San Michele Arcangelo a Baranello, la cattedrale di Isernia e quella di Campobasso, il cui pronao, pur essendo del 1859, rispetta il progetto originario. Fu quest’ultima croce e delizia dell’Architetto che ne privilegiò la tecnica costruttiva curando, con spirito anticipatore, le caratteristiche antisismiche. Il Duomo, però, risultò poco gradito ai concittadini perché troppo basso e molto buio. Tradizione orale vuole che, proprio per le feroci critiche il Musenga si sarebbe suicidato. Se è vero che si tolse la vita non fu certo “solo” per la chiesa della SS Trinità. Il professionista viveva sicuramente in uno stato di grande pressione psicofisica per le responsabilità legate alla notevole mole di lavori ed ai relativi impegni progettuali e finanziari. C’è invece chi, come il discendente Carlo (stimato medico ed amministratore cittadino), certificato di morte alla mano, sostiene che si tratti di una montatura: Bernardino sarebbe morto (improvvisamente) nel suo letto il 24 ottobre 1823 a soli 49 anni e la conseguente damnatio memoriae dipenderebbe da ben altro. Certamente non basta l’essersi suicidato per giustificare l’ostracismo di cui è vittima presso i posteri e di contro incuriosisce non poco “il mistero” della sua scomparsa. Tutta la sua Storia merita di essere oggetto di studi e ricerche offrendo anche spunto per la trama di un affascinante e suggestivo best seller!



giovedì 16 agosto 2012

Giorgio Gizzarone torna a "parlare" grazie a Dante Gentile Lorusso e Giovanni Mascia

Il Quotidiano del Molise
del 15 agosto 2012
articolo consultabile anche sul sito TORO Web 


di Paolo Giordano

I pastori dell'Arcadia
(opera di Poussin)
Giovanni Mario Crescimbeni, noto anche con lo pseudonimo di Alfesibeo Cario Custode  Generale d’Arcadia, 291 anni or sono (1721) in “Notizie istoriche degli Arcadi morti” narra di “Oratino Boreatico ben tre volte onorato della carica di Collega”. In questi giorni, in concomitanza del trecentenario della morte (15 agosto 1712), si è tornati a parlare del “Protocustode delle Campagne del Sannio; i quali Protocustodi sono istituiti per maggior comodo degli Arcadi dimoranti nelle Provincie straniere”. Ma chi è l’importante adepto di quell’Accademia dell’Arcadia, che non fu solo scuola di pensiero ma vero e proprio movimento letterario, sviluppatosi e diffusosi nella Penisola in risposta al “cattivo gusto” del Barocco? Egli è Giorgio Gizzarone, letterato nato ad Oratino tra il 1660 ed il 1670, trasferitosi a Napoli e poi a Roma, dove studiò e visse grazie all’insegnamento privato. Nella Caput Mundi frequentò ambienti dotti riuscendo a conquistare, anche grazie alla benevolenza del cardinale mecenate Pietro Ottoboni, posizioni rispettabili: “nelle tornate del Bosco Parrasio i suoi componimenti furono sempre ascoltati con applauso, e soffisfazione inesplicabile”. 
Il cardinale Pietro Ottoboni
A farlo riemergere dal silenzio, rivolgendo l’attenzione ad un’epoca poco (se non per nulla) trattata negli studi sulla cultura molisana, sono stati Dante Gentile Lorusso e Giovanni Mascia autori del libro “tra Oratino e Arcadia – Giorgio Gizzarone, poeta del seicento”. Il testo, edito dalla Regia Edizioni e presentato il nove agosto in piazza Chiesa ad Oratino, ha l’indiscusso merito di aver superato il quasi invalicabile ostacolo della mancanza di fonti archivistiche dirette. Con tenacia è stato ricostruito il profilo del poeta utilizzando ogni minima traccia reperibile. Preziosissima si è rivelata la Biblioteca Angelica di Roma dov’è depositato l’archivio dell’Arcadia. In esso sono custodite poesie inedite, alcune delle quali senza dubbio attribuibili al Gizzarone: 5 testi di cui quattro in napoletano. Il ricorso al dialetto testimonia una scelta critica rispetto all’esperienza linguistica toscaneggiante finalizzata al raggiungimento, per il “vernacolo”, della dignità di Lingua. “La polemica era contro l’ufficialità della letteratura aulica e toscana a vantaggio di un filone che vedeva il canto popolare e plebeo prevalere in un contesto di ricerca globale di forme e contenuti nuovi dopo l’esperienza barocca” (Sebastiano Martelli). Il libro dei due studiosi apre un nuovo percorso di ricerca in una delle tante “zone d’ombra”, di cui sembra essere ricca la Storia del Molise, a causa della tendenza endemica che ci rende infingardi o peggio ancora affetti da auto-disistima cronica.
Giorgio Gizzarone ritornò in Patria “colla dignità d’Archidiacono della Cattedrale di Boiano”. Purtroppo quella nomina, che sembrava essere un importante passo nella carriera ecclesiastica, fu a giudizio del Crescimbeni la sua fine: “assuefatto in Roma ad una vita civile, e piena di onesti, e lodevoli divertimenti; così mal sofferendo la ritiratezza di que’ paesi, sopraffatto alla fine dalla malinconia, non molti anni godé la dignità conseguita, essendo venuto a morte nella più robusta età”. Non sappiamo se questa interpretazione sia giusta o viziata dalla prospettiva di chi, vivendo altrove, aveva maturato una forma di rifiuto per la Provincia. Una realtà così diversa e lontana dai grandi centri della cultura. L’oblio in cui era caduto “Oratino Boreatico” darebbe ragione ad Alfesibeo Cario. Il lavoro di Lorusso e Mascia, invece, sembra asserire decisamente il contrario.

Pietro Melchiorre Ferrari
Frugoni in Arcadia (Galleria Nazionale -Parma)